Sempre meno case per gli universitari, si torna nelle tende

Più di sei studenti su dieci non riescono a trovare un alloggio. E più della metà degli studenti, anche quando trova casa deve adattarsi. Scalzati dagli affitti brevi turistici – per cui ancora si attende una legge – sono proprio gli studenti i più esposti a una situazione abitativa ormai insostenibile.

I dati preliminari di un’indagine, condotta attraverso questionari, sulla condizione abitativa degli studenti universitari avviata da Cgil, Sunia e Udu lo dimostrano. Il 62% degli studenti fa molta fatica a trovare una casa. Meno delle metà, il 45%, è soddisfatto della soluzione che riesce a trovare. Un quarto non lo è affatto, infatti il 35% vuole cambiare alloggio. Il 32% degli studenti in affitto dichiara di essere incappato in annunci falsi e truffe, il 4,3% dichiara di essere in nero, «ma è un dato probabilmente sottostimato» commenta Simone Agutoli dell’Unione degli Universitari (Udu).

Le organizzazioni sindacali definiscono «allarmante» la situazione degli studenti a causa di un numero «irrilevante» di alloggi pubblici, che copre appena il 5% del fabbisogno, e la diffusione insufficiente dei contratti a canone concordato che garantisce canoni calmierati. In città con canoni alti, come Milano, le agevolazioni fiscali per i proprietari non sono attrattive. Così nelle otto più grandi città in Italia dove abitano 362mila studenti fuorisede (il 44% del totale) meno di 15mila (il 4%) ha un alloggio pubblico. Sul mercato privato negli ultimi due anni si contano solo 27mila contratti a canone concordato per studenti; a Napoli, Bologna e Milano questa tipologia praticamente non esiste. Intanto gli affitti aumentano: oggi i prezzi medi vanno da 626 euro al mese per una stanza a Milano (+1% rispetto al 2022), a 482 a Bologna (+8%), città che supera Roma dove il prezzo medio è di 463 euro, secondo Immobiliare.it Insights.

Eppure in un paese in fondo alla classifica europea per numero di laureati e in cima a quella per anzianità della popolazione, garantire il diritto allo studio dovrebbe essere una priorità. Ma l’Italia è paralizzata dalla rendita immobiliare. La quota di case locate si è ridotta; con la diffusione degli affitti brevi turistici in molte città italiane è praticamente scomparsa. Ma la domanda è aumentata, anche a causa del calo del potere d’acquisto e dell’aumento dei tassi di interesse sui mutui. L’assenza di politiche pubbliche e il divario tra i redditi e i canoni stanno facendo il resto. Così, nonostante il 30% delle case in Italia sia vuoto, trovare un alloggio in affitto è quasi impossibile. Ma se il futuro è schiacciato dal peso dei patrimoni, gli studenti non ci stanno: studiano i dati, e si preparano a scendere di nuovo in piazza.

Il piano nazionale di ripresa e resilienza si è rivelato un’occasione persa. Con uno stanziamento complessivo di 960 milioni di euro, il Piano mira a creare 60mila nuovi posti entro il 2026. La prima fase è stata un disastro: i primi 278 milioni di euro sono andati per due terzi a gestori privati, senza un vincolo sui canoni o sulla destinazione al diritto allo studio. Del resto obiettivo dichiarato del Pnrr, da cui è scomparsa la dicitura «diritto allo studio», è garantire la «sostenibilità degli investimenti privati». Si tratta, naturalmente, di investimenti immobiliari.

Dopo le richieste di chiarimento da parte della Commissione europea, l’Italia ha dovuto ammettere di aver mancato il primo obiettivo – 7.500 posti nuovi entro il 2022 – e i fondi sono stati scorporati dalla terza rata del Pnrr. Parte di quei fondi, però, è stata già spesa. Su questo l’Unione degli Universitari intende fare chiarezza: «stiamo esaminando i progetti finanziati in 11 città e invieremo richieste di accesso agli atti al Ministero e agli enti regionali per il diritto allo studio. Vogliamo sapere quanti posti cofinanziati con fondi pubblici sono stati destinati a studenti nelle graduatorie per il diritto allo studio» afferma Agutoli.

Il Mur non ha mai pubblicato questo dato, e nei decreti pubblicati non ci sono vincoli sulla destinazione dei posti. «Chiederemo se ci sono altri atti, anche interni, che vincolano l’assegnazione dei posti. E se gli annunci del Ministero non troveranno riscontro, valuteremo se presentare un esposto». Il 24 agosto l’Udu ha scritto alla Commissione europea in merito alla proposta di rimodulazione del Pnrr presentata dal governo, che non modifica la strategia di delegare al mercato i diritti alla casa e allo studio, nonostante sia già fallita. Anche per questo l’Udu propone la riduzione dell’obiettivo da 60mila a 30mila nuovi posti entro il 2026: «Meglio pochi ma buoni, e realmente nuovi».

di Sarah Gainsforth

da il Manifesto del 27 agosto 2023

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