Uscire dal castello dell’identità e il mercato della sofferenza per ricostruire e ridefinire i concetti di lotta, solidarietà e cura

La coscienza di classe è fragile, il moralismo è ovunque.
Il coraggio di osare e agire per contribuire al cambiamento sembra sempre più difficile di fronte al prevalere dell’opinionismo, l’attendismo e l’attivismo da social network. Quest’ultimo, il male dei nostri tempi, porta i singoli individui ad alimentare una classificazione identitaria dove ansie, sofferenze e vulnerabilità diventano merce spendibile e paradossalmente utile per mercificare se stessi.

Il sistema capitalista cerca di portare le persone in campi di identificazione dove sono per sempre definite nei termini stabiliti dal potere dominante, paralizzate dall’autocoscienza, isolate in una logica per cui non ci si può capire se non si fa parte dello stesso gruppo identitario.
Come il green o pinkwashing che nelle pubblicità mascherano i malaffari di centinaia di multinazionali, anche nell’attivismo da social network viene fatto un utilizzo liberale dei concetti di “genere” o di “razza”, e tutto per offuscare la questione di classe.
La situazione negli ultimi anni, poi, ha portato ad alimentare il mercato della sofferenza, necessario a dare spazio all’individualismo moralizzatore di chi riesce a trovare un gruppo più oppresso e soggiogato.
La solidarietà è condannata, e il senso di colpa e la paura sono onnipresenti nei ranghi della Sinistra; questo non perché siamo terrorizzati dall’avanzamento della Destra, ma perché abbiamo permesso ai modi borghesi della soggettività di contaminare il nostro agire.
Oggi che lottiamo così tanto per difendere la nostra personale identità, abbiamo perso di vista quella collettiva, frammentandola in mille pezzi (cit.) e rendendoci deboli di fronte a chi ci vuole esattamente così. Da qui il proliferare esplicito o meno dell’utilizzo della parola IO e il rapido declinare dell’uso della parola NOI.
Voglio scriverlo oggi, e non sono la prima: la sinistra moralista, dal tono terribilmente giudicante e l’atteggiamento passivo-aggressivo condito da risentimento sarcastico, è uno dei fattori che contribuiscono a mantenere la situazione paralizzante delle lotte sociali, sindacali, politiche radicali. Si, quella sinistra al potere che abbiamo conosciuto con il PD, ma anche quella dell’influencer di sinistra che pensa di potersi sostituire a assemblee e percorsi politici collettivi.
E così, mentre tutto si sposta sempre più dal collettivo all’individuale, il deserto dei tartari si riempie di contenuti virtuali, post ben fatti, indignazione social. Anche se stiamo subendo la peggiore crisi economica che l’Italia ha mai attraversato dal secondo dopoguerra, anche se siamo governati dalla Destra, anche se il nostro sistema di welfare pubblico è al collasso, anche se eccetera eccetera, non si è ancora riuscito ad uscire dalla bolla dei personalismi, degli identitarismi e delle scuse che rimandano all’azione. Ringrazio Fisher che mi ha reso il lavoro sottostante di schematizzazione più semplice, che risponde alla domanda: come fa la sinistra moralista borghese, l’influencer-attivista-individualista e chi ambisce a farne parte, a mettere in crisi l’azione collettiva?

  1. INDIVIDUALIZZARE E PRIVATIZZARE TUTTO: In spazi di confronto fisici, sollevare delle critiche è quasi necessario per la crescita di un gruppo. La critica al pensiero o all’azione di un soggetto è sana quando c’è rispetto, ma soprattutto quando non diventa un’arma utilizzata per escludere o ferire. Con l’avvento dell’attivismo social e la rimarcazione ostentata di singole identità divise tra loro per colore o genere, la critica ai comportamenti individuali diventa gogna spacciata per “critica strutturale”. Concetti come “solidarietà” e “collettività” sono considerate parole vuote, perché vengono privilegiate le categorie individualiste imposte dal potere.
    Ciò che tiene insieme questi gruppi identitari non è la solidarietà, ma la paura reciproca che saranno i prossimi ad essere messi alla gogna, esposti, condannati. Meglio non averci a che fare finché non scenderanno dal piedistallo.
  2. FAR APPARIRE IL PENSIERO E L’AZIONE MOLTO, MOLTO DIFFICILI: L’autoformazione e il confronto nella vita reale sono fondamentali per alimentare la coscienza critica e uscire dagli schemi imposti dal pensiero statale. Tutti e tutte sono in grado di esprimere una opinione su qualsiasi tema, e mettere il proprio pensiero a disposizione di altri per mantenere acceso il fuoco del sapere.
    Quando il pensiero viene spacciato per un lavoro duro, per pochi eletti, escludendo anche solo una persona del cerchio dal confronto (perché al cerchio si preferisce il giudizio dato dall’esterno), si nuoce gravemente alla crescita della collettività e si privilegia solo la coltivazione di un Io.
    Dove c’è fiducia, la sinistra borghese e immobilista introduce scetticismo, e pensieri sofisticati che rimandano l’azione a domani, bloccando anche le più semplici proposte di movimento. Meglio de-tronizzare chi si è auto-elevato a intellettuale di riferimento utilizzando i salotti borghesi e le abilità social per raccattare qualche migliaio di seguaci.
  3. DIFFONDERE PIU’ SENSI DI COLPA POSSIBILI: La sinistra borghese, e chi ambisce a farne parte, sono specializzati nel senso di colpa, altrimenti non si capisce la gravità della lotta in questione. Se una persona, indipendentemente dalle questioni di classe, viene etichettata come privilegiata (perché bianca, perché maschio, perché abile, perché etero + altre etichette), va bene se si sente in colpa e fa sentire in colpa anche altri. Al senso di colpa non viene apposta nessuna alternativa. Meglio lasciare i sensi di colpa cristiani a chi fa opere di carità, se vogliamo immaginare un futuro diverso abbiamo bisogno di ben altre strategie collettive.
  4. ESSENZIALIZZARE: La vita reale, soprattutto nelle periferie delle metropoli e in una società dove il potere del capitalismo ha di gran lunga superato i concetti basilari della democrazia, è piena di contraddizioni e non può essere analizzata in maniera dicotomica. La sinistra borghese e chi ambisce a farne parte, adorano alimentare una forte distinzione tra bene e male. Osservazioni mal poste e errori comportamentali definiscono l’identità dell’altro, e spesso e volentieri assistiamo sui social network a shitstorm di scomunica, condanna, insulti. Come il desiderio di un pignolo di essere il primo a vedere l’errore, la “folla” di follower è pronta sempre ad attaccare “nome-cognome-foto”. Alle volte, la “vittima” di questa caccia alle streghe, è spesso proveniente da una classe lavoratrice, non istruita al galateo passivo-aggressivo della borghesia, e nel 99% dei casi viene spinta in modo efficace verso la perdita della calma. Meglio tornare coi piedi per terra e rendersi conto che la vita non è dialettica ma una serie infinita di contraddizioni.
  5. PENSA COME UN LIBERALE, PERCHE’ LO SEI: Pur di non passare all’azione e di continuare a rimandare a domani, la sinistra borghese e chi ambisce a farne parte continuano ad alimentare costantemente l’indignazione indicando all’infinito ciò che è ovvio. La Destra è razzista, la polizia è cattiva, le denunce sono brutte, lo stato si deve vergognare…
    Al comunicato scritto a puntino, dove sembra prossimo il Giorno della Rivoluzione, non vengono esposte rivendicazioni o controproposte. “Vergogna” è la parola d’ordine, come se i burattini del sistema capitalista avessero il tempo di provare vergogna, e come se all’indignazione non dovesse seguire nient’altro. Meglio agire, anche a costo di sbagliare e di fallire. Sicuramente provando ci si sente meglio che spolliciando.

Come uscire da questa situazione triste e paralizzante?

Nella lotta per arrivare ad ottenere un mondo migliore, l’identitarismo è un problema. Nessuno è essenzialmente qualcosa di specifico, e di fronte ad un sistema che opera ogni giorno per dividere e indebolire le lotte, non ci si può congelare in catene di identificazione già esistenti e determinate da chi trae vantaggio economico e politico da queste divisioni. La semplicità delle categorie binarie di bianco e nero, maschio e femmina, non esiste quando si tratta di classe. Il colore della pelle, la religione, il genere di appartenenza possono essere utilizzati come schermi per deviare l’attenzione dalla dura realtà che un approccio di classe rivela. Bisogna prestare attenzione alla classe utilizzando la razza e il genere per comprendere e spiegare le sue differenti dimensioni e gradi di sfruttamento, altrimenti si rischia solo di disarticolare i concetti di intersezionalismo che abbiamo imparato a conoscere negli scritti delle tante femministe Nere americane degli anni ’80.
La coscienza di classe non rappresenta alcuna identità ma una relazione sociale di sfruttamento. La coscienza di classe ha la capacità di creare legami di scopo a prescindere dalla lingua o dalla cultura di provenienza, e allarga enormemente il numero di persone che sono parte di questo gruppo protagonista di una lotta anti-sistema. We are 99% si diceva nel 2001 a Genova durante il G8, non di certo siamo 10+30+40+20.
Dobbiamo rifiutare la superiorità morale interna agli ambienti di sinistra, dove da troppo tempo ha preso il sopravvento la sinistra benestante, privilegiata e borghese che ha legittimato il “come osi tu parlare? siamo noi che parliamo a nome di chi soffre”.

Sono loro che si devono sentire in colpa. Non sicuramente chi non ha gli strumenti per comprendere i sofisticati blablabla degli intellettuali di passaggio, non chi prova ad agire per un cambiamento, non chi pratica solidarietà.
Non nasce da noi, classe precaria senza risparmi, il male dei nostri tempi; siamo più o meno tutte vittime di uno schema creato e alimentato dal sistema capitalista che ci impedisce di identificare lucidamente il vero nemico.
Dopo aver smascherato i falsi amici – la sopracitata sinistra borghese – ci si rende conto di quanto il loro alimentare il mercato della sofferenza li faccia stare bene. Magari soffriranno per qualche balena spiaggiata in Tennessee che avranno visto su un reel di Insta, ma fondamentalmente vivono bene. I mali del mondo, ma anche quelli che ci tolgono il sonno come la TARI o le cazzo di bollette che aumentano, non li riguardano. Loro stanno bene, perché stare bene (fisicamente e mentalmente) è una questione di classe.
Siccome i soldi per una seduta psicologica non ce ne sono, siamo tenuti a insegnarci di nuovo la cura reciproca, se proprio non è più spontanea; questo diventa più che mai necessario anche per spezzare con la pratica, l’individualismo alimentato dal sistema capitalista.
E’ necessario per una proposta di comunità alternative alla ferocia di un sistema che dall’isolamento dell’individuo trae beneficio e guadagno, ma è necessario anche e soprattutto per reintegrare nei nostri discorsi tutte quelle persone che ogni giorno della loro vita convivono con “ferite di classe”; sono ferite destinate a rimanere in vita fino a che rimangono inalterate le relazioni esistenti di potere.

Chiunque cresca in una famiglia con difficoltà economiche sa cosa si prova a desiderare cose che non si possono avere. Cose che il denaro può comprare ma il denaro non c’è. Significa crescere con la tensione intorno al tema dei soldi, dove i conflitti familiari intorno a questo tema hanno un impatto deprimente su adulti e bambini.
Significa crescere con la predisposizione a rinunciare ai desideri materiali e ad accettare qualsiasi cosa capiti, almeno finché non si riuscirà ad uscire dalla situazione di povertà economica familiare. E per uscire dalla miseria il più rapidamente possibile si commettono reati, che non hanno nessuna giustificazione di fronte alla legge e alle regole.
La cultura contemporanea del consumo edonistico (molto ben pubblicizzata sui social anche dalle influencer-attivist*), ha portato a far sì che la bella vita dovesse corrispondere alla possibilità di ottenere tutto ciò che si vuole, e nessun desiderio viene considerato eccessivo se si paga.
Le persone svantaggiate e povere spendono molte energie nel desiderare beni materiali non solo di prima necessità, ma anche di lusso. Non è un caso che proprio quando la forbice tra le classi ha iniziato a divaricarsi come mai prima d’ora, l’idea in cui chiunque possa farcela a prescindere dalle proprie origini, ha guadagnato sempre più credibilità nell’immaginario collettivo. E’ stato facile insistere sul fatto che le vecchie concezioni di classe dominante e classe oppressa non avessero più significato, perché quanto a desideri materiali le classi povere avevano le stesse aspirazioni dei ricchi, compresa quella di esercitare potere sugli altri. I mass media e gli influencer da social network hanno incoraggiato gli individui di tutte le classi a credere che il possesso di un particolare oggetto risolvesse la questione della classe, creando cosi una nuova immagine della ricchezza. Il consumismo è equiparato alla libertà individuale, è rappresentato come democratico, libero, aperto, una cultura in cui tutto è possibile. I suoi retroscena – la povertà, la fame, la disoccupazione, il carcere – non suscitano interesse; e se suscitano qualcosa, si tratta di pena, ribrezzo, estraneità e condanna.

Una volta convinta l’opinione pubblica che le porte del potere e del privilegio di classe fossero aperte a chiunque, non era più necessario professare la vita comunitaria o la condivisione delle risorse per puntare alla giustizia sociale.
In questo scenario, la coscienza e la lotta di classe non hanno nessuna fascinazione nelle nuove generazioni che sognano la vita scintillante dei suoi oppressori.
I ricchi e i loro sosia sono arrivati ad essere rappresentati come degli eroi e delle eroine, e vivono promuovendo il consumismo edonistico in favore del sistema capitalistico. Le loro narrazioni ipnotiche ci narrano che noi siamo quello che possediamo, o che dimostriamo di possedere. Chi non ambisce ad essere come loro viene isolato, rappresentato sempre e soltanto come moralmente fallito; in questo modo, per i privilegiati è possibile sottrarsi a ogni responsabilità di fronte alla povertà e alla sofferenza che questa genera.
All’individualismo sfrenato proponiamo collettivismo, al sogno americano opponiamo il sogno comunitario, all’accumulazione dei soldi proponiamo condivisione, allo status quo proponiamo una società alternativa dove l’individuo e la natura tornino a valere di più del profitto.
Tornare a parlare di classe e di coscienza di classe è necessario per riuscire a evadere dalla situazione di stallo in cui ci siamo ridotti. Il peso delle parole non deve più essere determinato dalle capacità dialettiche e accademiche, ma dalla capacità di saper trasformare quelle stesse parole in fatti concreti.

Nassi LaRage

*ispirazione tratta dai testi di bell hooks e Mark Fisher
**Questo testo non ha nessuna pretesa di insegnarti a vivere
***pur essendo un pezzo firmato da una nostra compagna militante storica del movimento milanese questo testo rispecchia esattamente la posizione del collettivo redazionale di MiM che anzi, lo considera una “chiamata alle armi”

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