“Dei movimenti e delle pene” – Intervista all’Avvocato Davide Steccanella (anche video)

A volte la giustizia celebrata nei Palazzi e nelle aule dei Tribunali naviga tristemente a distanza dal mondo reale. Lo sanno bene Niccolò, Marcelo, Maurizio e Lollo, reclusi nel carcere di San Vittore da ormai più di una settimana, così come lo sanno bene tutti i No Tav nei cui confronti la Procura di Torino ha eseguito le misure di custodia cautelare lo scorso 26 gennaio.

 

Niente di nuovo, si potrebbe dire. E, invece, no. Perché attorno a questi arresti, si sta costruendo un grande dibattito, alimentato da tutti coloro che della Val Susa hanno fatto la loro causa, sì, ma non solo. A criticare con accorata convinzione l’operazione di Caselli, infatti, ci hanno pensato in questi giorni anche grandi operatori del diritto, primo tra tutti l’ex membro del Consiglio Superiore della Magistratura Livio Pepino, che in un’intervista ha dichiarato che le misure cautelari dei giorni scorsi rappresentano «una tappa della trasformazione dell’intervento giudiziario da mezzo di accertamento e di perseguimento di responsabilità individuali a strumento per garantire l’ordine pubblico».

Parole che pesano, e che hanno spinto la redazione di MilanoInMovimento ad approfondire questo tema con un “tecnico” del diritto, l’avvocato penalista Davide Steccanella.

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Prima di tutto chiariamoci le idee: che cos’è la carcerazione preventiva?

La carcerazione preventiva è un mezzo assolutamente eccezionale. È una misura cautelare che viene applicata a una persona, privandola evidentemente della libertà e dei suoi diritti, prima che venga accertata la sua colpevolezza. Il che rappresenta un’eccezionalità, perché nei Paesi civili una persona, eventualmente, sconta una pena a seguito di un accertamento.

Quando la carcerazione preventiva è prevista dalla legge?

La nostra legge indica in maniera molto tassativa quali sono le condizioni, e solo quelle, per le quali si può procedere con questo mezzo straordinario. In primo luogo deve sussistere una di queste tre condizioni: il rischio concreto che il soggetto, se libero e non sottoposto a vincoli, possa o fuggire, o inquinare le prove, o commettere reati della stessa specie di quelli per i quali l’autorità giudiziaria sta indagando. E occorre che ci siano precisi elementi che inducano a credere che effettivamente quel soggetto potrebbe porre in essere questi comportamenti. In secondo luogo deve essere fatto un giudizio di adeguatezza all’esigenza: la misura cautelare più grave (il carcere) deve essere adottata solo se le altre previste non sono applicabili efficacemente.

Entrando nel caso specifico degli arresti No Tav, anche tenendo in considerazione il fatto che sono passati otto mesi dai fatti, come valuti le misure che sono state applicate?

Prima di tutto c’è un problema di effettiva sussistenza dei rischi che hanno determinato la misura cautelare. Si tratta di episodi inseriti all’interno di una manifestazione di massa, quindi di atti non individuali, riferiti a una particolare manifestazione avvenuta oltre otto mesi fa. Dopo un lasso di tempo così lungo, risulta difficile applicare una misura cautelare. Nel senso che non si capisce perché questa esigenza sia impellente oggi a distanza di così tanti mesi. In più,  c’è anche un problema di adeguatezza della misura scelta. Il ricorso ai mezzi più afflittivi, il carcere, per soggetti perlopiù incensurati, non si capisce. La domanda perché il carcere sia stato ritenuto l’unica misura idonea, non trova risposta.

Se queste misure non sono giuridicamente o realisticamente credibili, nel senso che, ipotizzando che possano esserlo, non sono evidentemente “efficaci”, la domanda è: perché sono state eseguite?

Dalla pubblicazione della motivazione, sembra che il Gip abbia applicato queste misure perché il fatto che i lavori in Val Susa procederanno per altri due anni, fa presupporre che possano verificarsi altri disordini. Io credo che questa motivazione, oltre che giuridicamente molto opinabile, risponda alla domanda che mi hai fatto. Ovvero che le misure sono state applicate per  “consentire di procedere” con i lavori dell’alta velocità. Il che ha un sapore più repressivo che giuridico, perché credo sia legittimo da parte di chiunque non condividere una scelta come quella del Tav. Sembra un’azione dimostrativa, come se si fosse voluto far passare il messaggio che si possono contrastare i lavori in forme che non “diano fastidio”.

Se questa è la motivazione, a rigor di logica, dovremmo aspettarci che le misure cautelari proseguano fino a quando i lavori in Val Susa non saranno terminati?

Questo è un dubbio che ci si pone. È evidente che giuridicamente sarebbe inaccettabile e sortirebbe effetti contrari a quelli che in qualche modo ci si vuole porre, perché scatenerebbe delle forti reazioni. Non comprendendo l’inizio delle misure cautelari, non se ne comprende nemmeno la fine. Se le persone sottoposte a misure cautelari si devono scarcerare tra tre giorni, allora non capisco che senso abbia averli arrestati tre giorni fa e se invece si prevede una carcerazione lunga, la cosa è molto critica. Mi auguro che il Tribunale del riesame riveda quantomeno alcune di queste posizioni, che poi vanno valutate individualmente, anche perché prenderne trenta con tutti gli altri che protestano è un criterio un po’ singolare.

Fino a che punto è ammissibile la discrezionalità del giudice?

I magistrati sono degli esseri umani, per cui è ovvio che quando applicano la legge ci mettono del loro e in qualche modo questo è condivisibile. Nessuno vorrebbe dei computer rigidi a giudicare. Quando applicano la legge, però, devono cercare di tenere fuori, le loro convinzioni di essere umani. Soprattutto quando c’è una privazione di libertà personale, i termini devono essere molto rigorosi. Nel caso specifico c’è un elemento in più, perché non c’è una sentenza. Il giudice in qualche modo deve fare una prognosi su quello che succederà. E questo chiaramente amplia la discrezionalità. Per questo la legge impone dei criteri di concretezza. In questo caso a mio avviso una certa discrezionalità c’è stata, perché stabilire astrattamente con certezza che gli episodi di luglio si riverificheranno, mi sembra difficilmente possibile.

Secondo la tua esperienza, quanto spesso in nome di “perfezionismi giuridici” sei perde di vista la realtà dei fatti?

Potrei fare l’esempio forse impopolare, del comandante Schettino, che, secondo le motivazioni, è agli arresti domiciliari per il pericolo di reiterazione del reato. Che il comandante si metta alla guida di una nave da crociera mi sembra altamente improbabile. Diciamo che le risposte “meta-giuridiche” che ogni tanto vengono date dalla magistratura, a volte per venire incontro alle esigenze popolari, possono essere un problema. Il rispetto della legge è importante anche per i soggetti a cui ti rivolgi: una persona che si pone, diciamo, in maniera antagonista rispetto alle leggi, solo davanti a una rigorosa applicazione delle stesse può avere un’opera di convincimento su questo. Se no l’antagonismo aumenta. Perché non trovi un interlocutore credibile.

Come valuti l’approccio dei media a questa vicenda?

Ho trovato uno straordinario unanimismo da parte dei giornali. È passato il messaggio “hanno preso i più violenti, hanno fatto bene”. Il fatto che nessun giornale non di nicchia abbia messo in discussione questa operazione massiccia, mi lascia perplesso. È strano che siano tutti d’accordo e che per sentire delle voci che dissentono si debba ricorrere ai blog. L’alta velocità in Val Susa è un tema importante, anche dal punto di vista ambientale, non solo politico. Vi è un’azione particolarmente dura da parte della magistratura e che da nessuna parte si levi una forma larvata di critica è un dato che dobbiamo considerare. Evidentemente c’è un’informazione molto unanime che non consente bene alla gente di capire quello che succede.

Come il movimento No Tav può far sentire la propria voce e contribuire alla liberazione di queste persone?

Sarebbe importante che il movimento cercasse di far sapere che è solidale verso gli arrestati. Perché non stiamo parlando di trenta fanatici che non c’entrano con il movimento. Diciamo che siccome c’è una tendenza a separare, il movimento deve accorparsi. Se no il rischio è che nell’opinione pubblica si crei una sorta di divisione tra alcuni “cattivi e violenti” che vanno allontanati e tutti gli altri. Una protesta importante va rivendicata fino in fondo. È una solidarietà umana, ma anche ideologica. Non dimentichiamoci che quelle persone si sono impegnate per qualcosa di collettivo e quindi credo che meritino un certo rispetto.

Per concludere vorrei chiederti se hai firmato l’appello per la scarcerazione. E di motivare la tua risposta.

Sì, l’ho firmato. Perché ritengo che quelle motivazioni non siano giuridicamente fondate e perché mi sento di condividere la protesta che hanno fatto i No Tav. La scelta che si sta facendo in Val di Susa coinvolge migliaia e migliaia di persone, quindi non può essere affrontata con provvedimenti giudiziari o con azioni di polizia. Non devono esserci forzature. Per questo sono d’accordo con chi sta opponendosi ,con i mezzi che ha, a quella che ritiene un’ingiustizia. Ascoltiamoli. Da parte dello Stato, arrestarli per imporre le proprie scelte, è poco bello. Quindi sì, ho firmato quell’appello. Per ragioni sia giuridiche, sia ideologiche.

 

Anna Pellizzone

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