Governo Meloni, un’analisi semantico-politica
Nomi nuovi (dei ministeri) e vecchie facce (dei ministri). Questa la prima impressione che si è avuta quando Giorgia Meloni, venerdì 21 ottobre 2022, ha snocciolato la lista della sua compagine governativa. Dopo una settimana di Silvio Berlusconi Show, che ha fatto impazzire i media, si è quindi arrivati al dunque.
Molto si era discusso, nel dopo-25 settembre, se Meloni avrebbe messo in piedi una sorta di Draghi 2 (un governo imbottito di tecnici) o piuttosto un Berlusconi 4 (riportando sulle poltrone il ceto politico messo in fuga dal disastro del 2008-2011). A una prima occhiata ha prevalso la seconda ipotesi: Bernini, Calderoli, Casellati, Crosetto, Fitto, Mantovano, Roccella, Santanchè e Tajani. Tanti sono i nomi legati all’ultimo esecutivo berlusconiano di 15 anni fa. La sola novità sembra essere lei: Giorgia Meloni. Anche se poi tanto novità non è, visto che già nel 2008 la politica di Fratelli d’Italia era Ministro della Gioventù del governo guidato dall’allora Popolo delle Libertà.
Tante vecchie facce quindi, ma il quadro è più complesso. Per capirlo bisogna leggere con attenzione i nomi dati ai vari dicasteri:
Imprese e made in Italy – Ovviamente ci sono le imprese, ma mancano lavoratori e lavoratrici, il che la dice lunga sulla scelta di campo (neanche troppo mascherata) della destra. Per quanto riguarda il “made in Italy”, l’unico possibile commento è una battuta sull’uso dell’inglese da parte di chi viene da una tradizione politica che, negli anni Trenta, aveva promosso idiozie come l’italianizzazione delle parole straniere, l’uso del voi al posto del lei e altre simili amenità;
Ambiente e sicurezza energetica – La transizione è scomparsa ed è arrivata la sicurezza. Non che con Cingolani la situazione fosse particolarmente rosea, tant’è vero che Fridays For Future aveva definito il suo ministero quello della Finzione Ecologica. Ora, però, in tempi di guerra europea e di recessione imminente l’imperativo categorico è diventato la sicurezza energetica. Come a dire: “Qualsiasi sia la fonte di produzione di energia a noi va bene, basta che la produca!”. Sicurezza di profitto, quindi, non certo ambientale o per la salute delle persone;
Istruzione e merito – Ed eccolo tornare, il “merito” tanto caro a Calenda, Renzi, ai liberal e ai macroniani de noantri. Uno dei più grandi specchietti per le allodole del neoliberismo degli ultimi 40 anni. Sempre utile a convincerti che se non ce la fai la colpa è tua. Ancor più grottesco inneggiare al merito in un Paese con l’abbandono scolastico alle stelle, dove l’ascensore sociale è rotto da tempo (e, anzi, va all’indietro), nepotismo e familismo la fanno da padroni e dal quale i cervelli, visti gli stipendi da fame e la condanna all’eterna precarietà, continuano a scappare. In realtà si tratta della solita scusa per legittimare la difesa dello status quo da parte delle oligarchie dirigenti, neanche fossero la nobiltà francese del Settecento. Citando Gianni Morandi: “Uno su mille ce la fa”. Gli altri 999 si arrangino;
Famiglia, natalità e pari opportunità – Un nome che, insieme a quello della sua ministra Eugenia Roccella, è tutto un programma. Non ci ripetiamo e rimandiamo al ritratto fatto da Non Una Di Meno Milano.
Insomma, dietro ai nuovi nomi dei vecchi ministeri si cela un vero e proprio manifesto politico. Meloni, abbandonato il filoputinismo espresso chiaramente nel suo libro del 2021 (come si cambia!), ha già dimostrato di essere più realista del re con un atlantismo d’acciaio. Il blocco politico europeo a cui il nuovo governo italiano sembra far riferimento non è però la vecchia Europa occidentale, ma la nuova Europa orientale (anche nel Patto Atlantico c’è una vecchia e una nuova NATO il cui confine è dettato proprio dalla ex Cortina di ferro) conservatrice e reazionaria capeggiata dalla Polonia e di cui l’Ungheria di Orbán (che dimostra di essere più battitore libero di Meloni nei rapporti internazionali) è un altro protagonista di primo piano. Per quanto riguarda il rapporto con gli Stati Uniti, in questo momento, tutto può filare liscio. Per Washington quel che conta al momento è che i suoi alleati siano schierati compatti contro la Russia e la Cina. Quel che fanno nei propri Paesi poco importa. Più complicato è che questa manovra di ricerca di nuove sponde riesca in modo indolore in Europa, perché l’Italia viene da una storia di potente integrazione economica con la Francia e soprattutto con la Germania e, politicamente, forse le sue ambizioni potrebbero essere indirizzate meglio nel blocco Mediterraneo invece che verso l’ex Patto di Varsavia…
Insomma, è come se le ambizioni sbandierate con i nuovi, retorici nomi di alcuni ministeri si scontrassero con la durezza della realtà economica e sociale che stiamo vivendo in questo autunno ’22 e con la necessità di dare rassicurazione sia sul piano interno che, soprattutto, su quello internazionale. Ecco perché, a fianco dei nuovi nomi, ci sono tante vecchie facce. Come a dire: l’usato sicuro.
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