“Generazione voucher” – Piccolo viaggio nel mondo della precarità – Vol.3
Arriviamo al terzo e conclusivo capitolo [1, 2, 3] del nostro piccolo viaggio nel mondo della precarietà nel momento in cui iniziano a delinearsi le future mosse governative (e imprenditoriali) per sostituire i voucher, la cui abolizione, a quanto emerge con sempre maggiore forza, è stata puramente strumentale allo scopo di annullare il referendum della CGIL di fine Maggio.
Come potrete leggere, nessuno scenario migliorativo delle condizioni dei lavoratori in vista, anzi!
Ecco dunque una breve analisi dei progetti di futuri intervento del governo nel mondo del lavoro per poi finire con alcune riflessioni emerse nella raccolta delle interviste.
“Dopo l’abrogazione dei voucher, liberalizzati i contratti a chiamata”
Questo verosimilmente sarà il titolo che campeggerà sulle maggiori testate nazionali tra qualche mese se non succede qualcosa di imprevisto sul piano politico.
Il 17 Marzo 2016 viene cancellata con decreto la possibilità per le aziende di utilizzare i voucher per pagare i propri lavoratori e quindi viene di fatto cancellato il referendum della Cgil che proponeva di abolire per le aziende questo istituto.
Il giorno stesso del varo del decreto gli imprenditori italiani hanno attuato un vero e proprio “assalto” a tabaccai e rivenditori autorizzati per poter acquistare gli ultimi voucher che potranno essere utilizzati fino a fine anno. A tutto questo è seguito un piagnisteo sui media rispetto a quanto possa essere costosa un’alternativa ai voucher, le stime del Sole 24 Ore parlano del 50% in più del costo del lavoro. Pertanto esponendo questi dati in questi giorni mentre alla Camera e al Senato si sta discutendo e convertendo il decreto in legge, l’imprenditoria italiana si sta prodigando nel proporre tramite i propri media delle soluzioni per il post-voucher in quanto pagare di pagare la pensione o la malattia ai lavoratori proprio non se ne deve parlare. Quindi invece di mettere in atto meccanismi che all’aumento del costo del lavoro vedano un parallelo aumento degli investimenti sulla produttività per mantenere lo stesso guadagno, come la stessa economia capitalista imporrebbe, gli imprenditori vogliono proporre lo stesso identico sistema dei voucher, ma cambiandogli il nome, un po’ come Renzi che ha eliminato l’Art.18, ma l’ha chiamato contratto a tutele crescenti!
Il prossimo probabile progetto è quello di liberalizzare il contratto a chiamata, eliminando il limite alle 400 giornate, i limiti di età e aprendo alla possibilità di utilizzare il personale in qualsiasi settore, proprio come i voucher. Lo scopo è diminuire il costo del lavoro avvicinandolo al costo che avevano i buoni lavoro. Così facendo si manterrebbe la possibilità per le imprese di chiamare oggi l’una o l’altra persona e di non pagarle la malattia o maternità semplicemente non chiamandola.
Sono i lavoratori (sia dipendenti che le partite IVA) che hanno pagato e continueranno a pagare il prezzo più alto, in questa crisi dove il rischio d’impresa grava di fatto su di loro.
Non è quindi solo una discussione su voucher, art.18 o nuove forme contrattuali, ma è un discorso più generale sulle condizioni minime di lavoro sia in termini economici che di qualità della vita che deve entrare nel dibattito o continueremo a togliere i voucher per poi averli sotto un altro nome.
Riflessioni in finali in ordine sparso
Sono passati più di 15 anni dalla nascita della Mayday, ma, in qualche modo, siamo ancora nelle condizioni di partenza.
Il precariato è diventato il soggetto sociale maggioritario, nel senso che tutta quella platea di “garantiti” che fino a qualche anno fa era piuttosto ampia, dalla crisi del 2008 ha subito un attacco durissimo, sia dal punto di vista della tenuta occupazionale che di quella dei diritti. Il contratto a tempo indeterminato è stato attaccato frontalmente e parzialmente svuotato, così come ha subito un durissimo attacco la contrattazione nazionale cercando di privilegiare quella territoriale e delocalizzata. Tutto ciò ha indebolito drasticamente la possibilità di fare sindacato all’interno aziende.
Quella che, alcuni visionari, più di 10 anni fa chiamavano “precarietà totale” o “precarietà esistenziale” si è affermata prepotentemente.
Una buona parte delle nuove generazioni che non hanno avuto la possibilità di vivere il “vecchio” mercato del lavoro vivono il fatto di dover cambiare più di tre lavori in un anno più come una possibilità che come un limite, ma le dinamiche di solitudine e atomizzazione sono dilaganti.
Certo, tutti parlano di precariato e pracarietà, ma il tema viene agitato solo a scopo propagandistico o giornalistico. Nessuna risposta reale e risolutiva è ancora arrivata del mondo delle istituzioni.
Due le grandi domande non hanno ancora trovato soluzione:
-Come superare la trappola di una precarietà che, come dicevamo, ormai è diventata di massa e esistenziale?
-Come mettere in rete i precari superando il senso di solitudine e atomizzazione.
E due sono gli spunti forti che emergono dalle interviste.
Il primo è la necessità del reddito. In un mercato sempre più fluido e instabile, l’unica possibilità per poter vivere invece che sopravvivere, sembra essere questa: un reddito di base incondizionato che permetta di rompere definitivamente il ricatto della precarietà. E’ evidente che, perché questa proposta possa trovare una minima possibilità di realizzazione si dovrà sviluppare un clima politico favorevole (ed oggi inesistente) fatto da una forte spinta “dal basso” e da una minima disponibilità all’ascolto “dall’alto”.
Il secondo spunto riguarda invece il precariato e i luoghi che esso attraversa. Ci è sembrato interessante citare direttamente la risposta all’intervista per riportare per intero un pensiero che noi stessi condividiamo:
“Penso che una delle caratteristiche dell’ultraprecariato di oggi, specie chi lavora in voucher, sia quella di non poterci mettere la faccia. Sei talmente ricattabile che se ti lamenti ti licenziano, figurati se scioperi. In più il precariato oggi, a differenza della classe operaia di ieri, è frammentato, lavora quasi solo nel terziario e si vive poco dei problemi l’uno dell’altro tra colleghi, ma si avverte tanto tra amici e coetani che vivono le stesse condizioni lavorative. Se prima si diceva che era utile intrecciare le lotte penso che ora debba essere una tattica che sta alla base di tutto. Nei miei viaggi utopici secondo me bisognerebbe fare che se io lavoro da Foodora e tu in una ONG dove ti sfruttano, io vengo fuori dalla tua ONG e tu vieni fuori da Foodora, una sorta di precariato anonimo dove dato che chi lavora non ci può mettere la faccia vengono gli altri al posto tuo a protestare, e tu al posto loro, con dei delegati che si occupano di gestire le vertenze. Una delle esperienza di sindacalismo sociale fatto da ultra-precari che mi ha stupito di più è stata in Grecia, dove in questo modo riuscivano a rompere le scatole ai datori di lavoro senza rimetterci la faccia e il posto di lavoro. Se poi ci metti che nel terziario quasi tutte le aziende investono sul marketing e sul branding perché ormai quello è tutto, il danno di immagine diventa uno strumento di pressione che oggi più che mai può servire a raggiungere dei risultati. Spendono centinaia di migliaia di euro per rendere appetibile il loro logo, noi invece possiamo infangarli senza spendere un euro”.
Manca ormai meno di un mese al Primo Maggi 2017.
Vedremo se in quella data emergeranno energie capaci di rilanciare il discorso sul mondo del lavoro.
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