Israele/Palestina – La politica di Netanyahu tra attacchi militari e pena di morte selettiva
Lo scorso 9 novembre i media israeliani hanno diffuso la notizia che il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha approvato un progetto di legge che consentirebbe l’esecuzione di prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.
Secondo quanto riferito, nel corso della domenica Netanyahu ha dato il via libera ai membri di Likud, il partito nazionalista liberale e conservatore da lui guidato, a sostenere la legge sull’esecuzione dei prigionieri palestinesi, proposta nel 2017 dal partito Yisrael Beiteinu, guidato dal Ministro della Difesa israeliano, Avigdor Lieberman.
Al tempo, Lieberman aveva affermato che il disegno di legge avrebbe rappresentato un potente deterrente per i guerriglieri palestinesi: “Non dobbiamo consentire ai terroristi la sicurezza che dopo aver commesso un omicidio potranno starsene seduti in prigione godendo di questa condizione e sapendo che in futuro potrebbero essere rilasciati”.
Nonostante la legge israeliana preveda già la pena di morte, nessuna sentenza è più stata emessa dal 1962, quando lo Stato ebraico ha giustiziato l’ufficiale delle SS naziste Adolf Eichmann.
Tuttavia, la legge in vigore fino a questo momento consentiva ai tribunali militari israeliani di ricorrere alla pena di morte solo a seguito dell’approvazione unanime da parte di un comitato composto di tre giudici.
La proposta di legge sostenuta da Netanyahu eliminerebbe questa condizione, e consentirebbe dunque ai tribunali civili e militari israeliani di stabilire ed eseguire a propria discrezione condanne contro i palestinesi condannati per omicidio.
Il controverso disegno di legge aveva superato il voto preliminare di gennaio con 52 voti a favore e 49 contrari.
Secondo il gruppo Addameer (Prisoner Support and Human Rights Association), un’associazione non governativa che si occupa della difesa dei diritti dei prigionieri palestinesi detenuti in Israele, attualmente nelle carceri israeliane vi sono 5.640 prigionieri, di cui 465 si trovano in detenzione amministrativa (vale a dire soggetti a detenzione per “ragioni di sicurezza”), 53 sono donne, 270 sono minori e 50 hanno meno di sedici anni.
Molti politici palestinesi e attivisti per i diritti umani hanno già denunciato il disegno di legge e hanno espresso il loro disaccordo nei confronti di un provvedimento che garantirà a Israele una copertura legale per colpire i palestinesi, dal momento che, sebbene formalmente il testo della legge non faccia riferimento a un gruppo specifico, risulta ovvio dalle stesse parole di Lieberman che nel mirino continua ad esserci il popolo palestinese.
D’altronde, questo è solo uno degli ultimi tasselli del progetto di letterale abbattimento del “nemico” palestinese cominciato da David Ben Gurion, fondatore dello Stato di Israele.
Non a caso, parallelamente a questi progetti legislativi continuano la repressione militare in Cisgiordania e i bombardamenti nella Striscia di Gaza.
Da due giorni, infatti, la Striscia è sotto attacco e i bombardamenti hanno già causato diversi morti, decine di feriti e distrutto numerosi edifici, tra cui quello che ospitava la televisione di Hamas.
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La situazione è precipitata dopo un’incursione delle forze speciali israeliane a Khan Younis, nel sud della Striscia (per quanto è consentito sapere ai media internazionali la prima via terra dall’ultima guerra del 2014) avvenuta domenica notte, seguita da un bombardamento israeliano per proteggere la ritirata dei militari. Un’operazione che è costata la vita a sette palestinesi e, cosa ben più grave per il Primo Ministro israeliano che si trovava a Parigi per commemorare insieme agli altri leader internazionali la fine della Prima Guerra Mondiale, a un soldato israeliano. Ed essendo una delle sette vittime palestinesi un comandante militare del gruppo radicale Hamas, la risposta delle forze armate palestinesi non si è fatta attendere. Sono 200 i razzi che secondo i media israeliani sarebbero stati lanciati nel Paese a partire da lunedì.
Le operazioni militari proseguono e il bilancio delle vittime è inesorabilmente in crescita. Vittime, non c’è bisogno di dirlo essendo ormai la triste norma, nella maggior parte civili, quei civili che da troppo tempo subiscono una guerra della quale non si vede una possibile risoluzione.
E notare che l’operazione delle forze speciali israeliane di domenica notte è stata compiuta nonostante, nelle settimane passate, fosse apparentemente stata raggiunta un’intesa tra Israele e Hamas per ridurre le violenze e le tensioni in corso da mesi nella Striscia. Un’intesa mediata dall’Egitto e resa possibile dal sostegno finanziario del Qatar, che da tempo interviene nelle questioni palestinesi cercando di aumentare la propria influenza in quella sezione del Medio Oriente. L’intesa prevedeva l’arrivo nella Striscia di gasolio per azionare un secondo generatore nell’unica centrale elettrica di Gaza, e di soldi per pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici impiegati da Hamas.
Ancora una volta, il governo di Israele ha dimostrato il suo totale disinteresse nel rispettare gli accordi presi, facendo tesoro degli insegnamenti di papà Ben Gurion, che aveva già intuito come gli interessi internazionali della maggioranza delle potenze mondiali convergessero sempre e comunque nella direzione della preservazione, nonostante e malgrado tutto, dell’esistenza dello Stato di Israele.
S_M
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