Partigian* in ogni strada – Lo sciopero generale antifascista del marzo ’44
L’arma dello sciopero era stata da tempo messa al bando dal regime fascista. Il Codice Rocco del 1930 lo aveva espressamente vietato, ma già nel 1925 il Patto di Palazzo Vidoni aboliva il diritto di scioperare. Ciononostante fino all’attuazione della Carta del Lavoro del 1927 il Partito Comunista clandestino riuscì ad organizzare diverse mobilitazioni nelle fabbriche.
Poi i lunghi anni dello squadrismo e la guerra. Le agitazioni e le fermate del lavoro erano divenute isolate e parziali. Fino al 2 maggio 1942, quando a Carbonia in Sardegna si verificano degli scioperi di minatori contro il carovita negli stabilimenti di estrazione del carbone.
Poi il 26 maggio 1942 a Milano ci fu la prima manifestazione pubblica contro l’inflazione e la scarsità degli alimenti, diverse centinaia di donne sfilarono per alcune ore a Sesto San Giovanni, ne seguirono degli arresti.
Il primo duro colpo inflitto al regime dalla classe operaia arrivò nel marzo del 1943 con gli scioperi di Milano e Torino. Mussolini non potè fare a meno di notare che la vittoria sovietica di Stalingrado del mese precedente aveva rafforzato anche i suoi nemici interni. Le condizioni di vita si erano aggravate e il malcontento popolare iniziava a dare segnali, anche se le rivendicazioni dello sciopero del ’43 avevano ancora un carattere principalmente economico.
Nei mesi a seguire con l’armistizio dell’8 settembre e l’invasione nazista del nord Italia la situazione si evolve. L’area industriale di Milano è interessata da proteste già dal dicembre/gennaio ’44. Ma ad annunciare la vigilia della caduta del regime è lo sciopero generale del marzo 1944.
Il Comitato di agitazione del Piemonte, Lombardia e Liguria aveva proclamato lo sciopero generale in tutta l’Italia occupata a partire dal 1° marzo. La decisione presa dal CNL veniva su iniziativa dei comunisti. Le richieste erano di avere l’indispensabile per vivere, di non lavorare per la guerra, di non essere fermati, arrestati, deportati e torturati dai nazifascisti.
Gran parte degli industriali dimostrò ancora la propria natura intrinsecamente reazionaria, rifiutando di ricevere delegazioni operaie e consegnando la lista degli scioperanti ai tedeschi.
Nonostante i metodi spietati con cui dovettero fare i conti lo sciopero riuscì grandiosamente. Fu il più grande movimento di massa che ebbe luogo nell’Europa occupata dai nazisti. I mesi di preparativi avevano portato a qualche fuga di notizia, quindi i repubblichini sapevano la data in cui era previsto lo sciopero e alcuni obiettivi. Nel Biellese, nella Valsesia e nell’Ossola tentarono di frenarlo mettendo lavoratori e lavoratrici in ferie obbligatorie in blocco. Ma questo non bastò minimamente.
I grandi centri industriali di Milano e Torino furono completamente paralizzati. A Milano gli scioperanti furono 119.000 in cinque giorni e per tre giorni scioperarono compatti anche i tranvieri, i postelegrafonici e gli operai del «Corriere della Sera». In Lombardia tra l’Alfa Romeo, la Breda, l’Ercole Marelli, la Falck Innocenti, l’Isotta Fraschini, la Dalmine e molte altre si calcolano in totale circa 350.000 scioperanti, a Torino tra Fiat e le aziende collegate 32.600 scioperanti, per tre giorni. Lo sciopero si estese da Piemonte e Lombardia al Veneto, alla Liguria, all’Emilia ed alla Toscana e durò fino all’8 marzo. Due milioni di operai parteciparono al movimento appoggiato da forti manifestazioni di contadini e di donne della campagna, specialmente nell’Emilia.
I danni inflitti ai nazifascisti furono svariati. Per una settimana la produzione bellica venne interrotta. Obbligando a concentrare le forze verso i grandi centri industriali la pressione sulle unità partigiane diminuì, ampliando il loro margine d’azione. L’energia di lavoratori e lavoratrici rinvigorì, collegando città, campagne e la lotta sulle montagne. Il numero delle adesioni alla resistenza aumentò notevolmente.
A Milano le squadre gappiste interrompono a più riprese durante la settimana di sciopero le linee tranviarie e ferroviarie, tagliano i fili della corrente elettrica, abbattono piloni, asportano tratti di binario, attaccano pattuglie di militi repubblichini e di tedeschi. L’organizzazione delle SAP trovava un terreno fertilissimo nelle città e particolarmente tra gli operai. Moscatelli tenne un comizio in uno stabilimento della Elli Zerboni e quando finì di parlare tutti i quattrocento operai chiesero di essere arruolati in massa nelle formazioni, così dovettero convincerli che dovevano considerarsi, nella fabbrica, come partigiani combattenti.
Secondo dati repubblichini agli scioperi del 1944 parteciparono 208.549 operai. Hitler ordinò la deportazione nei lager del 20% degli scioperanti (70.000 persone), i tedeschi riuscirono a deportare in Germania circa 1.200 persone.
Gli scioperi del 1944 rappresentarono uno spartiacque nella storia della resistenza e della lotta operaia durante la guerra. Il potere dei nazifascisti andava sgretolandosi e di lì in avanti sarà l’inizio della loro fine.
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