Metalmeccanici – Nuova sconfitta per il falco Bonomi, ma il problema è il futuro
Rinnovo con aumenti del contratto nazionale dei metalmeccanici.
Mentre il Presidente di Confindustria Carlo Bonomi festeggiava in modo scomposto per l’incarico a Mario Draghi subiva però una nuova sconfitta sul fronte del rinnovo dei contratti.
Il 5 febbraio è stato infatti firmato l’accordo per il nuovo contratto nazionale dei metalmeccanici (scaduto nel 2019 e che dovrà essere sottoposto a referendum tra i lavoratori) che vede coinvolti circa un milione e mezzo di lavoratori e lavoratrici e che, a differenza dei diktat dell’oltranzista Bonomi, che negava qualsiasi aumento che non fosse il semplice recupero dell’inflazione, ha visto la trattativa chiudersi con un aumento medio di circa 112 euro lordi sui minimi di regime.
Certo, non si tratta di un CCNL rivoluzionario come quelli degli anni Settanta, ma va detto che, in tempi di pandemia, con le aziende che piangono costantemente miseria, un rinnovo con aumenti salariali non simbolici è sicuramente una vittoria per il fronte sindacale.
Al contratto dei metalmeccanici va ad aggiungersi la vicenda particolare del contratto nazionale dell’alimentare.
Qui si è assistito a un fatto abbastanza inedito: alla rottura all’interno del fronte datoriale e non di quello sindacale.
12 associazioni (su 15) dell’industria alimentare hanno firmato il rinnovo 2019-2023 con aumenti di circa 119 euro. Manca tra i firmatari Federalimentare che è appiattita sulle posizioni di Bonomi il cui diktat è: “Nessun aumento”. Le parti padronali che hanno firmato il rinnovo hanno comunicato di aver voluto dare un riconoscimento concreto a lavoratori e lavoratrici che si sono sacrificati durante l’epidemia di Covid.
E’ evidente che il leader degli industriali, se sta subendo una serie di sconfitte nel campo di battaglia che più lo riguarda, quello dei contratti, ma ha sicuramente ottenuto una grande vittoria politica con l’incarico a Mario Draghi.
Come a dire: sconfitte tattiche e vittoria (per ora) strategica.
Confindustria pensa che Draghi possa essere un orecchio più sensibile alle sue richieste rispetto al Governo Conte.
Il banco di prova, che fa tremare le vene ai polsi a tutti, è la scadenza del blocco dei licenziamenti.
Quella sarà la pietra angolare e il passaggio decisivo capace di mostrare in modo esplicito come si schiererà il futuro governo (ammesso e non concesso che esso vada in carica).
Sui licenziamenti la posizione di Confindustria è molto chiara. Il blocco può essere prorogato solo per quelle aziende che hanno dovuto tenere chiuso in base ai vari decreti emergenziali. Le altre devono essere libere di ristrutturare. Gli oneri sociali, ça va sans dire, saranno tutti a carico dello Stato e della collettività…
Il 31 marzo (dalla di scadenza del blocco) rischia quindi di essere il giorno decisivo per capire la strada che intraprenderà questo paese.
La storia di Draghi e gli interessi economici che ha sempre rappresentato sembrano parlare abbastanza chiaro, ma di mezzo, si sa, c’è stata e c’è ancora la pandemia.
Staremo a vedere.
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