Benvenut@ in Italia

ImageOgni giorno la cronaca ci parla di sbarchi, arrivi, persone che approdano sulle coste italiane. Cosa succede al loro arrivo? Come accogliamo queste persone al loro sbarco? Chi le aspetta?
 
Tante sono le cause che spingono le persone a migrare dal proprio luogo di nascita: vi sono fattori strutturali come l’assetto sociale, politico e quindi crisi, guerre, dittature, oppure fattori economici tra cui l’innegabile differenza di reddito e stile di vita tra le diverse aree del pianeta, oppure ancora fattori legati a sconvolgimenti ambientali e quindi catastrofi naturali come terremoti, deforestazione, industrializzazione, l’inquinamento dilagante e fortemente compromettente di alcune zone del mondo.
Ognuna di queste motivazioni porta con sé la voglia di cambiare il proprio destino e il modo di vivere l’ambiente sociale e fisico.
 
Secondo i dati ISTAT le persone in fuga nel mondo si aggirano circa sui 51,2 milioni di cui 1,2 milioni di richiedenti asilo, 16,7 milioni di rifugiati – di cui la maggior parte rimane in regioni dell’Africa dell’Est -, e 33,3 milioni di sfollati. Sempre secondo le fonti ISTAT, si prevede che il numero degli sbarchi in Italia nel 2016 si aggiri sui 47.785 persone contro il 47.463 del 2015. Insomma i numeri rimangono alti ma tuttavia costanti nel tempo, nessuna sorpresa o aumento come talvolta i tendenziosi articoli riguardo l’immigrazione vogliono farci credere. Nel 2013 i Paesi di accoglienza finali che assorbono questi flussi sono rispettivamente: 15,15% Francia, 12,45% Svezia, 6,40% Inghilterra, 6,40% Italia e il 30,1% negli altri paesi europei.
 
In tutta questa pangea di dati e notizie, è bene ricordare che il diritto di asilo è una richiesta individuale ovvero inerente esclusivamente all’individuo che ne fa richiesta: qualsiasi persona può muovere questa richiesta allo Stato italiano in qualsiasi momento e circostanza. È una libertà individuale e diritto fondamentale riconosciuto dalla Costituzione italiana:
“Lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Articolo 10 Costituzione, comma 3
Il SOP (Standard Operating Procedure) è la procedura standard che si occupa di disciplinare la messa in regola dell’Hot Spot; quest’ultimo viene spesso inteso nel senso comune come centro di primissima accoglienza, ma in realtà non è che una modalità operativa che definisce la gestione degli sbarchi e le diverse fasi di procedure relative alla messa in regola dei migranti nei diversi centri d’accoglienza come la protezione internazionale, la relocation, la regolarità-irregolarità e l’eventuale espulsione dell’arrivato.
Secondo il decreto amministrativo n°142 del 18 Agosto 2015, vengono definite le diverse mansioni e dinamiche descritte nell’Hot Spot e attuate nei CPSA (Centri di Primo Soccorso e Accoglienza) delle diverse aree italiane che sono Lampedusa, Taranto, Pozzallo e Trapani. La procedura Hot Spot è dunque una sequenza operativa che riguarda anche le operazioni di primo salvataggio e sbarco, dello screening sanitario – che avviene anche direttamente sulla nave -, dell’identificazione della vulnerabilità dei soggetti arrivati e della pre-identificazione delle persone approdate.
 
Ma quindi cosa accade al momento dello sbarco?
 
Una volta che la nave arriva sulle coste italiane, le persone che scendono devono seguire un percorso delineato visivamente da linee colorate e “gentilmente” indicato fisicamente dalle Forze dell’Ordine che si premurano di accertare che non vi siano fughe inaspettate, munite di mitra e armi varie; la prima tappa del percorso è il CRI, il tendone Croce Rossa presso cui vengono scortate le persone malate o fisicamente debilitate già identificate nel primo controllo sanitario avvenuto sulla nave d’arrivo. Il secondo step è invece il FRONTEX in cui vi sono gli uffici d’immigrazione e qui avviene la pre-identificazione con tanto di fotoidentificazione; a tutti viene consegnato un braccialetto con un numero, quello dello sbarco. Poi vi è un altro CRI in cui vengono portati i soggetti contagiosi e particolarmente vulnerabili. Infine, quinta e ultima tappa è data dai bus che portano le restanti persone ai centri CPSA.
È importante sottolineare due cose: innanzitutto ogni sceening sanitario è operato dall’USNAF ovvero da medici militari; l’esercito è presente in ogni sua forma e ricopre quasi tutte le mansioni inerenti l’accoglienza. Dall’approdo alla sanità, dal direzionamento delle persone durante tutto il percorso obbligatorio alle operazioni di salvataggio in mare (operazioni SAR), i militari sono le persone a cui è affidato il “benvenut@” in Italia. Secondariamente, la pre-identificazione dovrebbe essere fatta solo una volta che tutte le persone hanno messo piede sul suolo italiano – e perciò a terra – in quanto, secondo la Costituzione, chiunque ha diritto e quindi la libertà di essere accolto in Italia.
Tuttavia, andando anche contro le direttive ministeriali in atto, le informazioni sui e sulle accolte non vengono raccolte nella prima identificazione che avviene a terra bensì in quella che avviene ancora in mare sulla nave. Quindi molte volte accade che le notizie inerenti la persona accolta siano in realtà sfalsate dal metodo di rilevamento. Vi sono due sistemi di rilevazione con altrettanti database di riferimento: sulla nave viene messo in atto il sistema AFIS, procedura italiana di prelevamento e rilevazione delle impronte ideata in accordo con il Trattato di Dublino; successivamente viene attuato il secondo rilevamento EURODAC dove le impronte che vengono memorizzate sono inviate in un database condiviso a livello europeo.
Dunque le informazioni inerenti le diverse persone accolte sono il più delle volte falsificate dagli stessi modi di rilevamento: se si considera il fatto che il viaggio in nave che intraprendono queste persone dura in media dai quattro giorni fino ai nove giorni in condizioni di vita estreme (di acqua, cibo, igiene, spazi…), e perciò noi possiamo solo lontanamente immaginare le condizioni fisico-mentali allo sbarco e la lucidità che si può avere all’arrivo, le domande poste ancora sulla nave dai militari possono essere tranquillamente falsificabili e tendenziose per le persone stesse. In questo gioca un ruolo fondamentale anche il portato culturale di molti: molte volte accade che, per esempio, le persone all’arrivo non dichiarino di volere la protezione internazionale pur venendo da paesi in cui vige una dittatura o uno Stato totalitario ma di essere venuti per motivi economici. Questo fatto è dovuto ad un’identificazione molto forte con il proprio paese d’origine e al conseguente sentimento di disagio che sorgerebbe nel dissociarsi da questo. Per esempio, molti eritrei che provengo da uno Stati dittatoriale, difficilmente dichiareranno di volere la protezione internazionale in quanto vivrebbero questa dichiarazione con umiliazione e disonore. Perciò molte volte persone che possono usufruire di una conoscenza limitata della giurisdizione europea e italiana, dichiareranno di essere migranti economici piuttosto che rifugiati politici. Questo fatto va a cambiare in modo sensibile i diritti di cui si vedono investiti.
 
Ma non è tutto: il primo fotosegnalamento che avviene sempre sulla nave, grazie alla normativa numero 400/A/2014/1.308 del 25 Settembre 2014 , può avvenire anche in modo forzato:
“…è doveroso un uso della forza proporzionato a vincere l’azione di contrasto, nel pieno rispetto dell’integrità fisica e della dignità delle persone”.
In sostanza, l’identificazione delle impronte e fotografica delle persone che arrivano è giustificatamente e legalmente possibile anche con metodi estremamente invasivi. La violenza legale, dello Stato è ancora una volta riconosciuta e giustificata, legittima.
 
Ultima chicca: una volta accolti nei CPSA, i nuovi arrivati possono soggiornarvi per mesi poiché i centri d’accoglienza sparsi per tutta Italia e amministrati dalle diverse Prefetture sono ormai sovraffollati e impreparati ad accogliere questo flusso stazionario. È bene far presente che una volta riusciti ad ottenere il proprio sudato e desiderato posto nel centro d’accoglienza, chiunque decida di assentarvisi per più di 72 ore per tentare di passare il confine o per qualsiasi altro motivo, perde il diritto all’accoglienza e non potrà più essere accettato in nessun centro d’accoglienza, in nessun luogo d’Italia.
 
Militari, impronte obbligatorie, fotosegnalazione, databese nazionali e internazionali, braccialetti con numeri, ghettizzazione senza uscita nei centri d’accoglienza: ecco che il benvenut@ all’italiana viene a delinearsi come un sistema di controllo fatto a puntino e senza vie di fuga.
 
Stay Human.
 
Marta
 
FONTI:

Tag:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *