“Cʼè molto odio in giro e lui sa come servirsene”

Cosa sarebbe successo se le elezioni presidenziali del 1940 negli Stati Uniti avessero visto Franklin Roosevelt sfidare Charles Lindbergh, lʼeroe aviatore simpatizzante nazista?
E se questʼultimo le avesse vinte quelle elezioni?
Cosa sarebbe successo agli Stati Uniti avessero stretto un patto con la Germania nazista e non fossero mai entrati in guerra?
Ce lo raccontava, nel 2004, Philip Roth nel suo romanzo “Il complotto contro lʼAmerica” narrazione potente ed angosciante di un ipotetico cambio di binari della storia.
Lʼadattamento televisivo, prodotto da HBO e diretto da David Simon ed Ed Burns (di cui già ci fidiamo perché creatori di quel capolavoro di The Wire) rispecchia la complessità e lo spirito del romanzo, probabilmente anche grazie al formato seriale che permette di dare il giusto spazio a personaggi ed eventi così complessi, trasportandoci in uno scenario storico inquietante in cui il nostro presente sarebbe diverso (ma sarebbe tanto diverso?) da quello che viviamo.

La storia viene raccontata dal punto di vista di una famiglia di origini ebraiche, i Levin (Roth nel romanzo) una classica famiglia della media borghesia americana: lʼassicuratore Herman , la casalinga Bess e i loro due figli. La tranquillità però viene sconvolta quando si paventa la possibilità che il filo-nazista Lindbergh, per molti eroe popolare, possa vincere le elezioni presidenziali portando anche negli USA posizioni di discriminazione razziali ed antisemite.
Mentre in famiglia nasce lʼincubo per un possibile futuro di razzismo e fanatismo, la sorella di Bess è sempre più affascinata da un rabbino conservatore (un bravissimo Turturro) che presto diventerà un prezioso alleato di Lindbergh arrivando anche a promuovere una campagna per portare i giovani ebrei nelle fattorie del sud e renderli sostanzialmente “meno ebrei”.
Così, mentre molti ebrei si spostano in Canada, La famiglia Levin decide di restare attuando una sorta di resistenza nel luogo che resta comunque casa loro. Nel frattempo il nipote di Herman, stanco di non poter essere parte attiva contro i nazisti, parte volontario per il fronte europeo.

Negli ultimi anni vediamo sempre più spesso prodotti televisivi in cui si racconta di come il corso della storia sarebbe potuto cambiare (o potrebbe ancora cambiare) se un evento, o una serie di eventi, fossero andati (o andassero) in modo diverso.
In The Handmaid’s Tale una guerra civile porta al comando un regime totalitario ultracattolico e la società viene divisa in nuove classi sociali in cui le donne sono brutalmente soggiogate.
The Man in the High Castle, basato sul romanzo di Philip Dich “La svastica sul sole”, è ambientata in un passato alternativo in cui le potenze dellʼAsse hanno vinto la guerra, gli Stati Uniti non esistono più e sono dominati da Giappone e Germania.
For All Mankind racconta una storia alternativa in cui lʼURSS batte gli Stati Uniti nella corsa allo spazio, effettuando il primo sbarco sulla Luna.
Senza contare i vari futuri distopici di film e serie tv.
Quello che però differenzia Il complotto contro lʼAmerica è, da una parte la struttura narrativa che, pur con qualche correzione della prospettiva (gli eventi non vengono narrati dalla sola voce di Philip, il figlio minore, come nel libro ma è un racconto corale dellʼintera famiglia) riesce a trasmettere perfettamente le atmosfere e le dinamiche del romanzo; quella tensione crescente che corre nei grandi eventi come nei piccoli episodi, quasi trascurabili, di intolleranza che però nascondono un evidente rotta razzista, suprematista ed antisemita. Dall’altra parte cʼè lʼinevitabile parallelo con la storia attuale, quell’America first, quel lento insinuarsi di comportamenti razzisti che diventano quotidiani, quell’incredulità di fronte alla vittoria di un personaggio improbabile, non può che far pensare non solo allʼamministrazione Trump, come molti hanno sottolineato, ma ad un governo populista e reazionario che potrebbe essere ovunque e in qualunque tempo.
Lo stesso Roth, che nel romanzo racconta un suo personale incubo, nel 2004, in unʼAmerica ancora scossa dall’11 settembre, temeva che la politica di Bush jr. riuscisse a porre le basi per un futuro suprematista e intollerante trasformando la rabbia del popolo in odio e servendosi di esso.

Nel finale del romanzo di Roth cʼè uno spiraglio di speranza; le nuove elezioni del 1942 sono vinte da Roosevelt, riportando la storia sul binario della realtà: Pearl Harbor viene attaccata dai giapponesi e lʼAmerica entra in guerra contro la Germania e il Giappone.
Nella serie, invece, il finale resta aperto, non si ha una conclusione delle elezioni anzi si vedono alcune azioni, come le schede per Roosevelt date al fuoco da agenti del governo e il KKK che brucia alcune case di oppositori, che non fanno presagire un lieto fine e che sembra quasi che, questa volta, riportino la storia sul binario di quella che stiamo vivendo.
Cast ottimo, dai più noti ai più giovani attori; fotografia convincente e la regia superba di due dei migliori registi di serie degli ultimi anni.
Assolutamente da vedere.

AD

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