«Basta applausi». La protesta degli infermieri

Nasce da tre colleghi di Roma e in pochi giorni raccoglie migliaia di adesioni in tutta Italia. È il Movimento Nazionale Infermieri, una compagine nuova, completamente auto-organizzata, che ha occupato ieri le piazze di 33 città, per chiedere riconoscimento professionale e diritti sul lavoro. «Non vogliamo più applausi dai balconi, né essere chiamati eroi. Non siamo in piazza per un bonus Covid. Ma per una rivoluzione culturale» dice Diego Roviti nell’intervento letto in piazza a Roma.

«Siamo infermiere e infermieri. Da nord a sud. Senza partiti, né sigle» spiega Alessia Rossi, infermiera di terapia intensiva al San Camillo di Roma. Tra le rivendicazioni, l’uscita dal Ccnl del comparto sanità, e la definizione di un contratto esclusivo per la professione infermieristica che tenga conto delle competenze specialistiche, della natura usurante del lavoro e delle responsabilità giuridiche, adeguando salari e indennità agli standard europei.

«Una collega spagnola guadagna circa 35mila euro annui, un collega belga 53 mila, in Italia stiamo sui 28mila lordi, con salari quasi fermi al 2009» spiega Rossi. L’organizzazione si è svolta soprattutto in rete, tramite un gruppo Facebook creato tre settimane fa e che conta attualmente oltre 38mila iscritti. A Milano erano diverse centinaia, numeri simili a Roma e negli altri capoluoghi, molto attraversati anche gli eventi dei centri più piccoli come Brescia, Benevento, Lecce. Distanza di sicurezza, braccia conserte e palloncini rossi, i segni distintivi della protesta.

«I numeri sono sorprendenti, e non rendono conto della partecipazione virtuale, centinaia di foto con l’hashtag #ancheiosonoinmovimento da parte di chi non poteva esserci fisicamente. Abbiamo indetto questa giornata senza un sciopero alle spalle e senza l’attenzione dei media. Non siamo contro i sindacati, se ci appoggeranno saremo contenti, ma c’era bisogno di prendere parola, di non essere rappresentati da qualcuno ma attivarci in prima persona» racconta ancora Alessia, del San Camillo. Tra le richieste anche lo sblocco delle graduatorie per l’assunzione di nuovo personale e la stabilizzazione dei precari per ridurre il carico di stress psico-fisico e migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria. «Vogliamo anche poter esercitare la professione liberamente come fanno i medici e che siano equiparati i contratti tra pubblico e privato. Nella sanità privata siamo trattati anche peggio» conclude Alessia Rossi.

di Shendi Veli

da il Manifesto del 16 giugno 2020

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