Grave provocazione contro i movimenti per la giustizia climatica. Perquisito il Centro Sociale Rivolta
Stamattina dalle prime ore dell’alba un imponente dispositivo di Forze dell’Ordine si è attestato nel piazzale davanti al centro sociale Rivolta sfondando l’ingresso pedonale per dare inizio alla perquisizione degli spazi del centro sociale. L’operazione è conseguente alla seconda edizione del Venice Climate Camp, nell’ambito del quale lo scorso 10 settembre attiviste e attivisti hanno bloccato l’impianto di Eco-progetto di Veritas, in cui dovrebbe sorgere il nuovo inceneritore, e il 12 settembre la neonata rete Rise Up 4 Climate Justice ha sanzionato la raffineria ENI di Porto Marghera.
Decine di uomini in assetto antisommossa e diversi blindati hanno bloccato l’accesso mentre la perquisizione è iniziata senza nessuna comunicazione preventiva e non in presenza di alcun responsabile. Gli spazi del centro sociale, di proprietà del comune, sono stati concessi in uso mediante convenzione: il piano formale, in questo caso, è stato bypassato da un piano di forza.
Già nei giorni seguenti all’iniziativa erano state registrate durissime reazioni da parte degli apparati istituzionali: media, sindacati, confindustria ed esponenti politici nell’immediato hanno invocato la più dura reazione nei confronti del neonato percorso Rise Up 4 Climate Justice.
L’operazione si è conclusa, come prevedibile, con un grande buco nell’acqua.
È invece evidente il tentativo di fare un’intimidazione politica: gli apparati giudiziari e polizieschi, su chiaro mandato di ENI e Veritas, rispondono all’esigenza di colpire e reprimere chi sta toccando il cuore del problema.
È sempre più palese che le iniziative politiche che scoprono nodi nevralgici e svelano contraddizioni fanno paura. Come è chiaro che fanno paura i grandi movimenti che da tempo stanno chiedendo a gran voce un cambio radicale dell’attuale modello di sviluppo: la criminalizzazione di attivisti e attiviste risponde proprio a questo progetto e al tentativo di costruire una narrazione distorta delle colpe e delle responsabilità della devastazione dei territori. In tutto questo assistiamo a un paradosso: da un lato la pandemia di Covid-19 è un prodotto della crisi climatica in atto, dall’altro qualcuno sta gestendo la crisi in corso proprio tentando di cancellare quei movimenti che continuano a mettere in luce il nesso tra estrattivismo selvaggio, mutamento degli equilibri ecosistemici e diffusione dei virus.
C’è di più: il Venice Climate Camp è stato, tra le altre cose, un laboratorio di cura collettiva, in cui è stato costruito un dispositivo di tutela della salute di tutti e tutte. Tra le precauzioni che sono state prese vi era la richiesta, per chiunque accedesse all’area del Venice Climate Camp, di lasciare un proprio recapito da utilizzare per comunicare eventuali casi di contagio. Questi dati sensibili sono stati sequestrati dalle forze di Polizia, che ha dichiarato di volerli usare per sapere chi ha preso parte al campeggio climatico. Si tratta non solo di una grave violazione, ma di un esempio di come dispositivi giuridici atti alla tutela sanitaria possono essere utilizzati con finalità diverse per la repressione politica.
Nonostante questo, i movimenti che lottano per la giustizia climatica usciranno più forti di prima. Già oggi in tutte le città ci saranno iniziative di solidarietà da parte di tutti/e gli/le attivisti/e nazionali di Rise Up 4 Climate Justice. Anche da diverse parti d’Europa sono arrivati messaggi di solidarietà, da parte di coloro che a settembre hanno attraversato e dato vita al Venice Climate Camp e alle iniziative a esso legate.
La lotta per la giustizia climatica non si ferma.
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