Lo tsunami della crisi sociale: 274 mila disoccupati in un mese
L’Istat ha registrato i primi effetti della crisi sociale e occupazionale innescata dall’emergenza Covid 19. Ad aprile 2020 la disoccupazione è aumentata di 274 mila persone. Un aumento inedito in un solo mese, in particolare tra i precari a tempo determinato: -129 mila. Più colpite le donne (-143mila), gli uomini senza lavoro sono 131mila in più, e anche le partite Iva (-69mila). In due mesi di confinamento, e di blocco parziale della produzione in Italia, i disoccupati sono diventati complessivamente 400 mila in più. In tre mesi: -497mila. Il tasso di inattività è aumentato in misura esponenziale. Quest’ultimo indicatore restituisce, anche se parzialmente, la condizione del precariato di chi cerca un lavoro, ma non è in grado di trovarne uno perché il «mercato» è stato spazzato via dalla crisi. Gli inattivi sono aumentati di 746 mila, mentre in un anno sono diventati un milione e 462mila (+11,1%). È una precarietà al cubo. È una spia di una situazione più generale: il precariato di massa già esistente si sta allargando ancora di più e strutturando in una disoccupazione di lunga durata con un ulteriore perdita netta di salari già bassissimi e con tutele sociali insufficienti, categoriali, temporanei, quando esistono.
Il secondo tempo della crisi è dunque iniziato. L’esecutivo ha già previsto mezzo milioni di disoccupati nel documenti di economia e finanza (Def). Nella relazione annuale Banca Italia ha parlato di oltre 800 mila, ma potrebbero superare persino i due milioni in determinate condizioni. Nei dati Istat di ieri va evidenziato il ruolo che ha avuto il blocco dei licenziamenti rinnovato dal decreto rilancio per un totale di cinque mesi. Un altro boom della disoccupazione potrebbe avvenire il giorno dopo la scadenza di questo termine. Per evitarlo i sindacati stanno chiedendo il governo l’estensione del blocco. Valutazione convergente va fatta sull’estensione delle casse integrazioni. Il Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha sostenuto che questo istituto, a garanzia della continuità produttiva delle imprese ma non della tutela della totalità dei salari dei lavoratori, è servito per il momento ad evitare gli aumenti spaventosi della disoccupazione che si sono visti negli Stati Uniti dove, in poche settimane, ci sono stati oltre 40 milioni di disoccupati in più. Resta tuttavia da capire da oggi, fino a ottobre quando dovrebbe terminare questo lungo ciclo che riguarda complessivamente 7 milioni di lavoratori dipendenti, garantiti solo parzialmente sulla totalità del salario quanti di questi riuscirà a mantenere il lavoro. Per fermare la valanga i sindacati chiedono il prolungamento sia del blocco dei licenziamenti che degli ammortizzatori. Questi ultimi, va ricordato, sono stati riformati dal Jobs Act di Renzi e del Pd per tutt’altra funzione: garantire il meno possibile il lavoratore che ha perso il lavoro e rispedirlo nel più breve tempo possibile nel precariato. Nella recessione sono opposte: oggi è necessario concepire tutele di lungo periodo per tutti i disoccupati, precari e inoccupati.
I circa venti miliardi di euro dal fondo europeo «Sure» annunciati ieri da Conte serviranno ad allungare per sei mesi o un anno la cassa integrazione. Nella prospettiva di una crisi pluriennale potrebbero non essere sufficienti. È stata prospettata più volte una riforma in queste settimane dalla Ministra del lavoro Nunzia Catalfo. Sarebbe necessaria una misura unica e universalistica che garantisca il salario pieno, non un meccanismo decrescente che si esaurisce abbandonando il lavoratore in una giungla di sussidi in esaurimento. La natura «senza precedenti» della crisi, per intensità e durata, imporrebbe una trasformazione radicale degli ammortizzatori sociali e del Welfare. In questa chiave andrebbe esteso il cosiddetto «reddito di cittadinanza» senza vincoli né condizioni verso un reddito di base. Una nuova cittadinanza sociale, questo è il patto di cui c’è bisogno, per garantire l’autonomia di chi non ha lavoro o lavora precariamente nella crisi. E oltre. Ma il governo non sembra essere intenzionato a percorrere questa strada.
di Roberto Ciccarelli
da il Manifesto del 4 giugno 2020
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