Nella seconda recessione aumentano i «ristori» ma il welfare resta a pezzi

Ogni «Dpcm» comporta uno o più decreti «ristoro». Lo stillicidio continuerà seguendo l’andamento della curva epidemiologica. Sulla base della geografia variabile delle chiusure e delle riaperture decise dall’algoritmo che attribuisce una patina di oggettività al passaggio delle regioni da un colore all’altro (giallo-arancio-rosso) il governo centellina micro-misure risarcitorie settore per settore, in particolare nei servizi. Solo nell’ultimo mese, i ha stanziato almeno 15 miliardi di euri per finanziare i suoi ristori. Tanto più durerà l’emergenza, tanto più si dovranno fare scostamenti di bilancio, con o senza deficit, per finanziare le perdite. Ma non sarà sufficiente e questo determina il rischio di fallimenti. Ieri il centro studi Confindustria ha previsto una «seconda recessione» che colpirà commercio e ristorazione. La crisi è a «W», cioè crolli e riprese a ripetizione, e non a «V»: cioè un solo crollo e poi una crescita repentina. Queste previsioni sono state già fatte negli ultimi dieci giorni sia dalla Banca Centrale Europea, sia dalla Commissione Europea.

È in questo schema che si inserisce il terzo decreto «ristori» varato in nemmeno un mese dal governo. E già si prepara il quarto la prossima settimana. Poi a gennaio, o quando si tornerà a chiudere per il ritorno della pandemia dopo la simil-apertura natalizia, si ricomincerà. Le nuove risorse stanziate sono 1,95 miliardi con uno scostamento di bilancio da otto miliardi che finanzierà il quarto decreto e il rinvio del secondo acconto Irpef, Irap e Ires del 30 novembre, i contributi previdenziali e ritenute fiscali del 16 dicembre e Iva il 27 dicembre per le imprese che hanno perso nel primo semestre almeno il 33% del fatturato e che fatturano fino a 50 milioni di euro. Ci sono anche 1,5 miliardi per finanziare in modo automatico le misure delle categorie costrette a chiudere nelle regioni che hanno cambiato colore. In questo bricolage sfugge sempre qualcosa o qualcuno. Nel penultimo giro di «ristori» sono rientrati i negozi di calzature e accessori. Ora sono destinatari degli aiuti a fondo perduto perché il loro codice ateco 47.72.10 è stato inserito nel nuovo decreto. Il nuovo scostamento, di bilancio sarà «l’ultimo» ha detto l’ottimista Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Sul fronte politico, nel centrodestra ieri Salvini e Berlusconi hanno fermato le loro baruffe e si sono parlati. al telefono. «Se ci spiegano come usano i soldi, noi siamo disponibili a sostenere le proposte del governo» ha detto Salvini. Poi ci sarà la manovra, ormai superata dall’emergenza, e in corso di riscrittura. Per il 2021 erano previsti 3,8 miliardi. Troppo pochi. Si dice che ce ne vorranno venti in più.

Nel tetris dell’economia dell’emergenza la preoccupazione del governo è «ristorare» imprese e famiglie. Ma questa logica non sembra essere appropriata per affrontare l’emergenza sociale provocata dal blocco a singhiozzo della domanda e dell’offerta. Nel nuovo decreto si finanzia un fondo di 400 milioni destinato ai comuni per gli aiuti alimentari alle famiglie. In precedenza è stato prolungato il «reddito di emergenza» per i poveri che non rientrano nel «reddito di cittadinanza». Sono interventi spot di ultima istanza, tappabuchi che rispondono a una visione complessiva di una crisi che durerà parecchi anni e non può essere affrontata con iniziative estemporanee. In questo caso non vale la logica del «fondo perduto» riservata alle imprese. Per accedere al «reddito di emergenza» (in media 400 euro al mese) bisogna rispondere a precisi criteri fiscali e patrimoniali. Questa impostazione ha prodotto un paradosso: respingere una parte della platea potenziale alla quale la misura sarebbe diretta. Questo meccanismo perverso è stato evidenziato anche nell’ultimo rapporto della Caritas. Agli «invisibili» che non rappresentano alcuna «categoria» in una società ri-feudalizzata dall’emergenza non resta altro che chiedere aiuto alle mense o ritirare un pacco alimentare dal comune. Questo spiega l’aumento già registrato di chi si rivolge alla Caritas. I nuovi poveri sarebbero già 450 mila in più che si aggiungono ai 4,7 milioni del 2019. Senza contare precari e partite Iva che hanno perso il lavoro: meno 470 mila secondo l’Istat nel secondo trimestre. Più che i bonus, serve un welfare universale. Nulla di tutto questo: si aspetta il ritorno alla «normalità» e il miracolo del vaccino. La pandemia sociale continuerà nel «mondo del dopo».

di Roberto Ciccarelli

da il Manifesto del 22 novembre 2020

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