Non è una donna in quanto tale che garantisce il cambiamento

NON CI PACIFICHIAMO!

“Non ho ragione di scusarmi, il video era pubblicato su altri siti”
Così Giorgia Meloni si è espressa in merito alla pubblicazione sulla sua pagina Twitter del video sullo stupro di Piacenza.

Non è necessario andare molto lontano o tracciare complicate parabole politiche.
Una donna che non tiene conto dell’importanza del consenso, che sfrutta una violenza sessuale per giustificare una politica sulle immigrazioni razzista e xenofoba, non è una donna che ha a cuore la libertà di tutte*.
Ci sono punti sul finanziamento ai CAV nel suo programma?
Una donna che fa parte di un partito che lavora per eliminare il diritto di accesso all’IVG, non è una donna che crede nell’autodeterminazione delle * donne* e nemmeno nella parole “Yo Decido”.
Una donna che parla di devianze riferendosi anche a delle malattie e non propone invece strumenti e supporti per le stesse, non è una donna che ha a cuore la cura e il bene collettivo.
Una donna che è il volto del sostegno economico alla famiglia solo se tradizionale, che parla di Reddito di cittadinanza come della rovina del paese, che promuove un concetto di lavoro dove la dignità non trova posto, non è una donna che crede nell’impoteramento delle fasce meno privilegiate della popolazione.

A fronte di questi e molto altri aspetti, quanto conta che sia una donna?
Quanto conta il suo sesso biologico per determinare che il fatto che concorra ad essere la prima ministra venga accolto con una certa soddisfazione anche da chi non ne condivide il programma politico, solo perché donna?
E quanto una femminista e transfemminista intersezionale può invece asserire con convinzione che una sua eventuale vittoria non sia un evento in un paese che non ha mai avuto una Prima Ministra, che non ha mai visto donne ricoprire cariche dello Stato nel settore dell’economia e della finanza, che ha visto solo 4 donne alla Presidenza della Camera, una al Senato e che spesso è stato testimone e attore di misoginia e sessismo nei confronti delle stesse?

Queste domanda sono doverose auto-provocazioni su cui vale la pena riflettere.

Inutile nascondersi dietro le proprie convinzioni e mettersi le cosiddette fette di prosciutto sugli occhi: per le maggior parte della gente, a prescindere dal genere, dal credo politico e dall’estrazione sociale, una donna come prima ministra in Italia è un evento, un possibile segnale dei tempi che cambiano.
“Entrerà nei libri di storia” , citando un compagno con cui ragionavo.
Questa è una realtà con cui fare i conti.
Non importa chi sia, con chi si candidi, quale sia la sua storia politica: si pensa che in qualche modo questo si traduca in una possibilità per tutte le donne di “arrivare” e di essere rappresentate.

Un altro aspetto, sollevato anche da un recente articolo de “il Post”, è legato alla realtà per cui a “sinistra” nessuna donna è mai arrivata a “rischiare” di arrivare a ricoprire una delle due prime cariche dello Stato, mentre dalla destra fascista, della donna schiava- zitta – pulisci e chiava, arriva il colpo di scena al femminile che sorprende l’Italia.

Come ci spieghiamo tutto ciò?

Guardando solo a destra verrebbero da fare due considerazioni.
Da una parte la storia di Giorgia Meloni non è quella del fascismo becero, ignorante nelle attitudini e ottuso nelle idee, quello dei muscoli e delle prove di forza.
È anche vero però, che la Giorgia che fa gavetta politica e distribuisce volantini è solo una minima parte della storia.
Giorgia Meloni di fatto emerge nell’era in cui la destra era firmata Berlusconi e la maggior visibilità delle donne era caratterizzata da un sano spirito di competizione della più virile tradizione condito da un uso strumentale della parola libertà. In questo scenario la presenza femminile serviva e serve gli obiettivi neoliberali: nessuna liberazione della donna, nessuna alternativa al sistema patriarcale.
Giorgia Meloni non è una rottura all’interno della struttura: porta avanti le idee e principi del suo partito senza mettere in discussione lo status quo della sua comunità politica: garantisce fedeltà e continuità.
La storia per cui “anche lei avrà sgomitato” per arrivare dove è, la smentisce lei stessa.
Nessuna difficoltà incontrata per essere una donna, ha detto.

Rispetto alla seconda questione posta, da femminista intersezionale e comunista credo che nella cosiddetta sinistra parlamentare le donne non siano mai giunte dove è giunta Giorgia Meloni perché coloro che sono state e sono importanti nella storia dal Partito Comunista a tutte le successive scissioni, diramazioni, degenerazioni centriste, di fatto non hanno mai costituito una frattura nell’eterno ripetersi e rigenerarsi della dirigenza sempre uguale e sempre più moderata, sempre attenta a mantenere il suo pugnetto di potere.
Il femminismo non fa parte della storia della sinistra Parlamentare dagli anni 70, e sebbene oggi il femminismo intersezionale sia un pensiero che parte da assunti “nuovi” rispetto a quello della differenza, è anche vero che ieri come oggi le femministe non hanno come obbiettivo quello di essere ai vertici del sistema governativo, ma di sovvertirlo.

Ed è esattamente questo che la sinistra non accetta. Accogliere e riconoscere la potenza del femminsimo e del transfemminismo significherebbe mettere in discussione la comodità data da una maschera progressista che non regge più, mentre il modus diventa sempre più reazionario.

Quello che rimane inaccettabile, al di là di tutte le considerazioni, è che ci siano donne che pensano che il paese stia per raggiungere un traguardo, che confondono il diritto all’autodeterminazione con la parità e che non riescono a vedere che nemmeno quest’ultima (per quanto comunque sia un concetto superato) potrebbe essere garantita da un governo Meloni.
Quello che ancora non è chiaro è che non è questione di una donna, non lo è quando si parla dell’abominio del sistema quote, tantomeno lo è quando si parla di una presidenza.

Non basta essere donna per fare la differenza. La corsa alla Presidenza del Consiglio da parte di una donna, di questa donna, non è un evento semplicemente perché le condizioni di coloro considerat* subaltern* ed emarginate per genere, orientamento sessuale, classe sociale, abilità, colore della pelle, credo religioso non miglioreranno.

Da femminista credo fermamente che non basti sostenere solo alcune donne, le madri, per determinare un cambio di passo.
Se l’agire in supporto alle donne non è di tipo universale, se essere dalla parte delle donne significa intervenire solo sugli asili nido e sulle famiglie, mentre dall’altra parte si fa la guerra all’autodeterminazione, allora, ancora di più, non ci pacifichiamo.

¡Se va a caer!

ValeT

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