“Io sto con la sposa” – Intervista a Gabriele Del Grande

i-veri-protagonisti-di-io-sto-con-la-sposaOggi, 28 ottobre 2014, l’ex Cie di via Corelli riapre sotto forma di centro di accoglienza. Sarà gestito dalla Gepsa, la società francese di Gdf Suez, che da tempo ha tra le mani anche celle e cortili di diverse carceri. In questa occasione MilanoInMovimento ha deciso di dare spazio a una storia che sta facendo il giro del mondo e che con i Cie ha qualcosa a che fare. 

“Io sto con la sposa” è un film di Antonio Augugliaro, Gabriele Del Grande e Khaled Soliman Al Nassiry, presentato quest’anno al festival del cinema di Venezia. Il film racconta la storia – (vera – ) di 5 rifugiati siriani palestinesi che sbarcati a Lampedusa, cercano di raggiungere la Svezia. Realizzata grazie a una campagna di crowfunding da 100.000 €, la pellicola mette in evidenza le contraddizioni dei paesi europei nella gestione della “questione migrante”  e muove forti critiche alla normativa vigente, ponendo l’attenzione su quelle persone che dall’Africa sbarcano sulle coste europee.
Abbiamo incontrato Gabriele del Grande, regista, produttore e attore nel del film, che dal 2006 scrive su Fortress Europe, un blog che fornisce informazioni sull’immigrazione in entrata in Europa.

Com’è nata l’idea del film?

Abbastanza casualmente, eravamo in stazione a Porta Garibaldi, e un ragazzo arabo ci ha chiesto da dove partisse il treno per la Svezia. Ci siamo incuriositi alla sua storia e siamo diventati amici. Così ci siamo chiesti come poter aiutare questo ragazzo a raggiungere la Svezia, e parlando è venuta in mente l’idea del corteo nuziale. Un po’ per caso abbiamo messo insieme il gruppo formato da arabi e italiani e abbiamo deciso di partire, e di costruire un film su questa storia. Ovviamente l’obiettivo primario era di fare arrivare queste 5 persone in Svezia, dove avrebbero potuto richiedere l’asilo politico.
Comunque il film non parla di Italiani che aiutano arabi poveretti, ma parla di un gruppo di amici, che, sullo stesso livello, hanno deciso di darsi una mano.

Che problemi ci sono stati durante le riprese del film?

Durante le riprese del film ci sono stati diversi problemi, uno dei più grandi è statoa la mancanza di tempo, e per fare un film serve molto tempo.
Banalmente per la scena “losca”, quando arriviamo di notte nella piazzetta, gli operatori sono scesi prima per filmarci., Sono semplici passaggi tecnici che richiedono molto tempo, noi invece avevamo l’esigenza di fare presto, fare veloce, arrivare il prima possibile. Anche perché più stavamo in giro, più correvamo il rischio di attirare attenzione, e quindi un eventuale controllo.
C’era sempre il doppio binario, l’esigenza del film e l’esigenza di sicurezza del viaggio. L’abituarsi alla presenza della telecamera è stato quasi immediato, ha aiutato molto il bel clima di gruppo che si è creato , e i tecnici sono stati bravi, in un certo senso, a “sparire” dietro le telecamere.

Gli accompagnatori di questo viaggio, secondo la legge hanno compiuto un reato penale, (favoreggiamento dell’immigrazione clandestina). Come vi siete preparati a questo?

Durante il viaggio non ci abbiamo pensato perché eravamo coinvolti da un pensiero più folle che razionale, ci domandavamo chi mai avrebbe fermato un corteo nuziale.
Adesso che il film è pubblico c’è una sorta di autodenuncia; poi abbiamo degli avvocati che negli ultimi anni hanno affrontato battaglie sul tema del reato d’immigrazione e conoscono bene questa materia. In caso di un eventuale processo si “divertirebbero” a difenderci. E si “divertirebbero” lo dico in senso ironico, nel senso che non si divertirebbero perché stanno difendendo noi, ma perché potrebbero con noi dare il via ad una battaglia civile e politica su queste leggi. E’ quanto meno assurdo che aiutando cinque persone, scappate da una guerra, ad arrivare in un posto per chiedere asilo politico, ci siano conseguenze penali. Se la storia la giri in bianco e nero durate la Seconda Guerra Mondiale, vengono le lacrime agli occhi, ricevi la medaglia d’oro al valore civile; la fai oggi, nel Mediterraneo di Frontex, delle leggi sulla frontiera, e sei ritenuto un criminale, quindi c’è un problema. Noi siamo disposti ad affrontare un processo se questo serve in qualche modo a forzare il dibattito su questo argomento. Ovviamente non è il nostro augurio, noi vogliamo fare un lavoro culturale, raccontare questa storia. Poi l’altro discorso è che se fanno un processo, dovrebbero chiamare anche i 2.600 finanziatori dal basso. Siamo tutto un movimento, non siamo solo noi tre.

Parliamo di questo: un film finanziato interamente dal basso, il più partecipato in Italia, con 2.600 persone. Come mai avete optato per il crowdfounding?

Non è stata una scelta ponderata e ragionata, alla fine del viaggio pensavamo che avremmo trovato del fondi, da donatori, finanziatori, produttori, televisioni..…
Questo non è accaduto, quindi abbiamo deciso di chiedere alla rete, avendo già un nocciolo di riferimento, che era quello del blog Fortresseurope, nato otto anni fa.
La comunità che segue il blog nutre un sentimento di fiducia, e il crowdfounding si basa quasi totalmente sulla fiducia, un po’ hanno aiutato anche l’innovazione dell’azione politica, la magia della storia, il fatto che noi stessi rischiavamo, e la risposta è andata ben oltre le nostre aspettative.

Viviamo con la retorica dell’invasione, attraverso gli sbarchi in realtà i flussi migratori come funzionano?

L’immigrazione in Italia è europea, il grosso viene dall’Est Europa, dai Balcani, e arriva in regime di libera circolazione. L’immigrazione arriva da dove è più semplice avere il visto, poi ci sono quei paesi dove è quasi impossibile averlo, o perché sono paesi in guerra, (Iraq, Siria, Afghanistan, Somalia…) o perché sono paesi con i quali ci sono dei trattati, degli accordi molto restrittivi, (Nord Africa, Africa occidentale…) e da questi paesi, se non si hanno abbastanza soldi per corrompere qualcuno in ambasciata, l’ultima scelta è prendere una barca.
E’ come se gli sbarchi fossero una delle conseguenze delle politiche sui visti: non è che gli sbarchi sono causa dell’immigrazione. Che siano arrivate o meno queste persone, con i loro numeri non sono certo capaci di influire sul numero di migranti presenti in Italia, perché si parla di numeri davvero piccoli rispetto al totale. A Lampedusa arrivano quelle persone a cui è stato negato il visto. In più l’Europa non ha mai sperimentato politiche di libera circolazione con il Nordafrica, al contrario, con l’Est Europa, i Balcani, queste politiche sono state avviate.

Cosa si può fare di concreto per i gli immigrati, i profughi che attraversano questa città, con il desiderio di arrivare in altri paesi?

Quello che si può fare è stare con la sposa.
Noi ad esempio, ci siamo trovati a casa con cinque persone che volevano andare in Svezia e ci siamo inventati un modo per farlo. Ognuno nel sul piccolo può fare qualcosa.
In una città come Milano, ad esempio, ci si confronta quotidianamente con questo tema. Ci sono delle situazioni in città che si vedono e, anche solo avvicinarsi e cominciare a capire cosa succede, se si può fare qualcosa, è un primo passo.
Noi abbiamo portato 5 persone in Svezia, non 50.000, però ora stiamo facendo un lavoro culturale, che è altrettanto importante.
Poi se mi chiedi un consiglio pratico..…BlaBlaCar…

Per quanto riguarda il CIE di via Corelli di Milano l’Assessore alle Politiche sociali Pierfrancesco Majorino sui social network. ha commentato che “L’uso della struttura servirà come centro d’accoglienza per Siriani ed Eritrei in viaggio per altri paesi”. Cosa ne pensi? In particolare la gestione del centro di via Corelli, è stata assegnata alla Gepsa, società francese di Gdf Suez, che da tempo gestisce celle e cortili di diverse carceri. C’è qualcuno che guadagna, che specula sui CARA e sui CIE ? In che modo?

Sul commento di Majorino, è ancora presto per esprimermi, non so se avverrà e in che modo. Se a Milano chiudesse il CIE, sarebbe una bella notizia perché, dal punto di vista materiale significa che non si fanno espulsioni; e perché anche se fermano qualcuno senza documenti e non hanno un posto dove metterlo, gli danno il foglio di via, ma fisicamente non rinchiudono nessuno in gabbia. E questo per una città come Milano sarebbe comunque un elemento positivo, per questo mi sembra strano che lo facciano per davvero.
La gestione di questi progetti viene data in mano al privato sociale, che va dalla Caritas di Trapani, alla Misericordia, alla Croce Rossa e ai privati francesi.
Le regole della gestione degli spazi però le fa la Prefettura, non l’ente gestore.
C’è tutta una zona grigia, quando si lavora in alcune strutture e sull’accoglienza c’è sicuramente chi specula.
I CARA (Centri di Accoglienza Richiedenti Asilo) in generale, sono un’esperienza che non funziona, perché dietro hanno proprio un concetto sbagliato. A Crotone c’è un CARA, di 2.000 persone, in mezzo alla campagna; praticamente un ghetto.
Anche nelle piccole accoglienze da parte dei privati c’è chi specula; ad esempio può capitare che il Ministero, tramite la Prefettura, mandi centinaia di persone nell’alberghetto sulle Alpi, per sei mesi, il proprietario si arricchisce per una o più stagione e i servizi offerti a profughi appena arrivati, sono nulli.
È il sistema stesso dell’emergenza che a me non piace, banalmente non si capisce perché un milione e passa di rumeni che sono venuti in Italia si sono organizzati, e impegnati per vivere e adesso dobbiamo gestire le vite di 2.000 persone arrivate dalla Libia.

Attraverso la nostra piccola esperienza in Palestina (Aida Camp, Cisgiordania) abbiamo raccolto diverse testimonianze negative nei confronti dell’ ONU e di O.N.G.
Durante i tuoi viaggi in Siria hai visto come lavorano? Hai mai collaborato con loro?

O.N.G. e ONU sono anche queste un mondo, dove c’è della gente capace, e altra che non si capisce bene cosa faccia.
In Siria di adesso, non c’è praticamente nessuno, sul fronte, nelle zone più martoriate non ci sono né Nazioni Unite, né O.N.G; stanno sulla frontiera o allestiscono campi profughi, portano il cibo o medicine.
Dentro la Siria, gli unici aiuti, arrivano grazie ai Siriani che dall’estero riescono a fare entrare generi di prima necessità, anche persone da Milano o Varese. Anche se ora la situazione è talmente critica, che non riesce ad arrivare neanche questo sostegno.

Come vivi la distanza, avendo amici che vivono in paesi lontani, martoriati dalla guerra?

Alcuni ragazzi conosciuti ad Aleppo, ora sono morti ammazzati in guerra.
Tanti sono scappati, ad Aleppo non c’è quasi più nessuno.
Ho sempre provato a muovermi con civili, ragazzi del movimento civile, che negli ultimi sei mesi sono scappati, o rimangono sulla frontiera e aiutano nei campi profughi, anche perché ora in Siria sembra ci sia un tutti contro tutti.
La cosa che ti fa venire il magone è quando ti scrivono su Facebook “Domani parto, con la barca” e sono tu sei lì che aspetti, due giorni, una settimana… E insomma, mi ritrovo poi a fare film come questo.

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