Kalafro: musica contro la ‘Ndrangheta – VIDEO

All’indomani dell’arresto di Zambetti, assessore alla casa di Regione Lombardia, e all’indomani dello scioglimento del Comune di Reggio Calabria – una decisione che non ha precedenti nella storia del nostro Paese – MilanoInMovimento incontra i Kalafro, band reggina che da sempre ha fatto dei movimento e della lotta al potere mafioso la propria battaglia.

Carta di credito nel portafoglio, valigetta 24 sotto braccio e cravatta al collo. Ripone la coppola nell’armadio, parla l’inglese meglio del calabrese e si muove con disinvoltura nei meandri dell’economia legale e delle istituzioni.

È il mafioso contemporaneo: assiduo frequentatore del movimento terra, regista di grandi opere, attore protagonista di esercizi commerciali, fan dei poli logistici e ospite d’onore nei corridoi degli ospedali.

Cittadino del mondo e grande viaggiatore, il boss di oggi vive spesso a Milano, ha solo qualche volta radici a Reggio Calabria e vanta solitamente un piede a terre oltreoceano.

Siede sugli scranni più alti dei poteri forti, strizza l’occhio ai gruppi bancari, apre le porte a ogni forma di speculazione e va a braccetto con la legge.

Dispone di miriadi di consulenti per insinuarsi nel mondo della liceità, dai giuristi più raffinati agli economisti più meticolosi, passando per gli hacker più sofisticati.

Riconoscerlo non è facile, scovarlo nei mercati illegali solo parzialmente efficace e combatterlo nelle aule dei tribunali insufficiente.

Ma un tallone d’Achille ce l’ha. E quel tallone siamo noi, con la nostra coscienza collettiva

Ce lo spiegano i Kalafro, con la loro musica e con questa intervista.

Prima di tutto ci raccontate la vostra storia?

Francesco e Bruno: «No, è più imbarazzante che salire su un palco, questa domanda accolliamola a Simone, visto che è il più piccolo… Un po’ di nonnismo».

Simone: «Siamo i Kalafro, veniamo da Reggio Calabria e facciamo musica insieme ormai da un bel po’ di anni. Ci piace mescolare il rap al reggae, ma il nostro ultimo progetto, Resistenza Sonora, ha anche parecchia influenza folk ed è un disco dedicato alla Calabria. Questo ha comportato che il filo conduttore delle nostre canzoni fosse la ‘Ndrangheta. Abbiamo toccato tantissimi temi, dal ponte sullo Stretto, alla rivolta di Rosarno, passando per le problematiche dell’emigrazione».

Che cosa rappresenta per voi questo disco?

Simone: Resistenza sonora è più di un disco. È  un progetto nato in collaborazione con il Museo della ‘Ndrangheta, un’associazione che crede molto nella musica come strumento di comunicazione. Attraverso questo progetto con molto orgoglio siamo riusciti a portare in giro per l’Italia la voce di molte associazioni che lavorano sul territorio, rivolgendoci ad un pubblico molto variegato.

Cosa significa vivere a Reggio e denunciare pubblicamente la ‘Ndrangheta?

Bruno: «La verità è che non importa se sei a Milano o a Reggio, perché la ‘Ndrangheta è un fenomeno italiano. Io sono calabrese ma vivo a Milano e vi posso dire che parlare di mafia al Nord è molto difficile. Certo, ne senti più la presenza, ne percepisci proprio l’odore. Senti quella rabbia e quella voglia di riscatto che cerchiamo di trasmettere nei testi delle nostre canzoni, in particolare nei giovani.

Francesco: «Quest’estate abbiamo proiettato sulle mura della Fortezza di Reggio per una settimana la scritta “NO ALLA ’NDRANGHETA”. Volevamo capire le reazioni della gente: nel vedere la proiezione, parecchi guardavano sorpresi e approvavano, molti invece giravano l’angolo con la testa bassa.

Reggio è cambiata molto negli anni:  sempre più giovani non ne possono si stanno organizzando in un movimento che però non è ancora così coeso da portare a quella rivolta popolare che noi tanto invochiamo nelle nostre canzoni.

In che modo le vostre canzoni sono importanti nella lotta a questo fenomeno criminale?

Simone: «La ‘Ndrangheta in un certo senso se ne sbatte le palle delle nostre canzoni, perché all’apparenza non la tocca direttamente. Non dimentichiamoci che quello che interessa ai mafiosi è fare i soldi: finché non glieli tocchi, se ne fregano. Ma è il fenomeno culturale quello in cui la mafia fissa le radici, e cambiarlo significa destabilizzare una mentalità funzionale alla mafia stessa. Si tratta sicuramente di un passaggio molto lento, ma che da qualche parte doveva pur iniziare.

Ci fate un identikit del mafioso contemporaneo?

Bruno: «E’ importante capire che il fenomeno del mafioso con la lupara e la coppola è scomparso: oggi gira con la 24 ore ed è laureato e colpisce in diversi settori, come quello della finanza.

Altra cosa fondamentale è capire che a farci paura non è tanto o non è solo la ‘Ndrangheta, ma la mentalità ndranghetista. Se la gente chiude gli occhi e abbassa la testa , sta zitta e in silenzio è li che colpisce.

Le ultime vicende, giudiziarie e non solo, ci dicono che la ‘Ndrangheta in Lombardia è ben radicata: come fare per combatterla da cittadini?

Francesco: La risposta è sempre una: la coscienza collettiva, la vigilanza , la creazione in ogni quartiere di centri di aggregazione e contro potere che possano monitorare quello che succede. E anche esercitare le pressioni (la parola “pressioni” ognuno la interpreti a suo modo) su chi spinge i bottoni. È una questione di coscienza collettiva, che non deve essere mediata.

Simone: Purtroppo 30 o 40 anni fa quando dicevi al nord che l’Ndrangheta stava investendo sul questo territorio, perché investe dove ci sono i soldi, la gente ti prendeva per pazzo. Questa mentalità purtroppo permane, si crede che la ‘Ndrangheta sia in Calabria, Cosa Nostra in Sicilia e via dicendo.

Una cosa che mi ha stupito, facendo dei laboratori musicali per cercare di creare coscienza antimafia in Abruzzo è che i ragazzi nelle scuole non sapevano nulla chi erano Peppino Impastato, Falcone, Borsellino. Uno dei problemi da porsi non è solo dove si creano gli spazi per la mafia, ma anche dove si creano quelli antimafia. Il primo passo è quello dell’istruzione.

La storia ce lo insegna: per creare un regime distruggi le biblioteche e le scuole. In Italia hanno distrutto il sistema scolastico.

Un aneddoto: a Firenze a un concerto una signora ci ha gridato: “dovete combatterla la mafia!”. Quello che è proprio sbagliato è quel “voi”. Manca un “noi”.

Siete un gruppo schierato politicamente, militante. Molto spesso i movimenti hanno paura di affrontare l’argomento “criminalità organizzata” perché è difficile parlarne senza ridurre tutto a una dicotomia “legalità/illegalità”. Come conciliate il vostro essere attivi all’interno del movimento con la lotta alla ‘Ndrangheta?

Simone: Il nostro è uno stato basato sull’illegalità. L’unità d’Italia stessa deriva da un accordo tra il Regno Sabaudo e la picciotteria siciliana. Ciò ti fa capire che gli accordi tra stato e mafia ci sono sempre stati. Il rapporto tra ciò che è legale e ciò che è illegale è difficilmente comprensibile se non in logiche capitalistiche economiche.

Francesco: Il mi pensiero è in una mia rima, dove dico “tengo distinti il giudice il giudizio e la giustizia”, un po’ riprendendo una canzone degli Assalti Frontali. Il confine tra quello che è stato e antistato è molto confuso. Ma è certo che in un posto dove ci sono delle amministrazione che sono chiaramente emanazione di un determinato potere, è spontaneo e imprescindibile non avere fiducia.

Io non credo negli spazi che ci vengono dati dalle istituzioni, non mi fido. Gli unici spazi di cui ci possiamo fidare e in cui possiamo investire il nostro tempo e il nostro cuore sono gli spazi che ci siamo creati noi. Sono gli spazi autogestiti, gli spazi di espressione popolare. Da tutto il resto non credo possa venirne qualcosa di buono. Né dalle istituzioni, né dall’industria della musica. Bisogna riappropriarsi dei propri spazi.

Ti cito un’altra rima: “non voglio boss, ma nemmeno sbirri e giustizieri”. È esattamente questo: è la coscienza collettiva la risposta a tutto perché il concetto di legalità in quanto corrispondente a una norma di legge non è convincente. Se una legge viene a dire che bisogna fare il ponte sullo stretto allora bisogna farlo? Non ne sono convinto. Non è una cosa che mi appartiene. Mi appartiene invece il movimento, il No ponte, il centro sociale Cartella, l’Associazione da sud.

Parliamo degli spazi della mafia e dell’antimafia…

Francesco: Gli spazi sono spazi banalmente economici. La mia ricostruzione politica mi dice che è il potere economico a generare il potere politico. Ed è chiaro che proprio qui nel potere economico e quindi nel politico si generano gli spazi per Mafia e ‘Ndrangheta.

Simone: È vero che storicamente la mafia nasce dove lo stato non c’era. Ma oggi questo confine è più sottile.

È fondamentale creare un commercio alternativo a quello delle mafie. Se la gente riuscisse ad arricchire quel mercato e dire di no al mercato mafioso, allora lì ci sarebbe un forte contrasto, perché è li che tocchi le tasche dei mafiosi ed è li che crei i problemi. Per esempio a reggio sta partendo un progetto che si chiama Reggio libera Reggio, di aziende che collaborano tra loro e non pagano il pizzo.

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