Reddito per tutt@?Idee/spunti/riflessioni con Mariapia Pizzolante
Nuovo atto della rassegna sul Reddito di MIM. Oggi è il turno di Mariapia Pizzolante, precaria, portavoce nazionale di Tilt (rete generazionale di singoli e associazioni di sinistra). Ecco la sua posizione.
A)Che cos’è il lavoro? Se per lavoro s’intende lo scambio fra prestazione (qualunque essa sia) e salario, il lavoro è un bene comune?
Il lavoro oggi, nella sua intermittenza e nell’incertezza che produce, ha un carattere divoratore che si gioca non solo sul piano individuale ma anche relazionale. Divora tutto il tempo, le relazioni, la felicità, la vita, producendo isolamento e mettendo di fronte a paradossi, come ad esempio il lavorare senza percepire un reddito, oppure trascorrere il proprio tempo alla ricerca del lavoro stesso in un circolo vizioso di formazione e progettazione senza fine. Per molte e molti delle giovani generazioni in particolare è una negazione permanente anche rispetto alla costruzione di senso e del proprio essere al mondo.
B)Cos’è e quando nasce l’idea del reddito di cittadinanza?
Come è nato il reddito di cittadinanza è già stato ben spiegato da altri in questo sito, colgo l’occasione per scrivere invece di come nasce la proposta di legge di iniziativa popolare che abbiamo sostenuto e promosso e perché preferiamo parlare di reddito minimo garantito piuttosto che reddito di cittadinanza. Nasce dall’idea che per la struttura sociale, oltre che del lavoro ed economica di questo paese, il reddito minimo garantito fosse lo strumento più utile, fattibile e sostenibile da tutte e tutti. Inoltre il meccanismo proposto nella legge fa un grande passo avanti, non vincolando il reddito a un concetto come quello della cittadinanza, sempre più indebolito nella sostanza e che rischia di essere solo una limitazione dei diritti per i migranti: parlare di reddito minimo garantito invece che di reddito di cittadinanza ci permette di ridurre la frattura sociale tra nativi e migranti, superando il razzismo istituzionale del welfare rivolto esclusivamente a chi detiene la cittadinanza.
C)Reddito di Cittadinanza e Welfare qual è il loro rapporto? Se le spese per l’affitto, il mutuo, la sanità, l’istruzione sono tra le voci più pesanti nel bilancio familiare medio, perché non spingere su una riforma del welfare che non preveda solo tagli e privatizzazione, su un piano case come si deve, su sistemi sanitari e d’istruzione accessibili e per tutti, anziché sul reddito?
Il welfare per come lo abbiamo conosciuto nel corso del novecento è un modello obsoleto ed escludente, rispetto alle donne lo è sempre stato. Oggi lo è ancora di più perché è legato ad un lavoro che non esiste più. Oggi più che mai un vero sistema di welfare dovrebbe essere legato ai diritti della persona, non dei lavoratori e delle lavoratrici, esattamente come il reddito. Il reddito diretto è solo una fetta del sistema che dovrebbe prevedere una serie di prestazioni indirette come appunto la casa, la sanità, l’istruzione, la mobilità. È certo che una riforma in questa direzione sarebbe una misura anticiclica fondamentale in tempi di neoliberismo incontrollato.
D)Introdurre un welfare state basato sul reddito di cittadinanza può essere un modo per uscire dal paradigma finanziario neo liberale? Il reddito di cittadinanza ha a che fare con l’anticapitalismo? Il reddito potrebbe dare respiro/incentivare/stimolare la cooperazione sociale e quindi la creazione di un’economia non fondata esclusivamente su costrizione e profitti?
Siamo da tempo profondamente convinti che il reddito sarebbe uno scalpello per destrutturare quel paradigma neo liberale e per costruire un diverso paradigma sociale in cui al centro ci sono le persone, la loro possibilità di autodeterminarsi, di uscire dalla ricattabilità che diviene incentivo alla guerra tra poveri. Molte esperienze degli ultimi anni confermano una tendenza alla cooperazione come stimolo alla nuova economia: il cooworking, l’agroecologia, il mutualismo.
E)Oltre a questioni economiche il reddito di cittadinanza quale altre contraddizioni e questioni apre nelle politiche di un paese?
Apre le contraddizioni di un rapporto malato tra i generi e le generazioni. Scardina un modello fondato sul lavoratore maschio italiano nato prima degli anni settanta. Apre la possibilità di ripensare le famiglie come cellula costitutiva della società. Evidenzia la necessità della liberazione delle persone, qualunque sia la loro età, il loro sesso, il loro territorio di provenienza dalle gabbie imposte da un sistema sempre più malato e teso allo sfruttamento. Apre la possibilità di ripensare un modello di sviluppo a partire dalle esigenze e dalle trasformazioni avvenute in un tessuto sociale molto più avanzato delle classi dirigenti. Dunque incide sulla democrazia e sui rapporti di forza. In un momento di forte crisi democratica, rimettere in mano alle persone la possibilità di non cedere ai ricatti, di risentirsi parte di una comunità con i pieni diritti di cittadinanza e non quelli dimezzati.
Inoltre, proprio per i motivi sopra indicati, sarebbe un’arma fondamentale di lotta alle clientele e ai comportamenti paramafiosi, nonché alle mafie stesse.
F)Come cambierebbero i processi produttivi nel caso in cui un reddito di base incondizionato fosse elargito? Saremmo ancora di fronte a devastazioni ambientali come, ad esempio, quella tarantina ad opera dell’ILVA? Il reddito è quindi strettamente connesso alla possibilità di mettere in piedi un’economia sostenibile?
Un reddito garantito a tutte e tutti darebbe innanzitutto la possibilità di scegliere la propria strada e le proprie aspirazioni, senza dover per forza cedere alla ricattabilità del lavoro precario. Significa lanciare l’idea che nella società ha più attenzione la qualità della vita e non la ricerca cieca di profitto. Significa che le imprese potrebbero essere più attratte dall’idea di sostenibilità e solidarietà se portati a superare per ogni dipendente quella soglia di dignità che il reddito di base stabilisce e a pensare il lavoratore come una persona già economicamente autosufficiente e quindi non ricattabile perché sofferente di un estremo disagio sociale ed economico, rendendola al centro del processo produttivo e non uno strumento.
G)Esistono esperienze reali di Reddito di Cittadinanza in Italia e/o Europa? Qualcosa che si avvicina a quello che tu intendi con quel concetto?
Forme varie di reddito esistono in tutti i paese europei, eccetto l’Italia e la Grecia. Dalla Svizzera all’Olanda, dal Regno Unito alla Danimarca, ci sono misure che superano lo schema del sussidio di disoccupazione. In Danimarca si arriva ad erogare 1.325 € oltre i contributi dati a chi vive in affitto, in Olanda circa 617 € con un contributo speciale erogato agli artisti per la loro attività. In Italia ci sono state solo sporadiche occasioni, limitate territorialmente, in cui c’è stata un’avvisaglia di reddito minimo, ma sempre inteso come una forma assistenziale e non di riavvio dell’economia e ristrutturazione del welfare.
H)Come cambierebbe nel concreto la tua vita con il Reddito di cittadinanza
Cambierebbe. Cambierebbe perché la possibilità di avere un reddito cambia la prospettiva dalla quale guardiamo oggi il mondo. Siamo abituati a pensare che la possibilità di partecipare alla crescita del nostro Paese passa attraverso una concezione del lavoro tutta a svantaggio dei diritti della persona, in cui chi lavora è solo un pezzo di tutta la macchina produttiva e può essere continuamente intercambiabile, sostituibile. Il reddito restituisce senso al contributo che invece ognuno di noi può dare alla comunità: a partire dal valore della formazione, che avere un reddito stimolerebbe, dalla possibilità di fare esperienze come viaggiare, alla possibilità di vivere esperienze culturali. Ognuna di queste cose contribuisce alla crescita collettiva e in altri Paesi europei si è capito. Un reddito di base, sotto il quale non si può scendere, dà la possibilità di scegliere la strada da seguire, e restituisce valore alla persona stessa, qualunque sia il contributo che essa vuole dare.
I)La rivendicazione di un reddito svincolato dalla prestazione lavorativa non è un tema nuovo nelle discussioni dei movimenti. Cosa rende attuale tale lotta al giorno d’oggi? Il reddito può essere terreno di ricomposizione all’interno dei movimenti?
Il tema del reddito, nella dimensione della crisi, è non solo attuale ma centrale. La disoccupazione sia giovanile che complessiva ci da la fotografia di quanto la piena occupazione sia un miraggio e perciò la battaglia del reddito minimo parla non solo alla rimodulazione del welfare ma assume il carattere di una battaglia per l’esistenza. Non è possibile accettare che la crisi sia scaricata e fatta pagare alle giovani generazioni e alle fasce più deboli ma riteniamo urgente un processo di redistribuzione della ricchezza dall’alto verso il basso per arginare la povertà e ricostruire una possibilità di futuro diverso. Crediamo inoltre che il reddito possa rappresentare un elemento di ricomposizione dei movimenti perché va oltre le diversità e parla ad un popolo vasto e che soffre ma soprattutto libera la vita delle persone dal ricatto e dal sopruso della precarietà che ormai investe le vite, i sogni e i desideri di tutte e tutti.
L)Il reddito è redistribuzione: chiedere redistribuzione del profitto incide su proprietà dei mezzi di produzione, speculazione finanziaria, contraddizioni del mercato globale?
Speculazione finanziaria e mercato globale hanno prodotto essenzialmente disuguaglianza. I nuovi sfruttati di questo sistema e i nuovi poveri sono tutti quelli che soffrono una precarietà esistenziale data da non lavoro, inoccupazione e lavori intermittenti. Il reddito minimo è in questo senso non solo un argine all’estrema povertà ma dà la possibilità alle persone di non essere più vittime di questo sistema e di avere l’opportunità di essere protagoniste del sistema di produzione con un reddito proprio. Questo scardina tutto il paradigma capitalistico, in cui l’accumulo riveste un ruolo predominante rispetto alla costruzione collettiva di una società cooperante.
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