La battaglia sporca e solitaria di Erdoğan per il mantenimento del potere assoluto

Quando è arrivata la notizia dell’annullamento del voto le strade di Istanbul erano deserte per il l’Iftar, la cena che interrompe il digiuno del primo giorno di Ramadam. Anche Ekrem Imamoğlu, il sindaco estromesso di Istanbul lo stava celebrando: “Non perdiamo la speranza, supereremo tutte le difficoltà” sono state le sue prime parole. E di difficoltà ce ne sono parecchie. Poche ore dopo migliaia di persone erano in piazza al grido “Hırsız var: al ladro al ladro” e lo continuano ad essere anche a distanza di giorni.  Il discorso tenuto da Iamamoğlu alcune ore dopo l’annuncio ufficiale, sintetizzava quello che è l’atteggiamento che l’opposizione sta tenendo di fronte a quello che è un fatto senza precedenti nella storia della Turchia: determinazione nella denuncia del sopruso, da una parte, rifiuto di una retorica violenta e divisiva dall’altra. “Dalla sua istituzione avvenuta nel 1950 che la Suprema Commissione Elettorale (YSK) non ha mai preso una decisione politica del del genere…questa decisione ha distrutto tutte le leggi e tutte le consuetudini elettorali…….non sono riusciti a ribaltare il risultato e hanno deciso di annullare l’intero voto, io contesto la decisione della Commissione perché ha abbassato la testa”  sono state alcune delle sue parole.  A supporto delle sue accusa di golpe elettorale nel suo intervento e in successive apparizioni televisive Imamoğlu, dati e manuali di storia alla mano, ha demolito le motivazioni addotte   dalla Corte elettorale, dimostrando dettagliatamente come si tratti di una decisione di carattere puramente politico e non legale. Ma ha anche avuto parole di straordinaria umanità e passione: “Si aspettano da noi la violenza, ma la violenza non ci appartiene…..abbiamo vinto grazie all’entusiasmo di milioni di persone, voi siete i testimoni di quell’entusiasmo…non perdete la speranza, vi amo, vi amo molto” è stata la conclusione  del suo  discorso tenuto davanti a migliaia di persone la sera stessa dell’annuncio dell’annullamento.

Da queste ultime amministrative si era levata una brezza di democrazia, e la figura Ekrem Imamoğlu era centrale in questo senso. I primi atti del nuovo Sindaco di Istanbul parlavano di trasparenza, inclusione, giustizia sociale: fra le prime decisioni, quella di trasmettere in diretta social tutte le sedute di consiglio comunale di Istanbu; il 1 maggio, mentre il Governatore di Istanbul negava come di consueto la storica Piazza Taksim, festeggiava con i lavoratori nella periferia della città; aveva proposto il gemellaggio di Istanbul con la città curdo-irakena di Erbil e definito ingiusta la carcerazione del leader curdo Selhattin Demirtaş. Ma adesso l’aria è tornata ad essere asfissiante. Nessun organo sembra più essere indipendente dalla volontà di Recep Tayp Erdoğan. Il Super Presidente era furioso per il risultato di Istanbul. La città sul Bosforo di cui è stato sindaco per due mandati ha rappresentato il suo trampolino di lancio, perderla significava cominciare a intravedere la fase discendente della sua parabola politica; inoltre con i suoi 7 miliardi e mezzo di bilancio Istanbul porta con se quella fucina di appalti e clientele che alimentano il partito della Giustizia e dello Sviluppo  da lui fondato, l’AKP , anche dal punto di vista economico.  Ed a consolidare Istanbul anche come centro del progetto dell’Islam politico incarnato dall’AKP era da poco arrivata la mastodontica moschea eretta proprio nella laicissima Piazza Taksim, teatro delle rivolte di Gezi Park. Una cessione di sovranità politica, economica e culturale inaccettabile. La notte delle elezioni, mentre il candidato del suo partito, l’ex-Primo Ministro Binalı Yıldırım, era pronto a dichiarare la sconfitta, non ha voluto sentire ragioni e pare lo abbia praticamente costretto a dichiarare la vittoria a spoglio non ancora terminato e a disporre gli assurdi manifesti con cui ringraziava la città per il voto. La vittoria di misura del candidato dell’opposizione su quello della coalizione di governo è stata subito contestata, con denunce di brogli e richiesta di riconteggi: mentre Binalı Yıldırım dichiarava di non essere interessato a vincere a tutti i costi, Erdoğan ha continuato a fare pressione anche dopo che l’ennesimo conteggio delle schede  avevano sancito la vittoria dell’opposizione. In una situazione surreale il nuovo sindaco assumeva il mandato mentre da parte del partito di governo non veniva in nessun modo ammessa la sconfitta e la città rimaneva con il fiato sospeso perché la suprema Corte elettorale aveva comunque accettato di esaminare la richiesta di annullamento del voto.  In queste settimane poi Erdoğan era rimasto insolitamente silenzioso, ma nel frattempo venivano convocati ed interrogati i presidenti di seggio. A pochi giorni dal fatidico pronunciamento, Erdoğan lanciava dalla Russia un discorso sprezzante che faceva presagire quella che sarebbe stata la decisione: “Nelle scorse elezioni ci sono stati dei brogli: a chiedermi un nuovo voto sono i miei cittadini” ha detto.

I presunti brogli a cui fa riferimento son più precisamente delle irregolarità nella composizione dei seggi: la suprema Corte elettorale ha cancellato il voto a causa della violazione della legge turca che prevede che tutti i presidenti di seggio siano dei funzionari pubblici: 45 non lo erano: evento, come ha fatto notare Imamoğlu, che si è verificato in molte altre elezioni e che mai è stato oggetto di contestazione. A rinforzo di questa debole argomentazione non poteva poi mancare il ricorso allo spettro di Fetullah Gȕlen, l’Imam presunto ispiratore del fallito golpe del 2016: il processo elettorale sarebbe stato inquinato anche dai suoi seguaci, presenti nei seggi.

Il dato di fatto è che il 23 giugno si torna a votare. Dopo una riunione di emergenza, i leaders  della  coalizione di opposizione hanno concordato  di non boicottare  la tornata elettorale e di confermare Ekrem Imamoğlu membro  del Partito Repubblicano del Popolo CHP, il principale partito di opposizione, come suo  candidato. A non presentarsi saranno alcune forze della sinistra radicale, in polemica con la ri-votazione e allo scopo di non sottrarre voti alla principale coalizione di opposizione. Da parte della Coalizione di Governo, anche in quel caso, e palesemente suo malgrado, vi è la riconferma come candidato sindaco dell’ex-Primo Ministro Binalı Yıldırım. Nell’AKP sono tornate a mostrarsi le divisioni interne: sia l’ex-Presidente della Repubblica Abdullah Gȕl che l’ex-Primo Ministro Davutoğlu hanno espresso pubblicamente disappunto per la decisione di ripetere il voto, parlando di regressione dell’AKP rispetto ai suoi valori fondativi. L’opposizione cerca di tenere alto il morale, le parole e le azioni di Imamoğlu  continuano ad essere energiche e piene di speranza (“Her şey çok gȕsel olacak : tutto sarà molto bello“ è il nuovo slogan) a suo sostegno è in corso una enorme mobilitazione da parte di vari settori della società turca: dal mondo dello spettacolo, dell’accademia, della cultura e anche degli affari. Erdoğan è quindi più solo in questa battaglia, ma comunque sempre molto potente.  Ha dalla sua un sistema presidenziale che ha ridotto ai minimi termini l’agibilità del Parlamento e concentrato nelle sue mani il potere politico, giudiziario e legislativo. In passato non ha dimostrato nessuno scrupolo nel ricorso ad azioni militari sul piano nazionale ed internazionale per galvanizzare e rinfoltire il suo elettorato nazionalista.  Ha instaurato un clima di odio e sistematizzato la repressione della libertà di espressione ed opinione; infine ha tutti i mezzi, lo abbiamo visto , per esercitare pressioni tali da orientare le decisioni di organi che dovrebbero essere super partes. C’è uno scollamento sempre più grande fra quello che è il bene della Turchia e l’interesse del suo leader supremo.  Su quello che succederà da qui al 23 giugno sarà necessaria una attenta vigilanza.

Serena Tarabini

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