Samos brucia ma non si spegne

Una quindicina di gradi, un vento quasi primaverile, le spiagge a pochi minuti da casa. Samos, descritta così, sembrerebbe proprio il posto in cui desiderare di essere, soprattutto in un inizio di marzo dove nel Nord Italia fa ancora freddo e dove il coronavirus, che qua sull’isola fortunatamente non è ancora arrivato, sembra costringere un po’ tutti alla vita casalinga. Non so quanti amici infatti, in questi mesi mi abbiano detto come mi invidiassero perché trascorrevo su un’isoletta greca l’inverno, come se si trattasse di una vacanza.

La realtà è che qua non ci sono solo sole e vento, non è tanto a quelli che possiamo prestare attenzione. Quella che senti accarezzarti la pelle appena esci di casa è purtroppo una brutta aria di tensione, da allarme imminente; quello che ti fa lacrimare gli occhi non è il vento o il sole forte, ma il fumo che esce dal rogo di un furgone di un’ONG greca, un furgone che serviva principalmente a trasportare famiglie e bambini, su cui anche a me era capitato di viaggiare e che qualcuno ha pensato bene di dare alle fiamme. Non è stato il primo “avvertimento”, non sarà l’ultimo.

Da un po’ di giorni, dopo il lavoro che svolgiamo nei centri per i richiedenti asilo, ci raccomandano di tornare prima che faccia buio alle nostre camere e di rimanerci. Dopo gli attacchi subiti dai volontari a Lesbo e gli insulti che ultimamente anche su quest’isola vengono riservati a chi presta aiuto ai rifugiati,  non è più aria nemmeno per fermarsi in un ristorante a cenare insieme agli altri. Devo credere che d’ora in avanti sarà sempre così?

Eppure, questa piccola isola è stata per secoli uno snodo dove l’umanità si incontrava e si confrontava. E adesso l’Europa da qui sembra ancora più lontana, anche nelle sue paure: quella dell’invasione di profughi è stata sbrigativamente messa in secondo piano da un virus e la affida a una Grecia promossa dai leader europei da “ultima ruota del carro” a valoroso “scudo”.

Per carità, è giusto aver paura dei virus: non si vedono, non si sentono e possono essere pericolosi. Quello che capisco meno è aver paura di chi ha occhi, corpo, sorriso. Di chi ha più paura di te, perché sta scappando da qualche inferno, cerca del pane e un tetto, cerca i suoi familiari dispersi chissà dove.

Ma certo, avete ragione, qui, se non c’è l’Europa, almeno ci sono quindici gradi, il sole, il vento che sa già di primavera…

Gaia Boneschi

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