23 febbraio 1986 – Luca Rossi, l’assassinio “casuale”

Luca Rossi, la sera del 23 febbraio 1986, era insieme a un amico e stavano correndo per prendere la filovia in piazzale Lugano, quartiere Bovisa di Milano.

Sono giovani militanti di Democrazia Proletaria, studenti universitari non ancora ventenni.

In un altro punto della stessa piazza, alcune persone discutono prima con calma e poi sempre più animatamente e scoppia una rissa. Una delle persone coinvolte è Pellegrino Pollicino, agente fuori servizio in forza alla Digos.
La rissa è un susseguirsi di pestaggi e discussioni e dopo oltre quindici minuti finisce senza che l’agente chiami rinforzi. Due delle persone coinvolte fuggono in auto ed il poliziotto incapace di affrontare la situazione con la ragione e l’autorità richieste, estrae la sua pistola d’ordinanza ed in posizione di tiro, facendo arbitrariamente e illegittimamente uso delle armi, spara ad altezza d’uomo per colpire i fuggitivi.

Uno dei proiettili ferisce a morte Luca che si trovava a passare per caso in quel luogo e in quel momento. Ma non è un “caso” che consente al poliziotto di sparare. E’ una legge, la cosiddetta “Legge Reale” che conta al suo attivo negli anni decine e decine di vittime “per sbaglio”.

La successiva sentenza definitiva, che chiude il processo voluto dai familiari per ricerca di verità e giustizia e non certo per vendetta, riconosce l’agente colpevole di omicidio colposo aggravato.

Luca era impegnato e un militante di Democrazia Proletaria, lavorava su diversi fronti, dall’obiezione di coscienza e il volontariato, alle lotte per ottenere spazi culturali per i giovani, l’impegno nel Collettivo Studentesco della sua scuola. Aveva anche moti interessi, i viaggi, lo studio, la musica punk, l’amore per il Nicaragua e per l’indipendenza dell’Irlanda del Nord.

Ma chi era, anche nel privato Luca Rossi, ce lo racconta Daniela sua amica e compagna all’ITSOS di Bollate:

Incontrai Luca il mio primo giorno di scuola all’ITSOS di Bollate. La classe era già al terzo anno, ma io provenivo da un’altra scuola e non conoscevo nessuno. Rimasi nel corridoio, accanto alla porta dell’aula, in attesa che cominciasse la lezione. Di lì a poco, mi si presentò Luca. Era alto, con un bel sorriso che coinvolgeva anche lo sguardo, e aveva indosso una camicia bianca e un paio di jeans semplici. Mi chiese se ero nuova e cominciò a parlarmi della vita in quella scuola, dall’organizzazione delle lezioni a, soprattutto, l’impegno politico del collettivo studentesco. Mi mise subito a mio agio. Intuii che doveva essere un tipo tosto, ben strutturato e pieno di passione per i propri ideali. Tuttavia, in lui traspariva una certa delicatezza nel modo di porsi e di parlare, che non permetteva a quella sua sicurezza di trasformarsi in arroganza, sebbene qualche volta lo vidi perdere le staffe.
In classe, era un vero studente modello: curioso, diligente, appassionato allo studio e rispettoso dei professori e delle diversità dei compagni. Era spesso lui a incalzarci quando perdevamo di vista l’impegno, forniva spunti di dialogo per tutti, era disponibile a condividere i momenti di studio e non si vergognava a chiedere il nostro supporto, se sentiva di averne bisogno.

Con l’aumentare degli impegni, il gruppo dei compagni di classe diventò per lui un porto sicuro, dove rilassarsi e poter avere conversazioni più personali e intime. Gli piaceva parlare di musica, delle sue esperienze a Berlino e in Irlanda del Nord, parecchio significative per lui, del confronto e degli scazzi con i compagni operai della sezione di Democrazia Proletaria della Bovisa, del movimento punk, che fermentava in quegli anni a Milano, e di tante altre cose…
Al quinto anno, Luca si era fatto carico di parecchie necessità organizzative del collettivo, dopo che molte figure cardine si erano diplomate e avevano lasciato la scuola. Ricordo che una mattina entrò in classe in ritardo, dopo l’intervallo, perché aveva dovuto terminare il cartellone delle lezioni alternative per l’imminente autogestione. La supplente di matematica si rifiutò di farlo entrare e, innervosita dai suoi tentativi di spiegarsi, gli disse di andare in presidenza. A quel punto noi tutti ci alzammo in piedi, sostenendo che se voleva mandarci Luca, avrebbe dovuto mandarci tutti, visto che lui stava lavorando per noi. La supplente uscì dalla classe indignata e Luca, meravigliato da quel gesto di compatta solidarietà, ci rivolse un sorriso di gratitudine. Lo stesso sorriso che mi si accende quando penso a lui, a 35 anni dalla sua uccisione.

Memoria Antifascista


Foto e ritagli d’epoca sulla tragica vicenda dell’omicidio di Luca

L’Unità del 25 febbraio 1986.

Corteo per Luca Rossi, 25 febbraio 1986.

Lo striscione per Luca Rossi al corteo che attraversò Milano il 25 febbraio 1986.

L’Unità, 26 febbraio 1986.

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Una risposta a “23 febbraio 1986 – Luca Rossi, l’assassinio “casuale””

  1. Enzo ha detto:

    Uno dei tanti.
    Anzi un compagno.
    Nessuno giri armato, in divisa o in borghese.
    Chi è armato, è allenato per sparare.
    E uccidete diventa coerente.

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