Che fine ha fatto Ri-Make?

In una città devastata, sia simbolicamente che concretamente, dai nubifragi estivi, dove il costo della vita non trova alcuna risposta e il dogma neoliberista della messa a profitto di qualsiasi elemento della vita sociale prosegue senza freni, mentre è ripreso nell’area metropolitana il rullo compressore estivo degli sgomberi che stanno colpendo sia realtà autogestite come Baronata, Proprietà Pirata e oggi Boccaccio a Monza che spazi abitativi occupati per supplire alla tragica mancanza di case per famiglie economicamente fragili riprendiamo un interessante documento prodotto dalla collettività che dava vita all’occupazione di Ri-Make a Bruzzano che narra con onestà il suo stato di salute politico e traccia alcune prospettive per il futuro.


Che fine ha fatto Ri-Make?
Un anno sottoterra, per provare a ri-nascere e far fiorire nuove strade.

È passato un anno dalla chiusura dell’esperienza di Ri-Make nell’ex liceo Omero recuperato, mentre proprio in questi giorni è terminata la sua lenta e inesorabile demolizione, senza che siano stati resi pubblici progetti precisi per l’area, né che si sia aperto alcuno spazio di discussione partecipata per gli/le abitanti del quartiere Bruzzano sul futuro dell’area.

L’estate è anche il periodo dell’anno in cui ricorre l’inizio del progetto di Ri-Make, che ha mosso i suoi primi passi dieci anni fa nell’ex cinema Maestoso di piazzale Lodi (ora scenario di lusso della Virgin), nonché il 5° anniversario dello sgombero dell’ex BNL di viale Astesani. Ex-banca ancora oggi vuota e desolante, di cui viene ipotizzata una demolizione per la costruzione di un nuovo sfolgorante palazzo di abitazioni di lusso, in una zona piena di nuove costruzioni pressoché ancora disabitate.

Cos’è successo in quest’anno?
Dove siamo finiti e dove siamo ora? Dove stiamo andando? E perché questa piccola storia nella zona nord di Milano ha un legame con ciò che accade in tutta la città?

La fine dell’occupazione dell’ex Liceo Omero ha significato una dispersione in diversi luoghi di molte attività sociali che si svolgevano nelle sue mura, se non in alcuni casi addirittura la loro cessazione: i molti progetti agroalimentari e di economia alternativa, sindacali e vertenziali, di mutuo aiuto sulla cura, di aggregazione culturale e approfondimento politico, di socialità e convivialità libera, realizzati con tante realtà del quartiere, della città e a livello nazionale con l’associazione Fuorimercato.

Per alcune di queste è stato possibile lottare perché non scomparissero nel nulla, e continuassero ad esistere ospitate in nuove sedi: dalla scuola di italiano presso la biblioteca di Cassina Anna al GAS presso la vineria Fiasco, dalle nostre riunioni e materiali ospitate dal Condominio Solidale ai mercati contadini realizzati in piazza Giustino Fortunato. Per tutte le altre, tra cui i pranzi sociali ad esempio, continuava a persistere la speranza che si trovasse una sistemazione attraverso il percorso di vertenza che era stato aperto col Comune durante lo scorso anno.

Purtroppo, ciò non è stato in alcun modo possibile, e non per nostra volontà.

Alle indicazioni possibiliste, inserite nelle comunicazioni ufficiali scambiate durante la scorsa estate, hanno seguito da parte delle istituzioni comunali mesi di silenzio, tentativi di dialogo su soluzioni concrete naufragati con una certa fretta, inviti e suggerimenti avanzati per percorsi totalmente inadeguati a quello che era stata la proposta per il riconoscimento di un Bene Comune cittadino, che era sostanzialmente stato il nostro obiettivo da sempre nel percorso di vertenza con l’amministrazione.

Anche solo la prospettiva di un’assemblea di quartiere ufficialmente promossa e partecipata, che riportasse al dibattito le prospettive delle attività sociali e solidali nel quartiere di Bruzzano e che cominciasse a discutere pubblicamente del futuro dell’area dell’ex liceo, non si è mai concretizzata nonostante le nostre continue sollecitazioni.

Le cose, insomma, non sono andate come speravamo, e neanche lontanamente vicine a come ce le immaginavamo. Anche perché è ormai evidente, a livello milanese, la tendenza che si sta imponendo negli ultimi tempi.

In una città in cui aumentano gli sgomberi e in cui la questione degli spazi di vita (casa, spazi pubblici, luoghi alternativi) diventa sempre più soffocante verso l’ulteriore operazione di pulizia interna verso le olimpiadi invernali, la nostra storia specifica ha un significato che si connette a tanti altri: non c’è spazio per i Beni Comuni, gli spazi liberati e autogestiti, e l’interlocuzione istituzionale è fondamentalmente una presa di tempo per bollirci come le rane, come ben dicono da tempo da un altro fronte di lotta le operaie e gli operai di EX-GKN.

E noi come stiamo?
In difficoltà, senza timore di definirci onestamente in crisi.

L’assenza di uno spazio per quasi un anno è per una piccola comunità di autogestione una sfida delicata, che abbiamo provato ad affrontare, ma da cui siamo usciti logorat*. Ci sono ancora progetti diffusi che persistono, ma con la difficoltà di mantenere quella dimensione di socialità collettiva, di vera e propria “vita in comune” che ha caratterizzato la nostra esperienza di spazio sociale.

Se questo già molto significa, si aggiunge all’interno del nostro collettivo
un disaccordo su una tematica delicata ed importante: cosa significhi costruire dei percorsi di gruppo nel momento in cui in una realtà politica vengano sollevate delle segnalazioni di violenza, in particolare connotate da una dimensione di genere.

Gli episodi di violenza di genere nell’ambito degli spazi sociali e delle comunità politiche autorganizzate, purtroppo, continuano ad esistere. Lo sappiamo bene anche noi, avendone avuto esperienza nel passato remoto e recente. Se ne discute ancora troppo poco apertamente in un ambito politico generale, non solo milanese, che vorrebbe avere come obiettivo quello di cambiare il mondo.

La sfida di fronte a noi, acquisendo l’esperienza e i percorsi possibili indicati dal movimento Non una di meno e dalla marea femminista sul piano globale nel quale esso si inserisce, è come elaborare una strumentazione collettiva che tutt* abbiano come priorità, senza deleghe o opacità, con l’obiettivo rendere gli spazi autogestiti e di movimento luoghi reali per la fuoriuscita dalla violenza di genere nelle sue dimensioni strutturali, psicologiche, fisiche, sessuali, economiche. Strumenti che ci permettano di non affrontare la violenza nei nostri spazi ogni volta come fosse la prima, ma in un percorso di continua riflessione e sviluppo di pratiche per contrastarla.

La nostra discussione su questi nodi, scaturita dal sollevarsi della questione in ambiti nazionali attraversati da Ri-Make come gruppo politico in seguito alla segnalazione di una situazione di violenza, ha evidenziato la permanenza del disaccordo palesatosi al nostro interno. Abbiamo anche scelto di avviare un complesso percorso di lavoro su questi temi, con il supporto di realtà esterne come un centro antiviolenza. Questo passaggio è stato fondamentale, ma non risolutivo.

La sfida che abbiamo appena aperto è quella della messa in discussione e della ricostruzione di basi condivise su questo tema: come riconoscere la violenza, come costruire spazi accessibili e sicuri, come non rimanere indifferenti e provare a trovare dei modi di agire concreti sulla violenza. Speriamo di poter condividere quello che ne uscirà, soprattutto nello sviluppo di queste domande aperte, appena ne saremo in grado.

Queste azioni, reazioni e trasformazioni non sono comunque prive di conseguenze dolorose – a livello politico, emotivo, relazionale – in un fragile percorso collettivo come il nostro.

Il percorso di Ri-Make, per questo e gli altri motivi che segnalavamo, non proseguirà in futuro nella modalità in cui è sempre esistito, ma si trova evidentemente di fronte a una fase di mutamento e cambiamento.

Una resa?
No, piuttosto una nuova consapevolezza e l’inizio di nuovi percorsi.

Nel corso di quest’anno abbiamo portato avanti una progettualità che prenderà concretamente vita nei prossimi mesi: in seguito a un avviso pubblico della Direzione delle Biblioteche comunali di Milano per la costruzione di patti di collaborazione per la cura e l’utilizzo delle aree verdi di alcune biblioteche della città, abbiamo presentato un progetto per il giardino di Cassina Anna di Bruzzano. L’idea non nasce dal nulla, ma nel salvataggio e recupero del progetto del Giardino della Cura che avevamo pianificato per l’area verde dell’ex liceo Omero: un piccolo rifugio verde di solidarietà e incontri di quartiere, una possibile esperienza di bene comune che dimostri che esiste la possibilità di uso degli spazi pubblici che allarghi e spinga più in là gli stessi regolamenti comunali (sarà utilizzato proprio il regolamento dei beni comuni del Comune che dà sempre rivendichiamo possa essere utilizzato anche per edifici demaniali in disuso). Un luogo che faccia da ponte da questo momento verso l’avvenire, dove riprendere a ritrovarci, condividere incontri, praticare forme di mutuo aiuto e solidarietà, vivere momenti di rigenerazione, piacere e riposo, goderci un concerto e pranzare di nuovo in compagnia:

Sempre a Cassina Anna da alcuni mesi dicevamo che ha ritrovato casa la scuola d’italiano per persone straniere, che verosimilmente proseguirà data l’ampia partecipazione di questi mesi, a dimostrazione della necessità di esperienze di questo tipo basate sulla gratuità e la solidarietà a Bruzzano come in tutta la città.

In questa fase di trasformazioni, una parte di attivist* che hanno dato vita a Ri-Make in questi anni hanno contribuito all’ideazione del progetto Eufemia, che si propone di avviare il primo emporio culturale e di comunità del quartiere Affori.

Ci basta?
Beh, no.

Pensiamo che a Milano si ponga con urgenza la questione della restrizione degli spazi alternativi e il tentativo di contingentare qualsiasi forma di protesta e mobilitazione sui temi non più rimandabili: abitare, sanità, reddito, giustizia climatica, lotta contro la violenza di genere, razza e classe.

Nonostante la fatica e le ferite, la mancanza di ossigeno e di energia solare a rimanere sottoterra, pensiamo che si possa ancora scavare, come talpe (vecchia conoscenza di alcun*…) e rispuntare fuori, ma non da sol*: convergere con i tanti percorsi che hanno perso spazi, fisici, sociali e politici, che pensano sia necessario sparigliare le carte e mettere disordine sulla tavola apparecchiata della Milano esclusiva, olimpionica e dei grandi speculatori.
Vogliamo incontrarci, dialogare e riflettere con tutte le esperienze che da sottoterra vogliono convergere per rispuntare in modo imprevisto in questa soffocante metropoli.

Abbiamo dato vita a Ri-Make per aprire nuovi spazi dove ri-pensare l’agire politico e sociale, dove capire come ri-fare tutto ripartendo dalla radice e ricostruire nuove possibilità di rottura e alternativa al capitalismo attraverso l’autogestione, il mutualismo, il rivivere collettivamente luoghi abbandonati e sentirli e prendersene cura come comuni, di tutt* e per tutt*.

Questo orizzonte, questo film che abbiamo iniziato a girare nel 2013, ha avuto i suoi momenti travolgenti ed entusiasmanti, i suoi momenti duri e difficili, gli errori e i limiti, e anche la capacità di aprire brecce inaspettate e costruire esperienze di azione, autogestione e mutualismo non irrilevanti su temi importanti per le disuguaglianze strutturali di Milano. Oggi ci rendiamo conto che questa nostra storia ha centrato solo parzialmente i suoi obiettivi e quello che avevamo prospettato e su cui abbiamo dato ogni goccia delle nostre gioie, dei nostri piaceri, delle nostre lacrime, del nostro impegno, della nostra militanza. Per dirla più chiara: ci stiamo rendendo conto che ciò che è stato Ri-Make negli ultimi dieci anni non potrà replicarsi tale e quale, come una replica dello stesso film in cui piano piano si svuota la sala.

Restiamo convint* che nelle crisi ci sia sempre la dimensione della possibilità, di nuove storie che nascono, da vecchie storie che resistono se sono capaci di trasformarsi. Non sappiamo come andrà a finire questo film, e non siamo abituat* a pensare le esperienze politiche collettive come infinite, ma come strumenti adatti a un certo tempo e a certe esigenze.

Sappiamo però per certo che in tutti questi anni abbiamo imparato, con lenta impazienza, che ci sarà sempre il diritto a ricominciare.

Mai da zero, ma “dal mezzo”, da ciò che abbiamo sperimentato, tra tentativi ed errori, e che possiamo continuare a portare con noi di ciò che abbiamo scoperto per continuare a navigare in mare aperto.

Per continuare a far vivere in questa città tutto un altro film, con un finale e un futuro ancora da scrivere.

Ri-Make

Tag:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *