Attila ha perso il treno

Avevano promesso un sabato pomeriggio di devastazioni, scenari apocalittici e distruzione della città. Avevano promesso la calata degli Unni, Black Bloc da tutta Europa e Italia. Giusto un giorno prima della manifestazione il tg3 riportava un servizio di diversi minuti in cui si chiamava l’allarme primo maggio 2015, con annessi video di barricate in fiamme francesi e la lettura del volantino come se fosse un comunicato dell’E.T.A. All’appello accorato delle diverse testate giornalistiche mancavano solo l’arrivo di Attila, Darth Vader e Lord Voldemort. A sentire la gente per strada ci si aspettava il peggio, un sabato di fuoco e fiamme, di guerriglia urbana fino all’ultima punto bruciata. Non si capiva inizialmente se fosse solo un allarme rosso dato dai giornali semplicemente per creare audience su un evergreen per lo share facile, oppure ci fosse davvero una forte preoccupazione rispetto a quella data. Quando la polizia ha iniziato a ripulire le strade dalle macchine e a recintare le varie zone sensibili si è passati dalle parole ai fatti. Lo spazio urbano era stato letteralmente desertificato, i cestini rimossi, le serrande dei negozi per strada fatte chiudere. Recintati anche i parchetti dove giocano i bambini per l’allarme sampietrino. Il discorso sul decoro urbano vede diverse figure al centro dello stigma, tra queste, oltre a migranti, clochard, prostitute e ultras, esiste ormai una ricca letteratura costruita in anni di servizi allarmistici sui fantomatici antagonisti. Come fatto dai media in questi giorni, basta ripescare le immagini di scontri del passato per rievocare il fantasma dei casseurs stranieri. Tutto ciò con lo storico obiettivo di isolare i manifestanti, cercando di far prendere le distanze dalle ragioni della protesta. Il terrorismo psicologico messo in atto non ha però trovato riscontro nella realtà, infatti diverse centinaia di persone hanno attraversato le via della città, a volto scoperto, trovando consenso negli applausi degli abitanti del quartiere dove ha sfilato il corteo.

Spaventa forse chi mette in discussione gli interessi economici di petrolieri come Eni, responsabili dei teatri di guerra in Africa e in Medio Oriente, di chi finanzia e arma i gruppi wahabiti creando instabilità politica e controllando militarmente i pozzi? Sicuramente mettere in luce i diretti responsabili delle devastazioni, di chi utilizza l’intervento militare come strumento di stabilizzazione degli scenari globali, di chi come Finmeccanica basa i propri profitti su un’economia della morte, genera questo tipo di risposta da parte della Questura e dei mezzi di informazione mainstream. Viviamo in una città inviolabile, un teatrino della politica del decoro ormai consolidata dove qualsiasi tipo di espressione che non sia il grande evento modello Expo 2015 non può trovare spazio. Il tessuto cittadino viene violato a suon di gentrificazione, le trasformazioni dei quartieri dall’Isola, a Ticinese e Lambrate ne sono un esempio. Tutto ciò che non rientra nella Milano del profitto, del grande evento, dal Salone del Mobile alla Fashion Week, è additato e criminalizzato dalle istituzioni che puntualmente mettono in atto politiche di isolamento sistematico sostenuto dal giornalismo prezzolato.

Esiste però un tessuto vivo in contrasto con il modello della città-pacchetto. Una fluidità di soggetti che attraversano la rete urbana creando contraddizione con lo stato di cose attuali. Per quanto i sistemi di controllo messi in atto puntino a scoraggiare pratiche di contropotere, è presente una molteplicità di attori politici che fanno della propria quotidianità una lotta alla metropoli esclusiva ed escludente. Sabato pomeriggio se da una parte sfilava il corteo per le zone Nord della città, ad Est in via Padova migliaia di persone della società civile si stringevano le mani, dimostrando con l’azione dei corpi una resistenza all’ascesa di un vento di razzismo e discriminazione che cerca di far presa a Milano. È questa la città che ci appartiene, una città dove non c’è spazio per quelle istituzioni e partiti politici che puntano ad isolare e stigmatizzare.

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