Le trasmissioni riprenderanno il prima possibile
C’è una battuta che si sente pronunciare qua e là dai tempi dei nostri nonni (e probabilmente anche prima). Faceva più o meno così:
-Cosa fai nella vita? -Suono.
-Si, ma intendo, di lavoro?
Mai, come in questo periodo avverto la gravità di questo aspetto culturale diffuso nel nostro paese e che questo breve scambio di battute sintetizza benissimo.
La produzione artistica e culturale in Italia, al di là di levate di scudi di maniera ed esercizi di stile di parte di una borghesia acculturata, viene per lo più inconsciamente percepita come qualcosa di accessorio, di effimero ed in fin dei conti superfluo.
L’attore di forme artistiche e culturali, viene opposto nella vulgata-nazional popolare al lavoratore tradizionale, quello che si “sporca le mani”.
Ovvio e superfluo è sottolineare che questa divisione è un artificio della retorica piccolo borghese.
Da un lato perché, al pari degli altri lavoratori, intellettuali ed artisti sono oggetto di sfruttamento da parte dell’industria (in questo caso dell’intrattenimento) ma anche perché spesso, dietro alle produzioni artistiche e culturali vi è un anonimo mondo di lavoratori manuali nel senso più stretto del termine che rendono fruibile al pubblico il lavoro di artisti e intellettuali.
La vivacità della loro produzione crea poi, all’interno delle singole città, una forza attrattiva che restituisce in termini economici e di immagine un valore difficilmente quantificabile.
Nel caso delle produzioni artistiche legate allo spettacolo, questo si traduce in una massa di lavoratori che distanti dai riflettori allestiscono palchi, fanno funzionare impianti video, di illuminazione e amplificazione, costruiscono palcoscenici e scenografie, truccano, vestono, trasportano organizzano e rendono fruibili, attraverso i maggiori canali di diffusione, grandi e piccoli eventi.
Si occupano insomma di tutti gli aspetti tecnici di quel che ruota intorno al mondo dello spettacolo nelle sue più svariate declinazioni: Musica, teatro, televisione, cinema, sport, fiere etc etc.
Ben ci è chiaro inoltre che se nell’emergenza causata dalla pandemia del Covid-19 chi ne sta facendo maggiormente le spese sono i lavoratori in genere, ai quali si richiede un sacrificio in nome talvolta della necessità ma spesso e volentieri del profitto senza alcuna contropartita dal punto di vista dei diritti, dei salari o della sicurezza, altrettanto stride l’esclusione quasi totale di gran parte dei lavoratori dell’intrattenimento non solo dalle politiche di sostegno economico del governo per far all’emergenza, ma anche dalle forme tradizionali di sostegno al reddito.
Ad oggi infatti molti dei lavoratori del settore (fatta eccezione forse per teatro e cinema compresi in una forma di contratto nazionale particolare) sono sottoposti, per lo più attraverso cooperative create ad hoc, a forme contrattuali intermittenti che di fatto negano l’accesso a qualsiasi forma di ammortizzazione sociale.
E’ il caso ad esempio degli intermittenti a tempo indeterminato che, non lavorando, non hanno alcuna fonte di reddito ma che essendo comunque assunti a tempo indeterminato, risultano comunque occupati e quindi privi dei requisiti per accedere a indennità di disoccupazione come la Naspi o al fondo di integrazione salariale.
Oppure di quelli a tempo determinato la cui Naspi si calcola in base ad una percentuale irrisoria dei giorni effettivamente lavorati (che spesso non superano i 180 in un anno). Stesso discorso vale per i Fondi di integrazione salariale, accessibili a pochi e per cifre davvero irrisorie.
Per quanto riguarda poi le ormai famose 600 euro una tantum, possono accedervi ad oggi (ancora non è stata modificata la voce sul sito INPS per gli intermittenti) quei lavoratori dello spettacolo che non avessero contratto in essere alla data del 17 marzo 2020.
Sarebbe a dire che tutti gli indeterminati, sebbene privi di qualsivoglia fonte di reddito, ed i determinati il cui contratto era ancora attivo alla data del 17 marzo, rimangono di fatto esclusi.
Se consideriamo che le attività dei tecnici dello spettacolo (ma anche di tutto ciò che intorno allo spettacolo ruota) sono ferme più o meno dalla fine di febbraio e lo saranno probabilmente ancora molto, ci possiamo rendere conto di quale emergenza economica si presenti per i lavoratori del comparto (circa 200mila secondo fonti Istat) e per il lavoro indotto da essi generato. Emergenza che, trascorsi oltre tre mesi dall’inizio delle restrizioni, non sembra aver ricevuto alcuna risposta da parte delle fonti ufficiali.
Non si contano ormai le assemblee virtuali tra lavoratori, con i sindacati, con i consulenti del lavoro che si stanno svolgendo in questo periodo nonché i tentativi delle cooperative (chi più e chi meno in buona fede), di sollevare il problema fino a farlo emergere chiaramente affinché sia preso in considerazione dai legislatori ed in parlamento.
L’unica certezza è che ad oggi ci si trova privi di lavoro e reddito al di là delle sbandierate campagne del “nessuno escluso” tanto decantate dal governo nazionale e che pare non si stia nemmeno cogliendo l’occasione per regolamentare una volta per tutte un settore che da anni si trova in un limbo legislativo vergognoso senza tutele, senza diritti e senza nemmeno un riconoscimento di categoria.
Mesi di confronto, rabbia e disperazione hanno portato però anche qualcosa di buono.
I lavoratori dello spettacolo si sono riconosciuti, contati ed autorganizzati.
Hanno capito che solo pensando sé stessi come collettivo possono far sentire le proprie sacrosante ragioni e che se vogliono diritti al pari di altre categorie, devono conquistarsele, perché nessuno altrimenti lo farà per loro.
Recentemente è nata una nuova piattaforma indipendente che li riunisce a livello regionale per poi confrontarsi a livello nazionale. Piattaforme simili sono spuntate in tutta italia.
Il percorso è stato a mio modo di vedere straordinario, ha richiesto ore ed ore di confronto tra persone con visioni anche molto distanti ma convinte della necessità di prendere finalmente in mano una situazione già prima dell’emergenza Covid-19 poco sostenibile e cui la pandemia ha dato il definitivo colpo di grazia.
Un lungo percorso di divisione dei compiti in tavoli di lavoro e di confronto con sindacati, cooperative, giuristi del lavoro e, soprattutto lavoratori.
Il risultato sono state una base comune su cui lavorare ed alcune prime mobilitazioni.
Qualche giorno fa diversi striscioni sono comparsi nei principali punti di attrazione del circuito fieristico, della musica, dello spettacolo del capoluogo lombardo ed in giro per la città.
Per il 30 maggio inoltre è stata convocata una grande mobilitazione generale in tutte le principali città d’Italia a cui molte categorie autorganizzate del mondo dello spettacolo hanno già aderito.
Si richiede un reddito di continuità che aiuti il comparto fino alla ripresa dei singoli settori tutelandone la sopravvivenza, la difesa dei posti di lavoro a forte rischio dato il crollo verticale dell’economia del comparto.
Viene richiesto inoltre l’istituzione di un tavolo tecnico-istituzionale che provi a programmare in sicurezza per lavoratori e pubblico la ripartenza del settore e si occupi finalmente di una riforma e di una legislazione chiara ed univoca che riconosca anche ai lavoratori dello spettacolo dignità e diritti.
Qualora inascoltati i lavoratori sono pronti ad incrociare le braccia nei principali eventi di cultura, moda, spettacolo live e televisivo, eventi fieristici e di intrattenimento al fine di attirare finalmente l’attenzione su un settore importantissimo a livello economico e sociale ma totalmente bistrattato e trascurato.
Quella del 30 sarà una protesta in forma statica con la preghiera di rispettare norme di distanziamento onde evitare qualsiasi pretesto di sgombero della piazza.
Sono invitati a partecipare non solo i lavoratori del mondo dello spettacolo e dell’intrattenimento in ogni sua forma ma anche tutti i cittadini che abbiano a cuore la produzione culturale nel nostro paese.
Per una volta sul palco saliranno i backstage di tutto il paese per far sentire finalmente la propria voce. Facciamo loro sentire che non sono soli.
Daniele Colombari
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Solidarietà a chi non si vede e ci fa vedere, a chi non si sente ma che ci fa sentire, solidarietà a chi seppur dietro le quinte comunque esiste e resiste.