L’incendiaria del Mediterraneo

o scorso 18 agosto, dal porto spagnolo di Burriana, nei pressi di Valencia, è salpata la Louise Michel. Ormai lo sappiamo (quasi) tutti: si tratta della nave di salvataggio di vite migranti finanziata dall’arcinoto artista britannico Banksy.

Già il 27 di agosto l’imbarcazione, più piccola ma apparentemente più agile delle sue colleghe e riconoscibile per il rosa brillante scelto dall’artista per realizzare l’opera da lui dipinta sullo scafo, aveva tratto in salvo 89 migranti alla deriva nelle acque mediterranee.

Alla guida della nave Pia Klemp, capitana trentaseienne tedesca che da sei anni solca il Mediterraneo salvando vite umane. Inutile dire che questo impegno è stato prontamente ripagato da un’inchiesta della magistratura italiana, con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e combutta con i traffici libici.

In un’intervista, la Klemp ha affermato: “Non considero il salvataggio in mare come un’azione umanitaria, ma come parte di una lotta antifascista”.

In effetti, a proposito di processi, l’affermazione della capitana ne ricorda vagamente un’altra:

“Non voglio difendermi e non voglio essere difesa, appartengo completamente alla rivoluzione sociale e mi dichiaro responsabile delle mie azioni […] Bisogna escludermi dalla società, siete stati incaricati di farlo, bene! L’accusa ha ragione. Sembra che ogni cuore che batte per la libertà ha solo il diritto a un pezzo di piombo, ebbene pretendo la mia parte!”.

Chi ha pronunciato, durante il processo a suo carico del giugno 1871, queste parole infuocate dopo aver combattuto sulle barricate della Comune di Parigi? La risposta a questa domanda ci porta alla grande assente negli articoli e servizi di cronaca degli ultimi giorni. Louise Michel, colei che ha dato il nome alla nave di Banksy e Klemp.

Qualcuno si è azzardato a riportare “dal nome di un’anarchica femminista francese” (a dirla tutta, c’è stato chi l’ha scambiata per un Louis uomo). Ma vale la pena andare oltre, perché Louise Michel (Vroncourt 1830 – Marsiglia 1905), alla quale Paul Verlaine e Victor Hugo hanno dedicato rispettivamente la Ballade en l’honneur de Louise Michel e il poema Viro major, è stata una figura prorompente, eclettica, una donna di grande forza d’animo con idee coraggiose, che ha giocato un ruolo centrale nelle vicende legate alla Comune, ma anche nello sviluppo del pensiero animalista, femminista e anarchico.

E, nonostante ciò, rimane pressoché sconosciuta alle masse, come altre grandi figure femminili che hanno fatto la storia dell’anarchismo a fianco della forse maggiormente nota Emma Goldman [1].

Nata il 29 maggio 1830 in un castello a Vroncourt dalla relazione tra una domestica, Marianne Michel, e il figlio del castellano, Louise cresce serena, in un ambiente colto e progressista, immersa nella natura.

Sarà proprio durante l’infanzia che svilupperà il suo amore per gli animali, che la trasformerà ben presto in animalista nell’accezione più moderna del termine. Spesso, in tal senso, si fa riferimento a Elisée Reclus (nato e morto esattamente negli stessi anni della Michel) o al più noto Lev Tolstoj, anche lui quasi coetaneo, come padri del anarco-ambientalismo e dell’anarco-vegetarianesimo moderni, alimentando l’oblio nel quale è caduta la figura di questa brillantissima donna.

Venuta meno la protezione del padre, intorno ai vent’anni Louise è invitata a lasciare il castello. Si trasferisce così a Parigi, dove consegue il titolo per esercitare la professione di istitutrice. I suoi insegnamenti trovano radici nella pedagogia libertaria, il che le farà guadagnare diversi provvedimenti disciplinari da parte delle autorità.

Dall’arrivo a Parigi in poi, l’attività politica e militante farà per sempre parte della sua vita, anzi, sarà il vero nutrimento della sua esistenza: in particolare, si batterà per i diritti delle donne rivendicando l’uguaglianza di istruzione e salario per entrambi i sessi.

Dal 1869 sarà segretaria della Società democratica di moralizzazione, un gruppo di supporto per operai e donne in difficoltà e tesoriera di un Comitato di supporto ai profughi rossi.

Allo scoppio della Comune, Louise Michel è una delle più attive organizzatrici, tanto da diventare presidentessa del Comitato di vigilanza della Guardia Nazionale della XVIII circoscrizione, dove non vi erano distinzioni di genere nelle gerarchie.

Quando, il primo aprile 1871, il governo di Versailles dichiara guerra alla Comune, la Michel si arma con i suoi compagni e compagne combattendo fino alla fine. Dopo la sconfitta dei comunardi, si consegna al nemico per far liberare sua madre, arrestata al suo posto. Inizialmente sembrerebbe destinata alla fucilazione, da lei stessa invocata, invece è condotta al campo di Satory e da questo trasferita a Versailles, dove subirà il processo che ne decreterà la deportazione in Nuova Caledonia.

Sull’isola, dove approda dopo quattro mesi di navigazione e dove resterà per dieci anni prima di fare ritorno in Francia, si impegna nell’insegnamento agli autoctoni kanaks e con essi si schiera durante la loro rivolta del 1878. In seguito, ottiene di installarsi a Nouméa e di riprendere il suo mestiere di insegnante, dapprima per i figli maschi dei deportati, poi nelle scuole femminili.

Nel 1880 ottiene l’amnistia. Rientrata a Parigi, diventa un’instancabile propagatrice del pensiero anarchico: partecipa a convegni e a manifestazioni e un rapporto di polizia riporta la sua partecipazione all’Internazionale anarchica tenutasi a Londra nel 1881. Il 9 marzo 1883, dopo essersi unita ai disoccupati in lotta, è arrestata e condannata a sei anni di carcere.

Ottenuta la grazia nel 1886, instancabile, riprende la militanza: entra in contatto con Errico Malatesta, Emma Goldman, Pëtr Kropotkin (che aveva presieduto l’Internazionale londinese), Mikahil Bakunin, Pietro Gori e Sébastien Faure, con cui fonderà, nel 1895, il giornale Le Libertaire.

Louise Michel, donna infaticabile e d’infinita forza d’animo e azione, infastidiva (o spaventava) molti: il 23 gennaio 1888 l’estremista Pierre Lucas attenta, fallendo, alla sua vita. Le sono inoltre rivolte diverse false accuse nel tentativo di riconsegnarla alle carceri francesi, ma invano.

Negli ultimi anni della sua vita, Louise Michel si impegna per raccogliere fondi per i moti rivoluzionari in Italia, in Spagna, per l’indipendenza cubana.

In Louise Michel sembra convivessero due anime, che qualcuno ha definito opposte e che furono invece complementari. Insegnante affettuosa, amica e compagna leale, amante della natura e degli esseri viventi tutti, premurosa con la madre fino alla fine, quando si consegnerà alla polizia proprio per liberarla. E, insieme, militante e guerriera indomita, donna instancabile dalle idee rivoluzionarie, disposta a sacrificare se stessa per ciò in cui crede. Qualcuno l’ha definita “La santa anarchica”, altri “L’incendiaria di Parigi”.

Forse, chi ha scelto il nome della nave di salvataggio Louise Michel e la sua capitana ha pensato a tutto questo. Ci auguriamo che la Louise Michel continui a incendiare il Mediterraneo, trasportando umanità e portando con orgoglio e coraggio il nome di una grande donna.

di Sara Marchesi

da QCodeMagazine


NOTE

[1] In tal senso, tra le altre, bisogna ringraziare la casa editrice elèuthera, che nel suo catalogo ha raccontato e continua a raccontare la vita di queste donne rivoluzionarie ciascuna a proprio modo, da Louise Michel (M. Rovelli, Il tempo delle ciliegie, 2018) a Voltairine de Cleyre (Un’anarchica americana, a cura di L. Molfese, 2017), fino a Jane Jacobs (Città e libertà, a cura di M. Barzi, 2020).

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