Nicoletta Dosio arrestata in casa: «Continuo la lotta»

Una valle in tumulto per lei, che invece sorrideva serena: Nicoletta Dosio, già docente di greco e latino e fondatrice del Liceo Norberto Rosa di Bussoleno, chiusa dentro l’auto delle forze dell’ordine che se la portava via, salutava con un bel sorriso e il pugno chiuso.

La mano di una donna anziana ma non stanca che sventola, sempre chiusa dentro un’automobile e seduta di fianco a un carabiniere, un fazzoletto No Tav, mentre intorno a lei decine di persone accorse da tutta la val Susa bloccavano per oltre un’ora chi aveva il compito di portarla via dalla sua terra: direzione carcere. Urla della folla – «vergogna», «fascisti», «andate a prendere i ladri invece di venire qui da una settantenne» – si alzavano nella notte ghiacciata di Bussoleno, davanti alla casa dove Nicoletta e il marito Silvano nei decenni hanno accolto ogni debolezza tirasse la cordicella del vecchio campanaccio. Perseguitati dalla legalità, perseguitati politici, migranti in fuga, migranti con piedi bruciati dal gelo accuditi per mesi come figli, partigiani curdi, persone allo sbando. E in più offrivano un letto caldo: tutti questi e infiniti altri. Non solo, perché anche animali abbandonati hanno colonizzato la vecchia casa sormontata da due enormi cedri: cani, gatti, asini, oche, pecore, capre, caproni. A causa della sua esposizione a volte glieli ammazzavano, quegli animali: lei soffriva, molto, e poi ne prendeva altri.

Condannata con altri diciannove militanti No Tav in un recente processo, aveva rifiutato la concessione delle pene alternative al carcere. Una scelta consapevole del destino che le sarebbe toccato. «Non sarò la carceriera di me stessa a casa mia», diceva. E aggiungeva: «Veniamo tutti condannati per cosa? Per un vicenda dove lo Stato italiano ha messo nero su bianco, numeri alla mano, che abbiamo ragione noi». Si riferiva alla valutazione costi benefici partorita dal precedente governo. Valutazione che per lei altro non era che una prova accessoria, nemmeno dirimente, perché la sua contrarietà alla Torino–Lione fonda su principi non meramente econometrici ma umani: «Come è possibile annientare così una popolazione, che per giunta persegue un bene comune?», domandava.

«Andrò in carcere – diceva solo pochi giorni fa – dove troverò altri oppressi, altri ultimi, con cui solidarizzare e creare una nuova famiglia. Andrò in carcere perché di Tav non si parla più. Lo si considera un capitolo chiuso: e quindi con il mio corpo dietro le sbarre voglio riaprire questa storia indecente».

L’avvocata che la segue, Valentina Colletta ieri sera dichiarava: «Nicoletta era molto decisa, ma il mondo intorno a lei no.Una situazione grave con responsabilità che ricadono non solo su coloro che hanno deciso di portarla via questa sera, ma sopratutto su chi l’ha condannata».

Presidi e manifestazioni sono previste nei prossimi giorni a Torino e in Italia.

di Maurizio Pagliassotti

da il Manifesto del 31 dicembre 2o19

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