CensimentoMilano: il Comune vieta l’assemblea ai rilevatori
‘La natura del rapporto contrattuale in essere non consente la convocazione di un’assemblea presso i locali del Comune di Milano’. Questo il secco contenuto del messaggio mail inviato ad alcuni rilevatori del censimento dal Direttore del Settore statistica del Comune di Milano, Domenico Senisa.
I lavoratori, che nonostante lavorino dallo scorso settembre non hanno ancora visto 1 euro del loro compenso, avevano inoltrato al responsabile del Censimento una richiesta di assemblea all’interno del centro di raccolta di via Marsala 8 tramite i rappresentanti sindacali comunali, così come prevede lo Statuto dei Lavoratori. Incontro secondo i precari indispensabile, visto che oltre alla questione dei pagamenti, lamentano una disorganizzazione totale nella raccolta e nella gestione dei dati del censimento da parte del Comune di Milano.
L’assemblea si era svolta lo stesso, lunedì 30 gennaio alle 17 presso una sala della sede di via Marsala, nonostante una corpulenta funzionaria comunale fosse intervenuta per ribadire il divieto di assemblea, chiedendo espressamente ai rilevatori di abbandonare i locali. Le versioni a questo punto divergono: nessuno vuol assumersi la responsabilità dell’azione repressiva che ha interrotto l’assemblea. L’Amministrazione Comunale nega di aver avvisato la Polizia, scaricando la responsabilità ai vigili presenti nella sede comunale. La Polizia, accorsa con almeno 10 uomini della Digos, afferma che la chiamata è arrivata dal preside della scuola Pacle che ha sede nell’istituto. Fatto sta che gli uomini in borghese della Questura della vicina via Fatebenefratelli hanno dato ai lavoratori mezz’ora per abbandonare i locali, interrompendo di fatto l’assemblea.
Nelle altre sale e fino all’ingresso, intanto, si accalcavano file di ignari cittadini soprattutto migranti, in coda per la presentazione assistita dei moduli che venivano inseriti in sale attigue a quella incriminata da altri rilevatori.
Gli addetti al censimento sono circa 450 e lavorano dal mese di novembre con dei contratti di collaborazione considerati del tutto illegittimi sia da Roberto Firenze, rappresentante sindacale dell’USB che dall’avvocato Massimo Laratro di San Precario Milano.
L’amministrazione, per bocca dell’Assessore Benelli, responsabile del Censimento, ha dichiarato che l’Istat non ha ancora versato gli anticipi previsti per il pagamento del servizio, mentre Andrea Mancini direttore Istat ha dichiarato di aver già pagato al Comune due tranches del dovuto per un totale di 1,8 milioni di euro.
Secondo i rilevatori l’assessore al decentramento Benelli, ex assessore della Giunta provinciale Penati, 58enne ex Pci transitata dal PDS fino a Sel, sta ritardando l’incontro promesso ai rilevatori sin dal 16 gennaio, data del primo presidio da loro organizzato davanti a Palazzo Marino. Senza risposta anche la richiesta ufficiale inviata via fax all’assessorato dai rilevatori, mentre il braccio destro del sindaco Paolo Limonta ha smentito categoricamente i dati espressi del direttore generale dell’Istat. Ulteriori dichiarazioni rese alla stampa dalla Benelli indicherebbero nel direttore generale del Comune Davide Corridore, il titolare delle deleghe relative ai servizi del Censimento: un ulteriore elemento di incertezza in una vicenda dalle molte ombre.
I rilevatori denunciano comportamenti poco corretti tenuti sia dal dirigente Domenico Simisa che da alcuni responsabili comunali del censimento. In giorno successivo al presidio del 16 gennaio davanti a Palazzo Marino, il dirigente giunto in incognito nelle stanza di via Marsala, ha apostrofato Claudio del Santo uno dei rilevatorei presenti a lavoro senza qualificarsi chiedendogli: ‘Chi è che ha problemi?’ Il direttore dei servizi statistici avrebbe chiesto la sospensione del rilevatore, modalità non permessa però dai contratti di collaborazione a progetto sottoscritti. ‘Tali contratti’, sostiene Massimo Laratro del pool legale del Punto San Precario Milano, ‘Sono totalmente illegittimi in quanto non quantificano né il compenso né la data in cui dovrà essere corrisposto. Inoltre, come prevede l’articolo 36 della Costituzione e come previsto dall’accordo raggiunto coi rilevatori dal Comune di Bologna, i compensi devono essere legati a quelli previsti dal Contratto Nazionale.’
La decisione di negare il diritto di assemblea ai lavoratori non è una questione di poco conto ed è stata presa dai massimi vertici del Settore personale del Comune di Milano ma avallata dalle scelte politiche della Giunta. Che ha così sancito una sorta di apartheid tra lavoratori comunali: da una parte i lavoratori a tempo indeterminato con un’età media intorno ai 50 anni che in meno di 20 anni sono passati da 30 mila all’attuale quota di 15.500. Dall’altra diverse migliaia di lavoratori precarizzati divisi sia contrattualmente tra interinali, contratti a progetto, soci di cooperativa, tempi determinati, collaboratori occasionali che tra società esternalizzate, appaltate, partecipate, ex municipalizzate.
Privati non solo di qualsiasi continuità di reddito, ma anche dei più elementari diritti dei lavoratori, come quello di svolgere un’assemblea nel luogo in cui svolgono la propria attività.
Quello dei rilevatori è il terzo ‘fronte precario’ aperto che vede come controparte il Comune e la Giunta che lo guida da 7 mesi. Irrisolti i problemi dei 750 precari a tempo determinato, nonostante l’accordo separato firmato solo da Cgil e Uil lo scorso 13 gennaio, così come quelli dei 700 co.co.pro. dei Centri di aggregazione e dei Centri Anziani i cui contratti, stipulati tramite Milanoristorazione spa, sono stati rinnovati solo fino al prossimo giugno.
Da registrare anche la mancata delibera di indirizzo sulla precarietà, impegno sottoscritto nel sofferto accordo sindacale sopraccitato dall’assessore al personale Chiara Bisconti. La data entro la quale la Giunta si impegnava a deliberare l’importante atto scade oggi, martedì 31 gennaio.
E si avvicina un’altra data cruciale sul tema della precarietà prodotta dal Comune e dalla miriade di azienda ad esso collegate, il 31 marzo. Entro quel giorno infatti, secondo quanto previsto dal decreto sulle liberalizzazioni, Palazzo Marino dovrà decidere quali società, beni e servizi, mettere sul mercato. In altre parole: quanti lavoratori che solo nominalmente percepiscono un reddito da società esterne, verranno sacrificati. Quasi tutte le partecipate di Palazzo Marino infatti, sforano i 900 milioni di euro di valore, limite massimo oltre il quale il governo ha imposto l’obbligo di privatizzazione totale.
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