[DallaRete] Ci volevamo credere….

cambio passoConsigliamo per una maggiore comprensione di questa riflessione di leggere il testo del  bando del comune il cui link è riportato nello scritto stesso.

Abbiamo atteso quasi un mese prima che il Comune di Milano bandisse una gara per l’affidamento di altre strutture per l’accoglienza dei migranti in transito per la Città e avevamo immaginato di raccogliere una sfida associandoci ad una delle realtà che si sono attivate in questi ultimi anni, anche se le condizioni previste dal bando non concorrono in alcun modo a descrivere la complessità del fenomeno che chiunque concorrerà è chiamato a gestire.
Abbiamo deciso di organizzarci come gruppo per garantire ai migranti in transito l’orientamento necessario per muoversi tra le vie e le regole della Città e del Paese in cui viviamo, anche per concorrere a modificarne alcune.
Non abbiamo mai coltivato il desiderio di gestire un centro di accoglienza, perché le norme che ne regolano l’esistenza non sono chiare, né costruite per rispondere ai bisogni delle persone che in questi luoghi vengono “ospitate”. La discrezionalità è totale e tutto viene delegato alle intenzioni di chi li gestisce, più o meno buone che siano.
Anche se le cronache di questi anni hanno raccontato altro, a volte, gli spazi della discrezionalità possono diventare luoghi reali di sperimentazione e trasformazione positiva.
Quando?
Quando le istituzioni sono in grado di attribuire valore all’attivazione di percorsi d’impegno civile che rendono le risorse individuali di ciascuno, patrimonio di tutti, attraverso pratiche di solidarietà reale, capaci di rendere il decoro di una città sinonimo di dignità delle persone e non a legittimare il ricorso a pratiche intimidatorie e poliziesche, o peggio a linguaggi razzisti e xenofobi.
Noi eravamo pronti a sperimentare, pur sapendo di essere una piccola realtà, consapevoli di aver avuto un ruolo determinante nel far emergere un fenomeno bandito allo sguardo e all’attenzione dei comuni cittadini, consapevoli di avere competenze di cui nessuno dispone, tra cui la mediazione linguistica e culturale, che poco, o nulla, ha che fare con la semplice traduzione. Ma soprattutto consapevoli di aver acquisito nel tempo e attraverso la collaborazione con tantissimi cittadini e piccole e grandi realtà organizzate, le qualità utili ad entrare in relazione con le migliaia di persone che abbiamo incontrato e che ancora oggi assistiamo.
Non abbiamo, però, la possibilità di assicurare uno stipendio che l’amministrazione pubblica non pagherà che tra tre mesi e diverse delle persone che collaborano con noi sono legalmente legate al territorio italiano da un contratto di lavoro, che generalmente assicura loro anche la sopravvivenza.
Ci auguriamo, quindi, che nei prossimi mesi e nei prossimi anni le istituzioni, a tutti i livelli, si dotino degli strumenti utili per formare le capacità di chi sarà chiamato ad accogliere chi attraverserà in lungo e in largo il Belpaese e informare i comuni cittadini della complessità di un fenomeno globale che investirà nei prossimi anni tutte le nazioni del mondo.

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