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10915181_568119489992222_4129886313398754877_nAccanto alle grandi opere, al precariato diffuso e a molte disillusioni, nel dopo Expo resteranno le forze e le soggettività che costituiscono il tessuto vivo di Milano, e di questo tempo. Forze e soggettività che desiderano e praticano un’altra idea di città, che affermano come collettivi e come individui, il proprio diritto di esistere, lavorare, socializzare, condividere, creare.

Se il modello di città e di lavoro costruito da Expo non risponde ai nostri bisogni, possiamo già oggi mettere a confronto proposte pratiche per costruire alternative possibili.

25 gennaio 2015 | H. 15.00 | Macao

Assemblea aperta alla città

A Milano, la logica dell’evento condiziona da molti anni lo sviluppo del territorio e modella fortemente le vite di chi vi abita, vive e transita, determinandone i flussi, le opportunità di lavoro e i modelli insediativi. I tempi della metropoli sono scanditi all’interno di un ”Evento continuo”: Salone del Mobile, Fuorisalone, Settimana della Moda, e ora Expo 2015. Sono presenze costanti, più che eccezionali.

L’Evento addensa un  coacervo di interessi economici particolari, in cui fanno sistema la corruzione negli appalti, le nomine politiche, il consumo di suolo, la speculazione sul valore dei terreni; mentre sul piano immaginifico, nella comunicazione, l’Evento ricorre alla retorica della grande aspettativa, incurante di disattendere le promesse cui allude.

Il modello di rilancio economico per l’Italia delineato da Expo 2015 , rischia infatti di essere il campo di prova nazionale per un programma di ulteriore erosione sia del territorio che dei diritti lavorativi. Questo aspetto appare del tutto evidente se si osserva che la principale campagna promozionale di Expo 2015 sul lavoro è stata una chiamata per il reclutamento di 18.000 volontari a prestazione gratuita.

A fronte di questo quadro, desideriamo individuare alcuni ambiti di azione, nei mesi che ci separano da Expo 2015, e per tutta la sua durata. Il periodo dell’esposizione, potrebbe per noi trasformarsi in un grande laboratorio di azione e pratica politica, con l’obiettivo di ridefinire le strategie economiche, le condizioni lavorative, l’idea di creatività, il controllo dei flussi di pubblico e del territorio urbano. Vorremmo cogliere l’occasione per tradurre pratiche comuni in un’altra idea di città: lottare per un altro tipo di governo del territorio, un altro tipo di organizzazione sociale e per altre forme di produzione culturale si può, e ne va della qualità delle nostre vite.

La posta in gioco è altissima: scardinare il meccanismo per il quale lavoriamo  sempre di più, guadagnando sempre meno, con meno diritti e sempre meno potere decisionale.

Nell’esperienza e nelle pratiche di Macao, le questioni della governance e della gestione del territorio e degli spazi, sono sempre state connesse alla possibilità di co-produrre mutualisticamente, affermando come democrazia diretta, governo del territorio e lavoro siano in stretta relazione e inscindibili nel nostro “pensiero” di lotta.

Vogliamo aprire un confronto con la città su questi temi, per costruire proposte concrete nelle quali maturare una posizione autonoma, critica e propositiva, che dia valore e rafforzi pratiche politiche diffuse, in grado di trasformare l’esistente.

Una Città Aperta

Partiamo da ciò che vogliamo e immaginiamo.

Vogliamo che sul territorio metropolitano ci sia la possibilità, per gruppi di cittadini e cittadine, anche senza doversi costituire in soggetti giuridici, di gestire direttamente una proprietà abbandonata, privata o pubblica che sia.

Vogliamo che questi spazi, una volta a disposizione, possano essere governati da una collettività aperta di persone, fisiche e giuridiche, riunite in forma assembleare.

Vogliamo che la possibilità di gestire questi beni non discenda esclusivamente dalle disponibilità economiche degli interlocutori, ma diventi occasione per chi non le ha, di creare economie e reddito.

Vogliamo che l’amministrazione pubblica agevoli la produzione e il lavoro all’interno di questi spazi, ad esempio attraverso norme speciali su agibilità, fisco, Siae, ASL, ecc. in particolare per tutte quelle situazioni che riqualificano il territorio urbano, avviando attività produttive sotto il governo di un assemblea aperta.

Vogliamo che gli spazi, anche se formalmente abbandonati, nei quali gruppi di persone stanno già oggi producendo e riqualificando territorio urbano, vengano considerati come spazi pieni.

Abbiamo deciso di provare a incidere sull’apertura del Comune di Milano, con degli obiettivi precisi, non fumosi, che potessero costruire dispositivi capaci di cambiare le regole del gioco. Per questo, riconoscendolo come uno strumento utile per tracciare un percorso innovativo, da luglio 2014, Macao è impegnato in un Tavolo di lavoro con il Comune, sul tema degli spazi abbandonati.

Abbiamo proposto che il tavolo lavorasse, attraverso un’istruttoria pubblica, alla redazione di una delibera che possa misurarsi con i nostri desideri, e la proposta è stata accettata dai rappresentanti del Comune: il Tavolo pubblico con l’amministrazione si è posto l’obiettivo di scrivere una delibera che il Comune si impegna a portare in discussione in Consiglio comunale entro marzo del 2015.

Stiamo facendo questo lavoro perché dotarsi di una delibera del genere significherebbe avere uno strumento concreto per poter gestire dal basso proprietà pubbliche e/o private, e avere le condizioni per poter produrre e creare reddito in un ambiente normativo agevolato.

Non diamo affatto per scontato che il Consiglio comunale approvi la delibera così come la stiamo scrivendo, dal momento che stravolgerebbe le regole che determinano da sempre la gestione del territorio, ma portare su un piano pubblico questa discussione, allargarla e accogliere altre suggestioni, rende reali le possibilità che una trasformazione radicale nella gestione della città avvenga.

Infrastrutture Produttive

Vogliamo lavorare e farlo in un altro modo.

Il capitale sta investendo negli ultimi anni nella cosiddetta economia condivisa, la sharing economy, creando l’illusione che ognuno possa trovare un’occasione di guadagno, semplicemente mettendo a disposizione ciò che conosce o possiede. In realtà, questo processo è il più delle volte un modo con il quale grosse compagnie fanno lavorare in forma intermittente e a basso costo tanti “utenti”, assicurandosi l’accumulo del grosso dei guadagni e il controllo di grandi masse di lavoratori.

E’ possibile inventarsi strumenti o forme di organizzazione diverse?

La sfida è costruire un meccanismo che consenta di usare le nuove tecnologie per altri scopi: far si che la collettività possa mettere in comune ciò che produce, possa ripensare il concetto stesso di “valore”, assegnandogli significati altri rispetto al valore di scambio (unico senso considerato dal mercato), possa ridistribuire il valore economico prodotto al proprio interno, assicurando a ciascuno/a l’accesso alle risorse e il diritto di esistere, invece che concentrare la ricchezza nelle mani di pochi.

Nel percorso fatto in questi anni di auto organizzazione all’interno di Macao, e confrontandoci con altre esperienze in Italia e all’estero, ci siamo posti il problema di inventare nuove infrastrutture relazionali e tecnologiche, in grado di promuovere pratiche di lavoro che possano rendere possibile un diverso tipo di produzione, caratterizzato dalla volontà di ridistribuire direttamente il valore economico, sociale e culturale prodotto tra i soggetti in rete, e di stravolgere il sistema di relazioni che il mercato del lavoro impone, riscoprendo il piacere del collaborare alla creazione di progetti di senso condivisi.

Per questo, abbiamo progettato una piattaforma web da mettere al servizio di tutti quei network produttivi che vogliono cooperare, mettere in comune e far circolare i mezzi di produzione, i saperi e le competenze.

L’idea che lanciamo è di co-gestire con tutti/e gli/le interessati/e una piattaforma in cui:

– Si possa avere una mappatura delle risorse messe in comune in questa logica, determinandone collettivamente le regole di accesso;

– Si possa avere una banca dati della domanda e offerta di lavoro, in termini di prodotti, servizi e progetti;

– Si possa usufruire di un crowdfunding interno a questo network per supportare i progetti;

– Si possa supportare opere e progetti che vengano rilasciati in copyleft, ristrutturando dal basso i diritti di proprietà sulle opere;

– Si possa immaginare una governance gestita direttamente dalla totalità dei/le partecipanti/e;

L’ultimo tassello su cui abbiamo lavorato è concepire una moneta nuova, una moneta digitale complementare all’euro e non convertibile, che possa regolare questi scambi, supportare la produzione all’interno del network e permettere di implementare le scelte di governance.

L’abbiamo chiamata “moneta del comune”: Common Coin. Come strumento politico, potrebbe avere queste caratteristiche:

1) Essere continuamente distribuita all’interno della comunità della piattaforma, come reddito incondizionato. Tutti/e devono essere messi/e nella condizione di poter spendere, e quindi produrre, ricevendone periodicamente una quantità di base;

2) Avere un interesse negativo: più si tiene ferma, più perde di valore;

3) Essere generativa: offrire incentivi positivi qualora i progetti o i prodotti rappresentino un ulteriore elemento di investimento nella piattaforma;

4) Implementare un meccanismo che permetta equità nella retribuzione del lavoro, evitando lo sfruttamento (paghe troppo basse) e la sopravvalutazione (differenziali smisurati tra diverse competenze).

Solo all’interno di una pratica politica che tiene insieme un rovesciamento della governance del territorio, anche attraverso il ripensamento del lavoro, ci sembra credibile e realizzabile una trasformazione profonda della città e un investimento serio sulla qualità delle relazioni sociali, necessari in questi anni per  superare  le logiche sempre più sottrattive del capitale.

Non è un percorso già scritto, bensì un piano di lotta articolato, da scandire attraverso le intelligenze di tutti e tutte.

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