[DallaRete] La Turchia inasprisce la repressione contro il Kurdistan

curfew-cizre_Ankara sta individuando nuove misure contro le proteste kurde a sud-est. I coprifuoco stanno affamando la popolazione, la polizia reprime con violenza le manifestazioni.

Roma, 16 dicembre 2015, Nena News – Il sud della Turchia è già esploso, seppure l’Europa che fa accordi per fermare i rifugiati guarda ad Ankara solo come valido partner da incoraggiare, e non come un alleato da mettere in riga. Un massacro è in corso nel Kurdistan turco, ormai da mesi. Le ultime due settimane però hanno visto un peggioramento delle condizioni di vita, dovuto ai lunghi coprifuoco imposti dalle autorità turche nelle città kurde del sud-est.

“Gli scontri continuano in quasi tutti i distretti, perché i coprifuoco non cessano – spiega a Nena News l’attivista kurda turca Burcu Çiçek Sahinli – I kurdi sono in strada nelle principali città, a Wan, Hakkari, Mardin, Sirnak. La scorsa notte le forze turche hanno lanciato duri attacchi contro Cizre. Ce lo aspettavamo, dopo l’evacuazione delle scuole e la cacciata degli insegnanti”.

A guardare le immagini che vengono pubblicate nei social network dai residenti sembra che sia in corso una vera e propria guerra: case distrutte, strade piene di macerie, segni dei missili contro gli edifici, moschee in fiamme. Molte famiglie stanno lasciando le proprie comunità perché i coprifuoco stanno affamando la popolazione. Le scuole restano chiuse, mentre gli ospedali hanno enormi difficoltà a lavorare a pieno ritmo.

I kurdi ne sono sicuri: Ankara sta portando avanti una guerra. C’è chi pensa che l’unica soluzione sia interrompere le proteste di masse e agire strategicamente: ieri il Dbp (il Partito delle Regioni Democratiche) ha fatto appello alle organizzazioni di base chiedendo di non scivolare sul terreno che il governo dell’Akp vuole imporre. “Il governo ha trascinato il paese nel buio implementando uno stato di assedio nella regione kurda, soprattutto a Sur, Nusaybin, Kerboran, Cizre, Silopi e Idil. In risposta a queste pratiche di negazione, annichilimento e sistematico omicidio da parte dell’Akp, tutti i nostri funzionari e associazioni devono prendere misure urgenti sulle basi di un piano di azione democratico disciplinato e organizzato”.

Ma la rabbia della base è tanta, potenzialmente ingestibile: ieri a Diyarbakir, “capitale” del Kurdistan, erano decine di migliaia le persone a rendere omaggio a Serdil Cengiz, 21 anni, e Siyar Salman, 19, uccisi dalla polizia turca lunedì durante gli scontri nel quartiere assediato di Sur. I corpi dei due giovani sono stati portati a Kosuyolu Park, dopo la rimozione delle barricate poste dalla polizia e poi al cimitero Yenikoy per la sepoltura. Durante la marcia funebre i giovani kurdi hanno gridato slogan e chiesto vendetta per le tante morti subite.

Alle manifestazioni kurde si aggiunge la reazione dei militanti del Pkk, a cui ieri è stata attribuita la bomba che ha ucciso tre poliziotti a Silvan, nella provincia di Diyarbakir: un ordigno posto lungo la strada è esploso al passaggio del veicolo militare, uccidendo tre poliziotti e ferendone altri tre. Immediatamente il governo di Ankara ha imputato l’attacco al Partito Kurdo dei Lavoratori, contro il quale ha lanciato una vasta operazione militare a fine luglio, bombardandone le postazioni nelle montagne di Qandil, nel nord dell’Iraq, e colpendolo nel sud della Turchia con arresti di massa e punizioni collettive della popolazione civile.

Una guerra riaperta dopo la rottura della tregua, durata tre anni e fortemente voluta dal leader del Pkk, Abdullah Ocalan, che aveva visto nella pace e nel negoziato l’unica via d’uscita. Per questo ha imposto tre anni fa ai propri combattenti l’abbandono delle armi, senza ottenere però dal governo turco un vero dialogo. Al contrario l’ultimo anno ha visto un’intensificazione della militarizzazione del sud della Turchia con la costruzione di basi militari e confische delle terre.

L’Akp si difende: ieri il premier Davutoglu ha detto che le operazioni militari contro il Pkk continueranno così da impedire che contagino il paese dalla Siria e dall’Iraq. “In questo anello di fuoco, trasformeremo i distretti di Cizre e Silopi e ogni pezzo della nostra patria in un’area di pace, stabilità e libertà – ha detto il primo ministro – I terroristi saranno cancellati da questi distretti. Quartiere per quartiere, casa per casa, strada per strada”.

È quello che l’esercito e la polizia turchi stanno facendo, ma con il terrore e la violenza. I kurdi parlano di massacro, sono già decine i morti a novembre per le rappresaglie turche e i 52 coprifuoco imposti dalla metà di agosto in una zona in cui vivono 1,3 milioni di persone. E Ankara non si fermerà: le autorità turche stanno lavorando ad un inasprimento delle pratiche di chiusura: alle operazioni parteciperà anche la polizia anti-terrorismo, mentre i confini con la Siria – quelli rimasti aperti al passaggio degli uomini dell’Isis – saranno chiusi per impedire il transito eventuale di combattenti del Pkk.

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