Il lavoro ai tempi di Expo – Come il mega-evento trasforma l’economia metropolitana

 

csv_01In occasione dello Strike Meeting, che si svolge in questi giorni a Roma, presso le OfficineZero, come Rete Attitudine NoExpo abbiamo provato a fare il punto su Expo e lavoro: i passaggi e gli accordi che hanno reso Milano e la Lombardia un laboratorio della precarietà, il loro rapporto con i progetti nazionali di riforma del lavoro e il significato dei processi in corso. Nel tour NoExpo verso il corteo dell’11 Ottobre, porteremo questi contributi anche all’appuntamento europeo del prossimo 27 settembre a Bruxelles, altra tappa di costruzione dello sciopero sociale europeo.

Attori, accordi e numeri del laboratorio Expo

Expo2015, l’abbiamo già detto più volte, è un’occasione di accaparramento immediato e futuro di risorse comuni e laboratorio per nuove forme di governo del territorio: sul fronte della speculazione edilizia e finanziaria, su quello dello sfruttamento intensivo ed estensivo del territorio e sulla riorganizzazione della manodopera.
Concentrandoci su quest’ultimo punto osserviamo anzitutto quali sono gli attori in campo, i soggetti principali nella costruzione e gestione del laboratorio Expo sul lavoro:
• Expo S.p.a.
• il Comune di Milano
• la Regione Lombardia
• i sindacati confederali (Cgil, Cisl e Uil)
• soggetti del Fuori-Expo (ad esempio, Wired)
• il Terzo settore, ovvero mondo del volontariato e dell’associazionismo

In particolare notiamo come l’accordo con i confederali e l’adesione piena del Terzo settore non solo rendono possibile il reclutamento in forze di lavoratori sottopagati e gratuiti, ma sostengono anche la retorica dell’Esposizione sostenibile, democratica e progressista. Nascondendo di fatto la realtà di sfruttamento che permette al mega-evento e ai molti progetti collegati sul territorio di funzionare.

Come tutto nella storia di Expo2015, anche l’organizzazione del lavoro prima, durante e dopo l’evento ha cominciato a prendere forma con grande ritardo, quando in teoria tutto doveva già essere se non pronto, quasi. Vediamo brevemente una cronologia degli accordi e il loro significato:
• accordo Expo S.p.a. – Confederali del 26/7/2013, relativo ai contratti di lavoro e alla regolamentazione delle attività interne e/o collegate all’evento, con la curiosità che la validità è estesa fino a novembre 2016;
• accordo Comune di Milano – Rsu del 30/7/2014, valido anche per le attività collegate al semestre di presidenza italiana del Consiglio europeo;
• avviso comune Regione Lombardia – Confederali di estensione territoriale dell’accordo di luglio 2013;
• programmi di reclutamento “Università e scuole per Expo2015”;
• deroga al Ccnl per gli operai del settore edilizia, impegnati 20 ore su 24 nei lavori del Sito Expo e nei cantieri delle opere collegate;
• deregulation totale per l’indotto e alcuni settori-chiave: possibilità di muoversi al di fuori dei protocolli sindacali;
• possibilità per i paesi stranieri di non rispettare la legislazione italiana sul lavoro nei loro padiglioni.

Tralasciando un momento l’effettiva disponibilità della popolazione a prestarsi come volontari per un evento che ha già potuto usufruire di lauti finanziamenti pubblici e di permessi speciali, questi accordi riguarderanno da un numero minimo di 18.500 lavoratori (l’esercito di volontari e precari di cui ha bisogno Expo) ad un massimo ancora difficile da calcolare, ma che potrebbe a rigor di logica aggirarsi attorno alle diverse centinaia di migliaia di persone, considerando la possibilità, per numerose aziende, fino a fine 2016 di usufruire della legislazione speciale sul lavoro. Ad occuparsi del reclutamento di volontari e stagisti per Expo S.p.a è ManpowerGroup, azienda interinale che diviene di fatto l’unico intermediario tra il singolo lavoratore ed Expo.

Legislazione speciale

Ai 18.000 volontari previsti dal piano di gestione di Expo S.p.a. occorre aggiungerne un altro numero imprecisato che starà all’interno di quelle attività collaterali di cui si parla nel protocollo d’intenti 30/7/2014. Nell’accordo si determina l’impossibilità di utilizzare questa manodopera in sostituzione del personale dell’ente, ma nubi si frappongono a questo rassicurante trafiletto: nel caso si offrano nuovi ulteriori servizi oggi non presenti, questa clausola sarà ancora valida? Nel caso i servizi già offerti vengano amplificati, la clausola come verrà interpretata? C’è il caso degli operatori del TCI: Comune e Touring Club Italia varano una convenzione per cui il personale volontario dell’associazione presterà lavoro ai musei civici in modo da garantire aperture fuori orario delle strutture, in un’ottica di maggior servizio all’Expo-turista. La puntuale contestazione da parte del personale a tempo determinato (vistosi sacrificato da questa scelta) ha comportato l’annullamento della convenzione. Ad oggi come verranno gestiti i musei è un grosso punto interrogativo.
Non si parla di “volontari”, ma si tratta pur sempre di lavoro non retribuito, nel caso degli stagisti che verranno per forza di cose impiegati nelle strutture alberghiere o simili in prossimità di Expo2015 (o più semplicemente “in zona”): per queste società è possibile muoversi senza tener conto degli appositi protocolli sindacali, che potrebbero avere la funzione di moderare le criticità del grande evento (anche se, a ben vedere, i protocolli sin qui firmati sono al contrario documenti che legalizzano rapporti di lavoro prima impensabili e che si pongono come modello su scala nazionale).
Il lavoro in somministrazione riguarda poi anche tutto il mondo della formazione che, coerentemente con il progetto di riforma di scuola e università del governo Renzi, viene presentato come il naturale bacino di reclutamento di Expo. In particolare nel caso degli studenti universitari l’arruolamento come volontario nei propri settori di studio e specializzazione (ad esempio: comunicazione, informatica, traduzioni) comporta un mancato riconoscimento formale della professionalità personale. Un trucco legale che però, se svelato, la dice lunga sull’idea di istruzione e formazione che sta dietro il mega-evento.

L’eccezionalità del megaevento ed il “gioco di squadra” che dovrebbe convincerci a concedere il sangue in cambio della gloria appartengono alla stessa retorica della crisi e dei sacrifici necessari per uscirne. I protocolli sindacali sino a qui firmati hanno definito uno stato d’eccezione per via di Expo2015 (e del semestre di presidenza europeo), in cui la precarietà viene presentata come unico modello possibile a sostegno del momento e in cui alle deroghe richieste (ancora non concesse) rispetto al patto di stabilità seguiranno debiti futuri nella Pubblica Amministrazione: contratti non per adeguare la pianta organica, ma per pagare salari senza detrazione di solidarietà agli stipendi superiori ai 90 mila euro (aggirando così il tetto massimo per manager e a.d. pubblici); o per assumere illimitatamente personale a tempo determinato e/o Co.co.co. (cosa che qualcuno teme risulterà nel lungo periodo a scapito delle assunzioni a tempo indeterminato). Inoltre è prevista la possibilità di contrarre debito, sforando quindi il Patto di Stabilità, per attività legate ad Expo2015.

Ancora più grave è il tentativo di sospensione del diritto allo sciopero, per il semestre di presidenza europeo e per il periodo di Expo, concretizzatosi nell’invito della Commissione di Garanzia sugli Scioperi a porre una moratoria sulle agitazioni sindacali. Per indire eventuali scioperi o sospensioni dal lavoro occorreranno più passaggi (prima uno tecnico, poi uno con un membro della giunta ed infine il passaggio in prefettura, dove dietro l’angolo la moratoria minaccia la precettazione dello sciopero). Sempre su questo tema, preoccupa molto la tendenza (proveniente dai Confederali a dir la verità, come nel caso del settore trasporti della Cgil bergamasca) verso i cosiddetti “Patti Sociali per il Territorio”, ovvero un accordo bipartisan di fatto per garantire tutta una serie di servizi e attività strategiche (in primis, la mobilità e i trasporti).
Nell’ultimo anno questa eccezionalità ha conosciuto un’estensione territoriale che interessa tutta la Lombardia.

Il significato politico

Muoviamo alcune brevi considerazioni sul significato e il lascito di questa lunga legislazione speciale sul lavoro.
Anzitutto da una lettura degli accordi, risulta evidente la filosofia e i principi alla base:
• flessibilità estesa e generalizzata;
• esclusione del tempo indeterminato dall’orizzonte contrattuale;
• superamento, dove possibile, della stessa forma-contratto;
• volontariato e presunta “ragione sociale” come sostituti del lavoro salariato e retribuito.

Infine, il fatto che nei padiglioni stranieri viga la normativa del paese aderente, crea di fatto delle Zone economiche speciali in miniatura per i lavoratori (che potranno venire direttamente dall’estero).

Notiamo inoltre che il modello legislativo e organizzativo proposto da Expo2015 è coerente con i processi di trasformazione urbana e con la redistribuzione di reddito in corso, che non solo Milano sta vivendo. Il default “a rallentatore”, tecnico e controllato che l’Italia (come altri paesi europei) subisce comporta e si intreccia con una serie di processi:
• impoverimento generalizzato dei territori, con il suo portato di gentrification, urbanistica affidata al mercato, perdita di sovranità da parte delle istituzioni locali;
• aumento della disoccupazione e della precarietà lavorativa, dove la ripresa economica dei paesi e delle città appare sempre più come un miraggio e nel migliore dei casi si tratta di una ripresa senza occupazione;
• quindi città e territori impoveriti, dove l’afflusso di risorse è slegato dalla vita concreta delle comunità, ma viene affidato a operazioni speculative, investimenti occasionali, attività a tempo e spazio determinati (eventi e/o commercializzazione di singole zone);
• il lavoro assume sempre meno forma di continuità e stabilità, mentre si caratterizza come occupazione stagionale, precaria, a tempo determinato, dove la tanto esaltata “scala sociale” è bloccata.

In tutto questo assistiamo all’imporsi di una riorganizzazione brutale del lavoro e dei lavoratori, come appunto avviene nel caso di Expo: la retorica dell’Esposizione esalta i valori del successo e dell’iniziativa individuale, rappresentati dal modello della micro-impresa (start-up, auto-imprenditoria, ecc); si propone un’ottica di sempre maggiore autonomia e indipendenza degli individui, ottenute solo se meritate e precedute da una fase (questa si a tempo indeterminato) di sacrifici ed “esperienza” (leggi: lavoro gratuito).
Ma quello che vediamo noi è invece una progressiva atomizzazione del lavoro: il legame tra attività lavorativa e salario; la tutela rappresentata dai diritti sociali e lavorativi; la dimensione collettiva stessa: tutto questi non vengono più considerati come elementi costitutivi del lavoro. Scorgiamo un certo paradosso nel fatto che siano stati i sindacati stessi a firmare la propria emarginazione e, di fatto, la fine della propria funzione storica e sociale.
Somministrazione, volontariato, stage, individualità del rapporto di lavoro, free jobs, deroghe speciali: la riorganizzazione del lavoro al tempo di Expo priva nel concreto i lavoratori degli strumenti legali utili alla tutela propria e di quel più ampio gruppo sociale un tempo conosciuto come “forza-lavoro”.

Fatta l’analisi è ora venuto il tempo della controffensiva. Se Expo vuole rappresentare un laboratorio di sfruttamento e precarietà, questo è allora un motivo in più per rompere e bloccare la macchina del mega-evento.
Restando fedeli al principio del primo sindacato di precari, disoccupati e stagionali della storia occidentale, i wobblies dell’Iww: don’t mourne, organize.

http://www.noexpo.org/2014/09/13/il-lavoro-al-tempo-di-expo-come-il-megaevento-trasforma-leconomia-metropolitana/

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