53 anni fa la strage fascista di piazza Fontana
Oggi, alle ore 18 corteo da Palestro.
Una vulgata molto cara alla destra italiana e molto diffusa ai giorni nostri tende a “inabissare” le responsabilità dei fascisti nelle violenze di fine anni Sessanta e anni Settanta in quella che potrebbe essere definita una strategia di “normalizzazione e vittimismo” (in tutto e per tutto simile a quella utilizzata per le responsabilità del Ventennio e della Seconda Guerra Mondiale). I fascisti, che siano dichiarati, ex o post tendono a far passare se stessi e il loro mondo come “povere vittime” di quel periodo storico. Le violenze insomma, sarebbero solo quelle dei rossi… Basta però leggere i freddi dati e le notizie di cronaca per acclarare quanto sia falsa e vergognosamente mistificatoria questa tesi. Le violenze fasciste sono continue e quasi quotidiane tra il 1968 e il 1974 coronate da alcune efferate stragi di innocenti di cui la matrice non è chiara solo a chi non vuole vedere o agli smemorati strumentali. La prima strage è quella di piazza Fontana, di cui oggi ricade il 53° annversario.
Sono le 16,37 del 12 dicembre 1969.
Una bomba ad alto potenziale esplode al centro del salone della Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana, a pochissimi metri da piazza Duomo. Mentre le altre banche a quell’ora sono già chiuse, la banca di piazza Fontana rimane aperta per consentire le ultime operazioni bancarie agli allevatori provenienti da molte parti della Lombardia. L’esplosione uccide sul colpo 13 persone ferendone poco meno di un centinaio. Altre quattro persone moriranno successivamente.
Nell’arco di un’ora altre tre bombe esplodono a Roma ferendo 16 persone: una all’Altare della Patria, una al Museo del Risorgimento di piazza Venezia e una alla Banca Nazionale del Lavoro di via San Basilio. Una quinta bomba viene ritrovata alla Banca Commerciale Italiana di piazza della Scala e con una sciagurata decisione degli investigatori fatta brillare in serata distruggendo importanti elementi d’indagine come timer, esplosivo e contenitore dell’ordigno. Cinque bombe in meno di un’ora. Elemento significativo di un alto livello organizzativo.
Le prime, confuse notizie parlano dell’esplosione di una caldaia. Ma ben presto si capisce che il massacro è stato causato da una bomba.
Nel giro di pochissime ore la Questura di Milano allora guidata da Marcello Guida (ex-fascista) ferma circa un centinaio di persone. Quasi tutte di sinistra. A guidare le indagini l’Ufficio Politico (attuale Digos) gestito da Antonino Allegra e che, tra i suoi uomini di punta aveva il Commissario Calabresi. Viene immediatamente imboccata la pista anarchica anche su imboccata del famigerato Ufficio Affari Riservati.
La notte del 15 dicembre, Giuseppe Pinelli, militante anarchico precipita dal quarto piano della Questura di Milano e più precisamente dall’ufficio del Commissario Calabresi, dove era trattenuto illegalmente da più di tre giorni. La Questura mette subito in piedi una vergognosa conferenza stampa dichiarando che Pinelli si era suicidato vedendosi scoperto come uno dei responsabili delle bombe. Giova ricordare che tutto ciò si rivelerà totalmente falso. Nonostante il clima di caccia alle streghe anti-anarchica, ai funerali di Pinelli partecipano più di 3.000 persone.
Nelle stesse ore viene arrestato l’anarchico Pietro Valpreda che diventerà il vero e proprio capro espiatorio della strage e che passerà moltissimo tempo in carcere risultando alla fine completamente innocente.
Ci vorrà un lungo periodo di tempo prima che la magistratura riesca a gettare le prime luci sul ruolo decisivo delle strutture del gruppo fascista di Ordine Nuovo nel massacro del 12 dicembre (e nelle bombe sui treni dell”agosto precedente) arrestando per la prima volta Franco Freda e Giovanni Ventura.
La via giudiziaria è stata un vero e proprio sentiero di guerra con l’intervento consistente degli apparati dello Stato per coprire, insabbiare e “garantire” gli imputati fascisti. Nel 1987 la Cassazione assolve in via definitiva Freda e Ventura dall’accusa di strage, ma li condanna per le bombe sui treni che furono il vero e proprio “antipasto” di piazza Fontana. Negli anni Novanta una nuova indagine del magistrato milanese Guido Salvini porta nuova luce sui fatti coinvolgendo nuovi personaggi facenti parte dello stesso ambiente neofascista veneto e della stessa organizzazione politica ovvero Ordine Nuovo. Tra loro spicca la figura di Delfo Zorzi. Nel 2005, dopo sentenze alternanti, la Cassazione assolve in via definitiva Zorzi come autore materiale del massacro, affermando però che la strage di piazza Fontana fu realizzata da Ordine Nuovo con la responsabilità diretta di Franco Freda e Giovanni Ventura, non più processabili in quanto assolti con sentenza definitiva nel 1987.
E’ importante ricordare che l’indagine sulla strage del 12 dicembre ha dato un contributo fondamentale a un’altra indagine della Procura di Brescia su un’altra strage, quella di piazza della Loggia del 28 maggio 1974 che, non a caso, nel 2017 si è conclusa con le condanne definitive dei due ordinovisti veneti Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte (per il quale, poco più di due mesi fa è stata respinta la richiesta di revisione del processo). Stessi personaggi, stesso milieu eversivo.
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