Coronavirus e lavoro – I sommersi e i salvati

Alla fine, ieri sera, la notizia di cui si vociferava da tutto il giorno è arrivata. Con un messaggio al paese il premier Conte ha annunciato un nuovo giro di vite nella gestione del coronavirus. Tante le attività chiuse fino al 25 marzo.

“Si chiude!” – Questo il “claim” che intorno le 22 ha iniziato a girare in centinaia di chat lavorative del commercio, della ristorazione, del turismo e non solo, ma…

 C’è un MA gigantesco di cui ci si è resi conto quasi subito, ed è legato alle eccezioni di cui il nostro paese è maestro assoluto.

Leggendo il testo del decreto, uscito pochi minuti dopo il discorso di Conte, balza all’occhio il numero esorbitante di eccezioni in esso contenute:

Ipermercati;
Supermercati;
Discount di alimentari;
Minimercati ed altri esercizi non specializzati di alimentari vari;
Commercio al dettaglio di prodotti surgelati;
Commercio al dettaglio in esercizi non specializzati di computer, periferiche, attrezzature per le telecomunicazioni, elettronica di consumo audio e video, elettrodomestici;
Commercio al dettaglio di prodotti alimentari, bevande e tabacco in esercizi specializzati (codici ateco: 47.2);
Commercio al dettaglio di carburante per autotrazione in esercizi specializzati;
Commercio al dettaglio apparecchiature informatiche e per le telecomunicazioni (ICT) in esercizi specializzati (codice ateco: 47.4);
Commercio al dettaglio di ferramenta, vernici, vetro piano e materiale elettrico e termoidraulico;
Commercio al dettaglio di articoli igienico-sanitari;
Commercio al dettaglio di articoli per l’illuminazione;
Commercio al dettaglio di giornali, riviste e periodici;
Farmacie;
Commercio al dettaglio in altri esercizi specializzati di medicinali non soggetti a prescrizione medica;
Commercio al dettaglio di articoli medicali e ortopedici in esercizi specializzati;
Commercio al dettaglio di articoli di profumeria, prodotti per toletta e per l’igiene personale;
Commercio al dettaglio di piccoli animali domestici;
Commercio al dettaglio di materiale per ottica e fotografia;
Commercio al dettaglio di combustibile per uso domestico e per riscaldamento;
Commercio al dettaglio di saponi, detersivi, prodotti per la lucidatura e affiniv
Commercio al dettaglio di qualsiasi tipo di prodotto effettuato via internet;
Commercio al dettaglio di qualsiasi tipo di prodotto effettuato per televisionev
Commercio al dettaglio di qualsiasi tipo di prodotto per corrispondenza, radio, telefono;
Commercio effettuato per mezzo di distributori automatici.

Già questa mattina, sui social, divampava la rabbia delle lavoratrici e dei lavoratori obbligati a recarsi sul posto di lavoro nonostante la situazione di emergenza. Lavori che, spesso e volentieri, sono tutt’altro che strettamente necessari, come ad esempio una percentuale altissima dei servizi assicurati dai call-center, sopratutto quelli outbound (chiamate in uscita).

Citando una sconsolata lavoratrice di un negozio di articoli per animali: “Non è giusto, siamo anche noi esseri umani”.

Ed è proprio la disparità di trattamento a scatenare più rabbia e frustrazione.

Di questa mattina è anche un comunicato molto duro della Fiom-Cgil che chiede un immediato incontro con il governo:

“La Segreteria nazionale della Fiom, ascoltata la comunicazione del Presidente del Consiglio sulla firma del nuovo DPCM per contrastare la diffusione del coronavirus, valuta inaccettabile la mancanza di misure e iniziative volte alla protezione dei lavoratori che stanno garantendo la tenuta economica del Paese in una condizione di grave emergenza”.

E un po’ da tutta Italia arrivano notizie di scioperi spontanei nelle fabbriche dove il livello di sindacalizzazione e l’abitudine al conflitto è alta.

Dalle prime notizie che arrivano da chi in MiM è impegnato in attività sindacale, la situazione nei magazzini della logistica è già al collasso visto il numero spropositato di ordini on-line di questi giorni. E non può certo stupire il fatto che nelle piccole cooperative dei subappalti il rispetto della sicurezza e della salute dei lavoratori, già di norma ampiamente trascurato, in un momento di emergenza come questo finisca all’ultimo posto.

In aggiunta a tutto questo, va sottolineato che le strutture che dovrebbero occuparsi dei controlli sulla sicurezza e sulla sanità come le ATS sono state via via depotenziate in questi anni e oggi suona ridicoli caricarle del peso gravoso di una situazione ingestibile.

Di ieri due comunicati molto chiari sulla pesantissima situazione che si sta vivendo nel mondo del lavoro (specie quello meno garantito) in questi giorni.

Proprio ieri uno degli AlmaWorkers Milano segnalava come, incurante della drammaticità della situazione e superando ampiamente il confine del ridicolo, in data 28 febbraio Almaviva (colosso dei call center) avesse invitato l’Ordine dei Medici di Milano a “effettuare le opportune verifiche e a vigilare affinché vengano rigorosamente rispettate le normative vigenti in tema di certificazione fiscale dello stato di malattia”. A spingere Almaviva in questa direzione, si legge nel testo, pare essere stato l’aumento (a detta dell’azienda “anomalo”) dei certificati di malattia emessi “in favore di personale assente non proveniente da aree a rischio epidemiologico poste in quarantena”. Una scelta che non ha bisogno di molti commenti…

Contemporaneamente, un rappresentante dei riders segnalava come i lavoratori delle piattaforme non fossero stati ancora forniti dei dispositivo di sicurezza.

A tutto ciò va aggiunta la situazione di insicurezza che stanno vivendo le partite IVA, al momento totalmente prive di coperture e garanzie.

È evidente che il coronavirus sta portando al pettine tutti i nodi di un paese in cui, negli ultimi 30 anni, oltre a disinvestire sulla sanità pubblica puntando su quella privata si è privilegiato e determinato il dilagare della precarietà. E’ chiaro che il decreto di ieri si è piegato ai desiderata di Confindustria non facendo però i conti con lo scontento che avrebbe provocato in una parte non minoritaria del paese. Domani avremo nuove notizie sul decreto che stanzierà i fondi per gli ammortizzatori sociali e le altre tutele legate alla gestione dell’emergenza.

Intanto la parola d’ordine del reddito di quarantena sta iniziando a diffondersi e, oltre a questo, forse sarebbe necessario iniziare a invocare delle maggiorazioni per tutti coloro che sono tuttora obbligati ad andare a lavoro senza poter scegliere, perché “cornuti e mazziati” anche no!

* in copertina una vignetta di Vermi di Rouge di questa mattina

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