Covid – Odissea al drive-in del San Paolo

“E’ iniziato il secondo round”. E’ questo il messaggio che mi scrive il mio amico infermiere mentre mi metto in coda per fare il tampone al Drive Through dell’Ospedale San Paolo di Milano.

Sono le 8 di mattina, la fila di macchine lungo il controviale di Famagosta arriva già fino a piazza Miani. E’ chiaro che si prospetta una lunga attesa. Ad intrattenermi c’è la radio, accompagnata dalla pioggia che fa da sottofondo. Sigillato come sono nel mio veicolo penso solo al lento procedere della colonna di auto e alla confusione del traffico quando qualcuno cerca di parcheggiare. Arrivato sul retro dell’ospedale noto una ragazza in piedi tra le macchine, sta facendo la fila come tutti…ma camminando. Al freddo sotto la pioggia procede ordinatamente tra una macchina e l’altra, ma viene mandata via dal personale. Lei non capisce bene, sembra stordita dalla febbre, è in fila da ore, ma presto si arrende. Desolata e impotente si allontana.

Le notizie annunciano l’allarmante trend dei contagi. Dopo una settimana iniziata al ritmo di quasi cinquemila nuovi contagi al giorno, non bisogna attendere il week-end per sfondare la quota diecimila, quasi un terzo dei quali in Lombardia.

Ad una rotatoria creata per agevolare il traffico intravedo un conoscente alla guida, anche lui in coda. Ormai il virus è tra noi, chiunque ha un conoscente infetto o in quarantena…fiduciaria, obbligatoria, preventiva, volontari… A chi entra in contatto con un positivo, oltre la preoccupazione della malattia e la paura di diventare un vettore del contagio si aggiunge l’incubo di dover affrontare procedure caotiche e contraddittorie. Per essere tracciato come contatto a rischio e fare un tampone ci vuole mediamente una settimana, oltre ad una grande determinazione per inseguire informazioni contrastanti in uno snervante labirinto fatto di telefonate con medici, Ats, ricerche su siti internet di ospedali e del Ministero, un passaparola continuo per ricostruire un pezzo alla volta le varie strade percorribili, e in ultimo un pizzico di fantasia, per arrangiarsi di fronte all’inefficienza del servizio sanitario. Per chi è sprovvisto di una solida rete di conoscenze che lo sostengano è praticamente un’impresa.

Allora sembrano chiare le ragioni del tracollo della situazione. Siamo ancora a circa metà dei 300.000 tamponi al giorno indicati la scorsa estate dal “Piano Crisanti” di Fondazione Gimbe come necessari per stabilire un adeguato tracciamento. E mentre il virus corre, il sistema sanitario pubblico arranca, non ci sono stati mutamenti sostanziali, i provvedimenti del governo sono parziali e inadeguati. Chi può ricorre a tamponi privati pagando dai 70 ai 120 euro, alimentando un privato convenzionato che in Lombardia assorbe la metà dei finanziamenti pubblici alla sanità, con il 95% circa dei pazienti che provengono dal servizio sanitario nazionale.

Il mio caso è emblematico. Dopo i primi sintomi di una collega che ha scoperto di essere stata a stretto contatto con dei positivi mi sono auto-isolato, ma con l’eccezione dei turni lavorativi, che ho dovuto mantenere dato che in attesa dell’esito tutte le attività sono proseguite ordinariamente. Qualche giorno dopo il prevedibile risultato ha confermato ogni timore. A questa notizia la direzione non ha risposto con alcuna indicazione operativa con la conseguenza che in ogni reparto ci si è comportati in modo diverso, organizzando smart working autonomamente, quando possibile.

Solo in seguito a sollecitazioni, sono state indicate come valide le procedure stabilite ad aprile (sigh). Il medico del lavoro e il responsabile della sicurezza hanno valutato che l’utilizzo dei dispositivi di protezione in dotazione e il mantenimento del metro di distanza fossero una garanzia sufficiente. Sul sito del Ministero della Salute troviamo il rapporto dell’Istituto Superiore della Sanità che indica come contatto a rischio la “distanza minore di 2 metri e di durata maggiore a 15 minuti”, che varierebbe i criteri presi in considerazione, ma in merito non giunge risposta. Sarà forse che la quarantena non è più a carico dell’INPS ma delle imprese? Così l’accesso al tampone tramite segnalazione dell’azienda viene negato.

Prevenzione e tutela della salute pubblica diventano una questione di scelta personale, di sensibilità verso il periodo attuale, di percezione del rischio. Devo muovermi come singolo cittadino. Il calvario prosegue. Qualcuno si muove privatamente, ma il costo è importante. La linea telefonica del medico di base è intasata, continuo senza sosta a provare fino a quando mi avvisa che avrebbe proseguito a lavorare fino a mezzanotte per far fronte alle esigenze. Scatta finalmente la segnalazione ad Ats, che non mi ha mai più contattato. Successivamente ho scaricato un’autocertificazione dal sito dell’ospedale. E’ indicata la necessità di prenotare tramite Ats per poter accedere al tampone Drive Though (falso!) dedicato solo ai casi sintomatici (falso!), poi ho fatto 4 ore di coda grazie alla fortuna di avere una macchina a disposizione. Nella speranza di non aver contagiato in questi giorni nessuno tra clienti e coinquilini attendo dalla mia stanza l’esito del tampone.

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