Finanziaria 2023: una manovra contro il Reddito

Lunedì 21 novembre, il governo presieduto da Giorgia Meloni approva il Disegno di Legge riguardante il Bilancio 2023, proposto dal Ministro dell’economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti. Nei giorni immediatamente successivi il testo viene inviato a Bruxelles che pone da subito delle critiche riguardanti l’innalzamento a 60 euro per l’obbligo del Pos. Lunedì 28 novembre inizia invece il consueto iter parlamentare con tempi strettissimi, visto che deve essere approvato entro il 31 dicembre per evitare il cosiddetto esercizio provvisorio.

Questa manovra contiene misure del valore di circa 35 miliardi: due terzi sono finanziati in deficit, ossia aumentando il debito pubblico, mentre la parte rimanente è finanziata riducendo alcune spese e aumentando qualche tassa (le coperture nel dettaglio non sono ancora state rese note, salvo quelle inerenti al taglio del Reddito di Cittadinanza e quelle relative al meccanismo d’indicizzazione delle pensioni). La maggior parte delle risorse, circa 21 miliardi, è destinata a prorogare per il prossimo anno alcune delle misure prese dal Governo Draghi (nel cui solco sembra muoversi l’attuale Presidente del Consiglio) per sostenere imprese e famiglie che devono fare i conti con i rincari dell’energia (per quanto riguarda l’inflazione e la perdita di potere d’acquisto dei salari invece tutto tace). La restante parte serve a finanziare nuovi provvedimenti su tasse e pensioni.

Nel complesso la legge di Bilancio appare molto prudente e attenta al giudizio degli investitori sui mercati finanziari e a quello della Commissione Europea. Lontani ormai i tempi in cui il duo Salvini-Meloni proponeva l’uscita dall’euro come soluzione di tutti gli italici problemi.

Ci sono delle modifiche importanti per quanto concerne il Reddito di Cittadinanza (che verrà ridotto nel 2023 per poi essere abolito nel 2024) e l’aumento del tetto all’uso del denaro contante (da 1.000 a 5.000 euro). Inoltre vengono reintrodotti i voucher (previsti all’epoca del Governo Berlusconi dalla legge Biagi nel 2003 e aboliti dal Governo Gentiloni nel 2017) nei settori dell’agricoltura, alberghiero e della cura della persona. Il nuovo “buono-lavoro” avrà un valore nominale di 10 euro lordi all’ora (7,50 euro netti) e un tetto di reddito per i lavoratori fino a 10mila euro l’anno (nella versione precedente si arrivava al massimo a 5.000 euro). L’obiettivo dichiarato è quello della regolarizzazione del cosiddetto lavoro nero, in realtà questo provvedimento aumenta la precarizzazione del lavoro disincentivando l’utilizzo dei contratti collettivi previsti in questi settori con un alto tasso di lavoro precario (e “povero”). Ragion per cui l’associazione padronale di categoria (Confesercenti) richiede la possibilità di estendere l’uso dei voucher all’intero comparto del Turismo.

La lotta contro il Reddito di Cittadinanza (e contro chi lo percepisce ovvero la fascia più debole della popolazione) è il provvedimento “bandiera” della manovra, che fa seguito alle promesse fatte prima delle elezioni e alla forte campagna ideologica e mediatica portata avanti dalle destre insieme al duo Renzi-Calenda. Esemplare è il riferimento costante alle frodi tra chi percepisce il reddito (meno dell’1% come spiega bene Gianni Giovannelli in questo articolo) a fronte di un silenzio sul tema dell’evasione fiscale che provvedimenti come l’innalzamento dell’uso del contante sembrano incentivare.

Secondo gli ultimi dati dell’Inps il Reddito viene percepito da circa 3 milioni e mezzo di persone con un importo medio di poco inferiore ai 600 euro. L’obiettivo del governo è arrivare all’abolizione del Reddito a partire dal 2024 e a sostituirlo con una (non meglio precisata) riforma. Inizialmente Meloni voleva arrivare alla sua eliminazione già nel 2023 poi è prevalsa una linea più prudenziale: l’anno prossimo è previsto un periodo “ponte” per inserire tutte le persone occupabili nel mondo del lavoro tramite dei corsi di formazione obbligatori e, in ogni caso, queste persone percepiranno il reddito per un massimo di otto mesi (il governo quindi “risparmierà” circa 700 milioni, 70 dei quali destinati alle scuole “paritarie”), inoltre chi percepisce il Reddito sarà più ricattabile perché dovrà accettare la prima offerta congrua di lavoro pena l’interruzione del sostegno economico.

Attualmente per “occupabile” si intende una persona che percepisce il Reddito di Cittadinanza che non presenta evidenti impedimenti per ottenere un’occupazione. Secondo i dati forniti lo scorso ottobre dall’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (ANPAL), al 30 giugno 2022 sarebbero circa 600mila le persone occupabili che percepiscono il reddito, ma non sappiamo quante di queste persone siano esonerate dalla ricerca perché, ad esempio, genitori di figli piccoli o con disabilità. Sempre secondo questa nota, agli occupabili si devono aggiungere le oltre 172mila persone che prendono il Reddito ma già lavorano percependo stipendi talmente bassi da avere comunque diritto all’integrazione.

Quest’ultimo dato rende ancora più assordante il silenzio del governo sulla questione salariale (ulteriormente aggravata dalla crescente inflazione) e sulla presenza ormai strutturale di centinaia di migliaia di “working poor” nel nostro Paese ovvero di persone che pur lavorando sono al di sotto della soglia di povertà, condizione sempre più diffusa soprattutto nelle grandi città del nord in cui il costo della vita, in particolare delle case, è più alto.

La nota dell’ANPAL ci dice inoltre che solo 179mila beneficiari risultano “vicini al mercato del lavoro” (hanno cioè una posizione contributiva contemporanea alla percezione del reddito o ravvicinata). I “veri” occupabili che effettivamente non lavorano sono quindi relativamente pochi e spesso, se non lavorano, c’è un valido motivo più che una volontà: si tratta di persone con bassa scolarizzazione (nel 70% dei casi si arriva al massimo alla licenza media), non più giovani, nella maggior parte dei casi distanti da oltre tre anni dal mercato del lavoro.

I primi due mesi del Governo Meloni hanno indicato chiaramente la sua direzione politica: dal decreto “anti-rave” alla gestione dei migranti nelle scorse settimane. L’attacco al Reddito di Cittadinanza si muove nella stessa logica di attacco alle persone fragili o che non rientrano nel canone del “bravo cittadino”, con una visione della povertà intrisa di moralismo colpevolizzante e con l’intento di trovare un “nemico” su cui indirizzare il malcontento legato alla crisi attuale.  L’eliminazione del Reddito è inoltre funzionale ad aumentare il cosiddetto esercito (ormai non solo industriale) di riserva a beneficio della classe padronale.

Per questi motivi sarebbe urgente una forte campagna a difesa del Reddito e per una sua ulteriore estensione, che sappia connettere i diversi territori e le diverse generazioni nel segno di una radicale discontinuità con la visione proposta dal governo.

FabeR (Gigaworkers)

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