L’attacco feroce al reddito di cittadinanza e la pervasività dell’ideologia neoliberista

“Reddito di cittadinanza is the new 35 euro agli immigrati”.

Questa brillante e centrata citazione sentita al corteo di Fridays For Future di venerdì scorso ci sembra quantomai appropriata per aprire un articolo sull’attacco frontale in corso contro il reddito di cittadinanza.

Il RdC, diciamocelo, è stato uno dei pochi temi capaci di produrre effervescenza e polarizzazione in questa strana campagna elettorale estiva. Il fronte che attaccava la misura messa in campo dal Governo gialloverde nel 2019 era (ed è) molto ampio e andava dalla destra (con sfumature diverse e freno via via tirato in prossimità dell’apertura delle urne) alle varie associazioni padronali, dai grandi giornali mainstream agli accanitissimi Macron de’ noantri Calenda-Renzi, arrivando anche a una certa “sinistra” che, se non proprio per l’abolizione (ricordiamo che il PD votò contro l’istituzione del reddito) della misura di welfare si è espressa per una sua revisione profonda (senza ulteriori specifiche in merito). Dall’altro lato della barricata c’erano soprattutto i 5 Stelle di Conte, che sono stati notevolmente aiutati nel loro recupero elettorale proprio dall’essere visti come i “soli contro tutti” nella difesa del RdC.

In fondo, la guerra contro i percettori di reddito ha rappresentato per la destra la nuova espressione della brillante politica, ripetuta a ogni elezione, di creazione del capro espiatorio di turno per raccimolare voti ed evitare di affrontare i problemi strutturali di questo Paese. Se nel 1994 Berlusconi vinse le elezioni sventolando lo spauracchio comunista (!), le elezioni del 2008 furono caratterizzate dal tema della sicurezza. Nel 2018 la Lega di Salvini sfondò battendo sul tema di una presunta “invasione migrante”. Oggi il nuovo nemico è il reddito di cittadinanza, o meglio, chi lo percepisce. Il tutto condito da quel po’ di sano odio e retorica antimeridionale che speravamo relegata agli anni Ottanta e ai tempi della Lega Lombarda di Umberto Bossi.

I due elementi che più colpiscono sono però altri:

  1. Il coro unanime della cosiddetta “intellighenzia di sinistra” che quotidianamente si scaglia contro il RdC in quasi tutti i salotti televisivi. Per questi soloni i poveri sono, dall’alto dei loro stipendi da migliaia di euro al mese, solo un concetto metafisico e non esseri umani in carne e ossa;
  2. Come la retorica antireddito trovi spazio anche tra compagn* cresciut* a “pane e movimento” che forse dimenticano come il reddito sia stato una proposta avanzata dai movimenti sociali sin dall’inizio degli anni Duemila. Il tutto all’insegna di un lavorismo un po’ datato e superato dai tempi, visto che la dignità e il ruolo sociale del lavoro sono stati sistematicamente disintegrati dalla rivoluzione neoliberista degli ultimi quarant’anni. Questo la dice lunga sulla pervasività dell’ideologia neoliberista coi suoi dogmi di produttività e autosfruttamento anche nei “nostri” ambienti.

Come se non bastasse, questa campagna feroce arriva in un momento socio-economico problematico con il carovita in aumento e la recessione alle porte. Ogni settimana ci parlano di ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri, eppure l’idea resta quella di smantellare le timidissime misure che cercano di lanciare una scialuppa di salvataggio alle fasce meno abbienti. Insomma, essere poveri rimane una colpa gravissima. E per questo restiamo impantanati nella critica di una misura presente in tutta Europa, proprio nel momento in cui l’Unione Europea, non proprio accusabile di socialismo reale, raccomanda di ampliare le tutele per i più poveri.

Insomma, in un Paese con 80 miliardi di evasione fiscale, gli stipendi tra i più bassi d’Europa, interi settori produttivi basati sullo schiavismo, 4 morti sul lavoro al giorno e il 62% di aziende irregolari secondo l’Ispettorato del Lavoro, il nemico pubblico numero uno è il reddito di cittadinanza.

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