Le piazze e i movimenti

Un nuovo tassello del dibattito sulla metropoli lanciato da MiM: una riflessione di Luciano Muhlbauer sulle possibilità e i limiti palesatisi nelle piazze di questi mesi. Una grande generosità e voglia di scendere in piazza e una grande mancanza di rappresentanza politica e di un punto di vista altro, autonomo, alternativo, diverso sulla metropoli.

“Aprire un ragionamento collettivo” perché “non è più tempo di chiuderci nei nostri fortini” era l’ambizioso obiettivo che si era dato la redazione di Milano in Movimento nell’autunno scorso. E quanto fosse impellente nominare e sollevare il problema lo avrebbe poi ribadito lo sviluppo concreto del dibattito, evidenziando quanto sia ancora grande la difficoltà di fuoriuscire dal particolare e costruire terreni condivisi di discussione.
Un problema non da poco e quasi un paradosso in una città come Milano che in questi ultimi mesi ha riconfermato una delle sue anomalie più interessanti, cioè la grande disponibilità a scendere in piazza. Dalla mobilitazione contro l’arresto di Mimmo Lucano del 6 ottobre ai cortei No Cpr del 1 dicembre e del 16 febbraio, dai grandi numeri del 2 marzo di “Prima le persone” alla marea studentesca per clima del 15 marzo, passando per l’8 marzo dello sciopero globale femminista, giusto per rinfrescarci la memoria.
Le piazze di questo periodo sono diverse tra di loro per numeri, composizione, promotori e piattaforme, ma hanno un evidente e lampante denominatore comune, con l’unica parziale eccezione dell’8 marzo: non hanno rappresentanza politica, non esprimono autonomamente un obiettivo politico condiviso che vada oltre il tempo della mobilitazione e faticano ad individuare la controparte.
In una sorta di aggregazione-disgregazione continua le persone si riuniscono in un giorno e in un corteo su un obiettivo specifico o simbolico, una parola d’ordine o un semplice bisogno di schierarsi e reagire, ma il giorno dopo ognuno e ognuna torna dov’era prima.
Beninteso, questo non vuol dire che non ci siano identità e progetti politici nelle piazze e ancora meno che i promotori delle mobilitazioni non ne abbiano, ma molto più semplicemente significa che quelle piazze non si traducono in cooperazione nel quotidiano e costruzione di percorsi e progetti condivisi. In altre parole, alle piazze piene corrisponde un terribile vuoto politico.
Ma si sa, i vuoti non sono eterni, sono sempre transitori, e oggi ci troviamo in una fase diversa rispetto a un anno fa. Non siamo più nella fase terminale del renzismo e della rincorsa della peggior destra per mezzo di Minniti, né in quella iniziale dell’ascesa della destra salviniana.
Siamo in una fase in cui, da una parte, la tendenza egemonica della narrazione nazionalista, reazionaria e xenofoba – per chiamare le cose con il loro vero nome – si sta pericolosamente consolidando e, dall’altra, compaiono segnali di reazione da parte di quanti non si riconoscono in quella narrazione. E questa voglia di reagire si esprime con più nitidezza proprio a Milano, cioè la piazza che da qualche anno ormai si mostra più dinamica (20 maggio 2017, le mobilitazione antifasciste del 10 e 24 febbraio 2018, senza contare la grande partecipazione alle mobilitazioni più “istituzionali”, come il Pride e il 25 aprile).
Il nostro mondo in quelle piazze c’era, a volte tutto, a volte in parte, a volte da protagonista, altre un po’ defilato, qualche volta abbiamo capito tutto, altre volte non abbiamo capito in tempo, ma comunque alla fine – ed è questo il nodo – siamo rimasti fondamentalmente come prima, cioè non abbiamo prodotto uno scatto avanti nel “ragionamento collettivo”.
Appunto, i vuoti non rimangono tali in eterno. Le piazze possono anche svuotarsi, perché la rassegnazione è una bestia sempre pronta a saltarti addosso. Oppure, magari per disperazione e mancanza d’altro, anche un Pd riverniciato può diventare di nuovo un’opzione.
Insomma, il problema non è quel che c’è, ma quello che manca, quello che ci vorrebbe. Cioè, un punto di vista altro, autonomo, alternativo, diverso sulla metropoli, sulla società e sulle cose del mondo, una prospettiva, degli obiettivi e una narrazione.

Nessuno è così presuntuoso, spero, da pensare che dai nostri mondi possa uscire come per incanto la risposta e l’indicazione della strada da percorrere, anzi, i nostri limiti e le ancora troppe autoreferenzialità limitano anche l’emergere di un altro punto di vista. O, per dirlo con parole diverse, il tema del dibattito che sei mesi fa partiva dalla domanda su come resistere nella metropoli nell’attuale fase politica, oggi si è di fatto evoluto e la domanda è diventata come costruire e organizzare un altro punto di vista nella metropoli.
E, diciamocelo francamente, questo non si può fare discutendo tra simili nel sottoscala, dove facilmente capita di confondere i propri desideri con la realtà, ma soltanto stando e verificando nei luoghi del movimento reale, che come tutte le cose reali sono attraversati da mille contraddizioni.
Le piazze piene di questi mesi non rappresentano affatto un’inversione di tendenza o un’incipiente modifica dei rapporti di forza. Non a caso le persone si schierano e si mobilitano soprattutto su temi generali e sui valori (antirazzismo, antifascismo, contro l’omofobia, per il clima ecc.) e solo parzialmente su obiettivi precisi (No Cpr) o su piattaforme più articolate e organizzate (NonUnaDiMeno), mentre mancano del tutto mobilitazioni significative sulle questioni sociali, le condizioni di lavoro, la precarietà, il reddito.
Ma quelle piazze indicano indubbiamente una possibilità e un terreno di lavoro. Ci dicono che la realtà non è pacificata, che c’è vita.
E se guardiamo meglio ci possono dire anche altre cose, come per esempio che il luogo comune secondo il quale “i giovani non si interessano di politica” è una sciocchezza (basta pensare ai tanti giovani nel corteo No Cpr del 16 febbraio, alle mobilitazioni per il clima o all’ultimo Pride), che si è ormai consolidato il protagonismo di una nuova generazione di donne (fatto troppo spesso sottovalutato o addirittura ignorato), che la natura della piazza non corrisponde necessariamente alla natura dei promotori (vedi 2 marzo) o che i cortei non si devono per forza fare in centro città, ma anche in periferia, scoprendo cose interessanti (16 febbraio).
Per concludere, abbiamo tanti limiti, ma anche molte potenzialità e intorno a noi abbiamo una possibilità e un terreno di lavoro. Tutto questo meriterebbe uno scatto, una riflessione oltre gli steccati, un tuffo nelle acque agitate, o no?

Milano, 24 marzo 2019

Luciano Muhlbauer

Le puntate precedenti

Tag:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *