“Memoria e responsabilità”, un’intervista a RAM Restauro Arte Memoria

Abbiamo deciso di intervistare le compagne di RAM Restauro Arte Memoria il cui profilo Fb si apre con una citazione di Saramago sul binomio memoria-responsabilità: “Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che assumiamo. Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità forse non meritiamo di esistere”. Negli ultimi giorni le abbiamo viste impegnate nel restauro del monumento dedicato a Claudio Varalli e Giannino Zibecchi in piazza Santo Stefano proprio pochi giorni prima dell’anniversario delle loro tragiche morti nell’aprile ’75.

Ecco l’intervista.


Come e quando nasce RAM Restauro Arte Memoria?
Quanti monumenti e targhe avete restaurato fino ad oggi?
In che restauro siete impegnate in questo momento?
Iaia: RAM nasce nel 2005 e si dedica alla pulizia di alcune targhe del Municipio 1 con la collaborazione di Anpi e Comunisti italiani.
È stata un’idea di mio zio Ruggine che adesso non c’è più e a cui abbiamo dedicato il progetto e a un certo punto si è interrotto ma non ho mai smesso di pensarci. Quando ho incontrato Cecilia di nuovo dopo tanti anni eravamo cresciute e ci siamo trovate ad aver fatto percorsi simili tra corsi di studi e militanza politica quindi ho pensato che sarebbe stata la socia ideale per riproporre e strutturare meglio questo progetto. Abbiamo cominciato a mettere insieme le nostre conoscenze artistiche e in particolar modo i sistemi di pulitura e di restauro lapideo, ci siamo documentate sui nuovi materiali a disposizione dei professionisti e soprattutto abbiamo cominciato a mappare le lapidi zona per zona e a presentarci alle sezioni Anpi che ne sono i custodi.
In Municipio 8 abbiamo trovato la migliore delle accoglienze, l’Anpi Trenno-Gallaratese aveva richiesto un restauro al Presidente del Municipio e lui ci ha subito girato il contatto. È la zona dove abbiamo lavorato di più grazie a questa sinergia e all’antifascismo dichiarato del Presidente Zambelli che oltre a essere un valore che non può mancare a un rappresentante delle istituzioni in questo caso è stato il motore che lo ha spinto a puntare su un lavoro come il nostro che è culturale e marcatamente politico, nel senso meno superficiale di questi due termini. Poi ci sono capitate targhe vandalizzate in diversi municipi, alle cui associazioni ci siamo subito rivolte offrendoci di ripulire velocemente per dare un segnale di presenza e cura dei nostri simboli della memoria  e per intervenire con dei reagenti specifici per il marmo onde evitare danneggiamenti ulteriori.
In questi giorni stiamo lavorando alla pulizia del monumento dedicato alla memoria di Claudio Varalli e Giannino Zibecchi in piazza Santo Stefano.

Ogni nome su una targa nasconde una storia, spesso dolorosa. C’è una vicenda che vi ha colpito più di altre?
Cecilia: non so se è la vicinanza con il periodo storico che fa decisamente più impressione oppure il fatto che riusciamo attraverso le loro storie a decodificare meglio il valore della lotta, ma personalmente le vicende che mi hanno impressionato di più sono state la storia di Fausto e Iaio, la prima lapide su cui abbiamo messo le mani – in senso buono – e l’ultima lapide pulita, quella di Giannino Zibecchi in corso XXII marzo.
Per entrambe il luogo specifico e le testimonianze fotografiche hanno giocato un ruolo impressionante: via Mancinelli un luogo deserto,
ideale per un agguato e invece un marciapiede stretto in una strada trafficatissima in corso XXII marzo. Il tempo passato a spazzolare una lapide sembra allungarsi all’indietro e il luogo è lo stesso dell’evento che la lapide ricorda. Nel silenzio delle sensazioni è come trovarsi quel giorno in via Mancinelli mentre una folla di persone accorsa da tutta Italia passava per vedere dove era successo, per lasciare un fiore e un messaggio ed è come girarsi e trovare il cervello di Giannino appena giù dal marciapiede dopo che la camionetta dei Carabinieri gli è passata sopra per disperdere i manifestanti.
Cose che tra l’altro da allora non abbiamo mai smesso di veder accadere.

Qual’è stato il restauro tecnicamente più difficile fino ad oggi? Perché?
Iaia: il restauro più tosto è stato sicuramente quello dedicato alle lapidi che stanno sul muro esterno di Villa Triste in via Paolo Uccello.
La lapide della Prima Guerra Mondiale oltre a essere vecchissima era danneggiata da una colatura di ossido di rame esattamente nel mezzo,
da cima a fondo, era stata ridipinta da qualche vernice o pittura muraria ormai impossibile da asportare (succede che per pulire il marmo qualcun*  pensi bene di dare mani di splendente pittura bianca) era spezzato il cornicione di protezione, mancava un angolo. diciamo che c’era una vasta casistica di operazioni che andavano eseguite. è stato un battesimo, da quel momento in poi non ci fa più paura nulla, nemmeno la fuliggine delle corone bruciate dai fascisti.

Pensate che le istituzioni facciano abbastanza per preservare la memoria?
Cecilia: mah, non saprei, non mi voglio sbilanciare troppo in invettive autoreferenziali, ma mi sembra che i progetti che le istituzioni mettono in campo risultino decisamente poveri di ingegno e poco includenti. Mi sembra che ci possano arrivare soltanto persone che sono già lì, che sanno già le cose, che si professano già antifascisti. e così è troppo facile. Quando convocano associazioni, studiosi e appassionati attraverso i bandi la cosa va un po’ meglio perché sono gli studiosi che rendono pubblici i loro studi e i loro lavori, resta comunque il problema dell’inclusione, arrivare dove nessuno conosce quello che tu conosci è la cosa più difficile. Non vorrei sbandierare il nostro progetto come se fosse il migliore ma sicuramente stare in mezzo alla strada con il trabattello per giornate intere di modo che tutto un quartiere si accorga della nostra presenza, con gli strumenti di lavoro e i cartelli esplicativi del nostro progetto, sempre pronte a spiegare cosa stiamo facendo e per che motivo lo facciamo direi che è una carta più che vincente per quanto riguarda il coinvolgimento della cittadinanza, certo è che quella è la cosa che ci interessa, se non vuoi includere e vuoi solo celebrare allora va bene anche il resto.

Spesso abbiamo detto e scritto che “la memoria è un ingranaggio collettivo”. Secondo voi è così? Avreste dei suggerimenti per contribuire a diffondere la coscienza del passato?
Iaia: sì assolutamente. Lo pensiamo anche noi. Ka memoria è un ingranaggio collettivo e forse è per questo che è la collettività che ci interessa, come diceva Cecilia, e soprattutto che consideriamo queste lapidi patrimonio di tutte e di tutti. Uomini, donne, anziani che c’erano, bambini e persone che devono ancora nascere.
Queste lapidi saranno lì (mi auguro) anche per loro. Il “contenitore” RAM prevedeva anche progetti nelle scuole pensati per tutte le classi e concorsi per gli studenti, in modo da coinvolgere a seconda degli interessi di ogni età anche i più piccoli in un racconto stimolante.
La Resistenza ha un sacco di spunti che si posso raccontare: i buoni e i cattivi, gli invasori, i prepotenti, il senso di giustizia che ti porta a difendere gli oppressi,  sono tutte esperienze che facciamo immediatamente quando ci buttiamo fin da piccoli a relazionarci ai nostri simili, i bambini queste cose le capiscono al volo. E poi ci sono le biciclette, il mezzo dei partigiani per definizione, ci sono i messaggi in codice, come per i lanci di armi e munizioni degli alleati, la stampa clandestina, insomma appena si potrà tornare nelle scuole ne abbiamo per tutti.

Foto di Giovanni Aloisi

Come ci si sente a “restaurare” la memoria in un paese storicamente smemorato come il nostro?
Cecilia: non so, io non credo molto alle definizioni come “tal paese ha fatto i conti con la propria storia noi invece no” come se poi, i paesi che hanno fatto i conti col proprio passato adesso non debbano confrontarsi con fronti di simpatizzanti dell’ultradestra che si mischiano a negazionisti e complottisti vari, con le infiltrazioni di neonazisti nell’esercito regolare, se non peggio, nei corpi scelti, con omicidi di parlamentari favorevoli all’accoglienza dei migranti se non dei migranti stessi.
Cos’è che fa di un popolo una comunità consapevole a non commettere gli stessi errori? Evidentemente questi rigurgiti non hanno solo a che fare con la conoscenza e la comprensione del passato, hanno a che fare con un sistema economico basato sullo sfruttamento e una struttura politica che difende interessi particolari, per esempio ha a che fare con le stesse leggi di epoca fascista che sono state via via modificate ma mai abrogate.
Non possiamo dimenticare che nel dopoguerra le nuove democrazie di Italia e anche Germania hanno integrato nei loro apparati statali persone che rivestivano i medesimi ruoli durante il regime fascista e nazista, quindi cosa dovrebbe cambiare?
Chi è obbligato a fare i conti col proprio passato e chi invece può risparmiarselo? La Resistenza è stata una rivolta contro l’oppressione e contro una violenza fine a se stessa, il nostro ricordo torna sempre lì ogni volta che sentiamo la necessità che qualcosa nella nostra costruzione sociale debba cambiare.
Se le persone non hanno la fortuna o non l’hanno avuta di conoscere la storia del proprio paese, sarà la storia a presentarsi da loro e nasceranno nuove partigiane e nuovi partigiani, di questo sono sicura. nel tempo di mezzo tra le Resistenze noi sentiamo la necessità di scegliere comunque da che parte stare e abbiamo trovato una formula interessante.

Foto di Maurizio Anelli

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