No Expo Pride: Gaia Passeggiata

image2Piazza Duca D’Aosta, finalmente aperta dopo lunghi anni di lavori, è abbagliante nel sole ancora caldissimo delle sei del pomeriggio ed è in questa luce abbacinante che la rete No Expo Pride si è data appuntamento nella giornata mondiale contro l’omotransfobia. Un grande striscione viola ricorda lo slogan del No Expo Pride: “vogliamo una città frocia, non una vetrina gay per Expo” e di fronte ad esso, tra gli sguardi incuriositi dei passanti e dei migranti che affollano la piazza, molte persone si truccano a vicenda, in un turbinio di piume, paillettes e colori. La rete No Expo Pride aveva annunciato che avrebbe attraversato le strade della città con attitudine favolosa e i preparativi sono già parte di questo percorso: truccarsi, s/vestirsi, draggarsi all’aperto significa già uscire dallo spazio privato e solitario della propria casa, specchiarsi nelle altre e mettersi, letteralmente, in piazza.

Appena i glitter si sono asciugati inizia l’assemblea, che si apre ricordando la nascita della rete No Expo Pride, nata circa un anno fa a Milano e che si estende su tutto il territorio nazionale. La miccia che aveva scatenato la reazione frocia e femminista era stata la proposta di chiedere il patrocinio ad Expo per una gaystreet in via Sammartini, patrocinio che poi ha concesso solo il Comune di Milano: l’idea di offrire una strada ai turisti omosessuali perché potessero spendere e divertirsi strideva con la mancanza di diritti e con l’omofobia che caratterizza la società italiana. Osservare Expo con una prospettiva di genere permette di metterne in luce molte delle contraddizioni: l’esposizione si presenta come innovativa ma riconduce le donne solo al ruolo di cura con il progetto WE-women for Expo, propone la firma di una carta dei diritti, ma patrocina, attraverso Regione Lombardia, convegni omofobi e integralisti e, fingendo di celebrare la diversità, diventa la scusa per imporre decoro e gentrification (ultima in ordine di tempo l’ordinanza del sindaco di Rho che impone alle prostitute di coprirsi e nascondersi per non turbare l’ordine e l’immagine della città).

Nel corso dell’assemblea è stata ricordata la “notizia del giorno”: il padiglione degli Stati Uniti ospiterà un pre-gay pride il 20 giugno (data del No Expo Pride, tra l’altro). Il Gay Pride milanese, infatti, aveva richiesto il patrocinio a Expo, che non ha potuto concederlo, ma che si è fatta promotrice dell’iniziativa “Hungry for human rights”. Infine gli Stati Uniti hanno proposto questo pre-pride, immaginato come una festa in cui ognuno possa portare la bandiera del proprio paese e che serva a ricordare a tutti gli Stati (primo fra tutti, per gli organizzatori, l’Iran che ha il padiglione di fronte a quello USA) che i diritti omosessuali sono importanti. Questa iniziativa coniuga pinkwashing e omonazionalismo e sembra voler dimenticare che l’Italia è il paese che dalle ricerche emerge come il più omofobo dell’Unione Europea, in cui i diritti sono negati e il disegno di legge contro l’omofobia giace in parlamento da due anni. Per questo diventa sempre più importante il No Expo Pride del 20 giugno, che ricordi che la lotta per i diritti non può che partire dal basso.

Il cuore dell’assemblea è stata una ricca riflessione sulle pratiche, al centro di un fitto dibattito dopo il primo maggio milanese. La rete No Expo Pride ha ricordato la sovradeterminazione, anche mediatica, avvenuta in quella piazza e le Lucciole hanno offerto il contributo di un documento del collettivo napoletano Tersite che riflette sull’antifascismo e su come metterlo in atto, consapevoli che non può essere senza antisessismo. Lo sforzo, in vista del No Expo Pride, ma anche nelle pratiche quotidiane, è quello di costruire momenti inclusivi, capaci di aprire spazi di libertà e di autodeterminazione, sapendo che, in piazza come nel sesso, il divertimento passa dal consenso. Come ricordava il volantino che ha indetto la giornata di ieri (17 maggio): “rispondiamo partendo da noi, riappropriandoci della città e delle sue strade con tutti i nostri corpi, costruendo relazioni che ci permettano di essere sicure perché insieme, forti perché collettive”.

Queste parole sono state immediatamente messe in pratica con una “gaia passeggiata” verso Zara (classicamente una zona ritenuta piena di prostituzione): più di 150 tra donne baffute, uomini in calze a rete, vamp, tomboy, dominatrici in lattice e molti glitter hanno sfilato tra gli sguardi incuriositi e spesso sorridenti dei passanti, dei residenti affacciati alle finestre e degli automobilisti. Passando sotto il palazzo della Regione sono state ricordate le sue iniziative omofobe e nel corso di tutta la passeggiata è stata rilanciata la giornata del 20 di giugno in cui il No Expo Pride sfilerà per le strade di Milano.

Come ieri, anche il 20 giugno la città sarà invasa di corpi eccedenti, che rivendicano la loro anormalità, la loro indecenza e l’impossibilità di normalizzarli. Contro la retorica del decoro, riempiamo Milano di favolosità.

per approfondire – non solo caschi e molotov, don’t worry, be #noexpo

il comunicato della rete No Expo Pride

No Expo, tutte le ragioni che avreste voluto conoscere – vol. 1

No Expo, tutte le ragioni che avreste voluto conoscere – vol. 2

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Una risposta a “No Expo Pride: Gaia Passeggiata”

  1. […] attraversato Melchiorre Gioia, Piazzale Lagosta e Viale Zara per poi tornare in Centrale, con una gaia passeggiata.Lo scopo: proporre un modello di città diametralmente opposto al format securitario che, con […]

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