Piccola Pietroburgo

Una storia di persistenza metropolitana.

Era l’ormai lontano 2011, faceva ancora particolarmente freddo in inverno anche se si potevano iniziare a percepire i sensibili cambiamenti della crisi climatica.
Una piccola tribù di autonomi e autonome con anagrafiche molto differenti si accingevano a tagliare una delle diverse catene che garantivano la cupezza e l’abbandono di diversi spazi in questa metropoli tormentata dalla litania della produzione.
Faceva freddo in quel lontano gennaio, ma l’entusiasmo scalfiva la scighera e ci consegnava l’inizio di una storia d’amore, una storia che cambiò la vita a molti e molte.
Scopa, paletta e martello, sotto i duri colpi del materialismo prende forma uno spazio accogliente e libero, capace di essere una dolce casa come un severo refettorio senza un tiepido conforto.

Nasce la Zona Autonoma Milano, anche meglio conosciuta come Zam.
Assieme alle pareti vengono fortificate le basi del collettivo politico che promuove e partecipa la vita dello spazio.
Tutto questo avviene in un contesto molto particolare legato ad una lunga fase di transizione degli spazi sociali, che iniziano a chiedersi quali siano le direzioni migliori da prendere per non soccombere all’impietosa identità anacronistica.
In quel tempo, nonostante l’avvio di una crisi esistenziale movimentista, era più facile sfilare e riconoscersi in quell’entusiasmo collettivo che muoveva noi contro il mondo.
Quella piccola realtà diviene sempre più partecipata a tal punto che dall’idea originale tracimano altri progetti politici che scriveranno anch’essi alcune pagine della storia contemporanea dei movimenti sociali e dei suoi agitatori .
Si cresce, si cammina, si suona, si gioca, si perde la pazienza e ci si innamora di un tempo che sembra dichiarare la resa e nostalgicamente fa lacrimare chi ha vissuto la belle epoque in cui il movimento era uno dei fattori significativi prima dello scempio del potere nelle giornate genovesi.
Si poteva sentire quella sospensione del tempo, speravamo fosse uno spazio in cui poter vivere e agire tutti i nostri desideri, ma come tutte le belle storie ha dovuto confrontarsi con la materialità del male.

Uno sgombero, il primo, fa traballare l’impalcatura delle nostre vite collettive e ci consegna ad una fase di difesa e attacco che ricorderemo come il mantenimento degli spazi di agibilità politica, come la salvaguardia di un bene prezioso, le nostre vite a favore della comunità.
Un trasloco forzato che ci ha avvicinato al cuore della città, e così vicini abbiamo potuto ascoltarne i battiti e raccoglierne le aritmie.
Una selva di laboratori e attività riempivano le nostre giornate mentre cercavamo il modo di decostruire la narrazione del nemico politico che assediava le sempre più colorate mura di cinta.
Il tempo sovrano, tanto quanto l’amministrazione pubblica, si arrogano ancora una volta il diritto di violentare gli spazi e le persone che immagina orizzonti diversi da quelli preimpostati dalla voracità capitalista.

Un altro sgombero, altre barricate e altri traslochi sono un messaggio chiaro.
In questo mondo, in questo tempo, non viene riconosciuta la validità e l’importanza della visione etica del mondo, il posto qui è riservato solo ai consumatori della vita.
Una nuova casa, quella da cui vi scrivo, è la nostra testarda risposta rispetto a ciò che tempo e potere non possono avere: le nostre libertà.
Il tempo e l’amore ci hanno insegnato a modificare sapientemente cosa diventare e come trasformarci in un liquido per poter riempire i pochi vuoti rimasti nel drammatico declino dell’esistente.
Ciò che è cambiato non rugiada solo il numero civico di spazi liberati, questa storia racconta anche di come le persone hanno vissuto e partecipato a questo cambiamento.

La cosa più difficile è stata invecchiare cercando di mantenere un sorriso mai segnato da dubbi, di come la potenza e lo strazio del condividere una vita così intensa abbia lacerato e coeso i volti di questa narrazione.
In questi dieci anni tutt* coloro che sono transitati in questo racconto, tutt* quelli che lo hanno costruito nel bene o nel male hanno contribuito a fortificare le fondamenta delle nostre vite.
Abbiamo imparato che l’amore romantico è un desiderio vacuo e lo abbiamo provato sulla nostra pelle.
La trasformazione di questo sentimento profondo in cura e pratica collettiva ha spinto le nostre vite verso la più propedeutica delle rivoluzioni, la Comunità.

Certo è necessario chiedersi ora se questa storia è inquadrata nel tempo che viviamo, ma avendo imparato l’umiltà da tutte le ferite che ci hanno inferto, possiamo comprendere come l’amore per noi stessi, il rispetto reciproco e la solidarietà siano le lenti con cui attaccare il mondo e fermare il tempo.
Stiamo ancora costruendo la nostra piccola Pietroburgo, con tutto l’amore che abbiamo strappato dall’ingordigia umana.

Ai barricadieri dell’amore di ogni tempo e luogo

saluti libertari.

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