Radio Onda d’Urto under attack – Un’intervista

Mentre continua l’opera di censura dei profili di soggetti politici e sociali che hanno espresso vicinanza al popolo curdo, di oggi è la chiusura del profilo del Csoa Lambretta, abbiamo deciso di intervistare Andrea di Radio Onda d’Urto, uno dei canali di comunicazione indipendente più importanti e antichi d’Italia, il cui profilo è stato vittima della prima ondata di oscuramenti e che, allo stato attuale, risulta ancora chiuso.

D. Ci sono delle novità sull’oscuramento del profilo di Onda d’Urto? Questo oscuramento arriva come un fulmine a ciel sereno o in qualche modo era nell’aria?

R. Per ora nessuna nuova. La pagina è disabilitata e stiamo provando a riattivarla. Ci è arrivata una segnalazione nel pomeriggio di mercoledì e due ore dopo la pagina è stata disattivata. Nessun’altra segnalazione e nessun’altra modalità di comunicazione da parte di Facebook. Segnalazione di un problema, due post rimossi e poi pagina sospesa.

D. Su cos’erano i due post rimossi?

R. Il primo post rimosso è stato sicuramente un pezzo storico-culturale sulla fondazione nel 1978 di quello che Erdogan ritiene il nemico giurato della Turchia fatto appunto in occasione del quarantesimo anniversario della fondazione di quell’organizzazione.

D. Avete avviato una riflessione su questi casi di censura di massa che stanno tirando giù profili di siti d’informazione indipendente, profili di realtà antagoniste, spazi sociali e così via? Quale potrebbe essere il concatenamento di eventi che ha portato a questa operazione censoria e repressiva?

R. Un vero e proprio ragionamento non l’abbiamo attivato. Abbiamo cercato di capire come coordinarci con le altre realtà che sono state colpite. Si è svolta per questo venerdì una conferenza stampa a Roma. Il mio pensiero personale è che ci siano delle questioni in ballo molto importanti ovvero che i social network sono delle piattaforme private che di fatto rispondono agli interessi del proprietario. Possiamo pensare che di fronte a delle pressioni agite da soggetti che muovono economie importanti Facebook sia spinto a dare maggiore attenzione ad alcune questioni come in in questo caso la presenza di simboli della formazione politica curda che è inserita in una lista di organizzazioni terroristiche secondo gli Stati Uniti. E quindi quando l’algoritmo pescava alcune immagini e alcune parole chiave, in modo automatico bloccava, senza stare ad analizzare realmente il contenuto. Mi pare che la dinamica sia stata segnalazione di un post su una pagina, privata o collettiva che fosse e poi, verifica con successivo blocco e sospensione. Quindi sicuramente c’è una pressione dal punto di vista economico, ma anche un’attivazione di segnalazione. Certo, si mostra una questione molto complessa. Questi social media sono piattaforme private dove quindi il proprietario crea un regolamento decidendo chi sta dentro e chi sta fuori, ma allo stesso tempo sono luoghi frequentati da milioni di persone. Luoghi dove le persone si informano. Insomma spazi semi-pubblici perché le persone sono in contatto con coloro con cui decidono di stare in contatto, ma anche spazi privati. Una questione non da poco su cui ragionare.

D. Noi già nell’estate del 2018 a Macao ci eravamo incontrati per discutere anche di questi temi: l’uso dei social da parte dei siti d’informazione indipendente. Ne erano emerse posizioni differenti e anche fratture magari a carattere generazionale nelle stesse redazioni. Ti sei fatto un’idea di come aggirare questa “spada di Damocle” che di fatto rende difficoltosa la pubblicazione di un qualsiasi tipo di contenuto perché se poi si va a leggere gli standard della community di Facebook, di fatto, fare informazione politica diventa impossibile?

R. Credo che ci si debba liberare da questi soggetti creando una vera e propria alternativa. O riprendendo in mano l’idea di portali nostri com’era un tempo Indymedia oppure liberarci essendo questo uno dei tasselli del dominio del capitale di oggi. Come non è facile sopratutto perché è evidente la dipendenza odierna da social che è cresciuta negli ultimi anni. Ci sarebbe tutto un ragionamento da fare sull’utilizzo da fare di Facebook, Instagram e Twitter. Lo spostamento massivo di fruizione fa Facebook a Instagram, per esempio, sposta sempre di più la questione su foto e video piuttosto che sulla profondità dei contenuti. Forse bisognerebbe capire come utilizzarli come “vetrine” e non come luoghi di amplificazione dei propri contenuti. Ovvero utilizzare solo una foto per creare attenzione e mettere i contenuti altrove. Questo ovviamente non risolve la questione.

D. Ultima domanda. Come pensate che debba proseguire la battaglia contro questo atto di censura? Pensate a una via legale? A una battaglia politica di lunga durata insieme agli altri siti di movimento con cui si è fatta rete?

R. Questa è una bella domanda! Stiamo portando avanti il ricorso. Ora inizieremo un altro tipo di lavoro con Facebook più che altro per non perdere il patrimonio di contatti che negli anni siamo riusciti a creare. Fortunatamente per noi, che siamo una redazione radiofonica, diciamo che la questione social media è una questione di amplificazione di quello che facciamo. Per noi, che siamo una radio, il primo elemento di valorizzazione è quella del prodotto radiofonico e quindi abbiamo questa particolarità. Certo, per chi fa informazione oggi, il rapporto coi social è una cosa fondamentale. Dovremmo capire come e perché vengono colpite realtà come le nostre e non quelle più classicamente commerciali. Ci sarebbe tantissimo da dire. Dobbiamo trovare un luogo di discussione giusta che non credo sia nel mezzo della buriana creata dagli ultimi eventi. La chiusura dei profili dei fascisti aveva già fatto suonare un campanello d’allarme sulla possibile riproducibilità di pratiche censorie contro quello che a Facebook non piace. Dovremmo comunque anche cercare di ragionare sul ruolo che vogliamo avere all’interno della società.

 

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