Turchia – Democrazia contro sultanato

 

13494982_839333506200581_5222394214214568602_nLa settimana scorsa è stata in Italia Figen Yüksekdag, parlamentare e co-presidente del HDP, il partito democratico dei popoli, terza forza politica del Paese e problema interno per il Presidente Erdoǧan che sta perseguendo tutti i modi possibili per escluderla dal Parlamento.

Dare del filo da torcere al presidente Erdoǧan può costare molto caro. Lo sa bene Figen Yüksekdag, parlamentare e co-presidente, assieme a Selattin Demirtaş, dell’HDP, il partito democratico dei popoli. Il partito filo-curdo che nelle elezioni del Giugno 2015 è riuscito ad entrare per la prima volta in Parlamento superando l’altissima soglia di sbarramento del 10% e sottraendo per qualche tempo la maggioranza assoluta all’AKP, il partito della giustizia e libertà il cui capo indiscusso è sempre lo stesso Erdoǧan.

Figen Yüksekdag è stata eletta nella circoscrizione di Van, una delle più grandi città a maggioranza curda del Paese. Ma non è curda. Il suo partito non rappresenta solo l’opposizione curda bensì anche altre minoranze etniche e religiose, come quella armena e quella assira; inoltre è appoggiato da organizzazioni sindacali e dal movimento LGBTQ.

Questo partito rappresenta una spina nel fianco di Erdoǧan anche in termini culturali: il sistema della co-presidenza, ovvero l’assegnazione delle cariche sia a un uomo che a una donna, è un modo attraverso cui il partito promuove la parità di genere e valorizza il ruolo della donna, sulla scia della rivoluzione femminile già da tempo messa in atto dal movimento curdo. Una scelta che altre organizzazioni come alcuni sindacati hanno preso ad esempio, ma che non contagia allo stesso modo gli altri partiti. Questa peculiarità dell’HDP è un elemento estremamente inviso a una forza politica conservatrice e patriarcale come l’AKP, che sostiene la visione della donna sottomessa e destinata alle faccende familiari, in un Paese dove ogni giorno 3 donne vengono uccise, il più delle volte in famiglia.

Dopo quelle elezioni del Giugno 2015 il Paese è precipitato nel caos e nella violenza. Secondo Figen Yüksekdag innanzitutto si è voluto punire chi aveva votato l’HDP, ovvero per la maggior parte la popolazione curda. Il negoziato di pace con il PKK che l’allora primo ministro Erdoǧan aveva inaugurato è stato interrotto bombardando delle postazioni del PKK sul confine con l’Iraq; questo ha dato il via nuovamente a un conflitto dove le operazioni militari colpiscono gravemente la popolazione civile, che a sua volta reagisce erigendo barricate e dichiarando la sua autonomia da un governo che è tornato a essere esplicitamente ostile ai Curdi. L’HDP stesso è stato oggetto di gravissimi attacchi: in diverse occasioni le sue sedi sono state prese d’assalto da fanatici sostenitori dell’AKP sotto gli occhi delle forze di polizia che non muovevano un dito.

Figen Yüksekdag usa senza esitazione la parola “massacro” per descrivere quello che sta accadendo alla popolazione curda: cita come il primo di una serie quello di Suruç, avvenuto il 20 Luglio 2015, quando due kamikaze si fecero esplodere provocando la morte di 30 giovani attivisti turchi e curdi che si trovavano in quel paese al confine con la Siria per aiutare nella ricostruzione di Kobane, la roccaforte curda che è riuscita a liberarsi dall’Isis. Poi sono arrivati i fatti di Cizre, una città del Sud-Est a maggioranza curda: oltre a giorni di assedio e scontri a fuoco, 50 persone intrappolate in 4 scantinati sono state bruciate vive. Il tutto durante mesi di coprifuoco applicati in tutta la regione, che significa città devastate da bombe e carri armati lasciate senza corrente, acqua e servizi primari per intere settimane. C’è chi è morto perché non ha potuto essere curato in ospedale, o chi i cadaveri se li è dovuti tenere in casa, anche nei frigoriferi, perché non era possibile seppellirli. Una devastazione non solo materiale ma anche sociale. Da mesi nel Sud-Est del Paese la vita si è fermata e le macerie del centro storico di Dijarbakir stanno a indicare la volontà di annientare anche culturalmente , oltre che fisicamente, un’intera popolazione.

E’ questa la situazione in cui, 6 mesi dopo le elezioni di Giugno, si è tornati a votare non essendosi nel frattempo formato un governo, e le elezioni di Novembre hanno confermato che la strategia della tensione aveva funzionato: l’AKP ha ripreso la maggioranza assoluta drenando dalle altre forze politiche i voti di chi era riuscito nuovamente a spaventare con la minaccia del terrorismo curdo e la necessità di una stabilità rappresentata solo dal suo partito. L’HDP è riuscito a rimanere in Parlamento, ma si trova in una situazione molto complessa. L’opzione da loro rappresentata, ovvero quella di una soluzione politica alla questione curda, in questo momento non ha agibilità. Alcuni degli attentati che stanno travolgendo il Paese sono a matrice curda e questo non solo li mette in difficoltà per le loro relazioni con il movimento curdo che viene opportunamente strumentalizzata da Erdoǧan , ma significa anche che molti Curdi non credono più in una soluzione del genere. E’ la stessa Figen Yüksekdag a dirci quanto sia drammatico per loro capire che la popolazione curda non ha più fiducia in loro e che per quanto si rivolgano incessantemente alla gioventù curda per fargli capire che non è necessario andare a morire sulle barricate, non vengono ascoltati.

“Vi abbiamo votato, vi abbiamo mandato in Parlamento, ci dicono, mentre alle spalle hanno le macerie della loro città: come convincerli che non sia stato tutto inutile?”

L’ultimo attacco all ‘HDP da parte di Erdoǧan sta arrivando su un’altro fronte: recentissimamente è stata approvata una legge che rimuove l’immunità a tutti i deputati eletti in parlamento. Voluta dall’AKP, è stata votata da tutti gli altri partiti tranne che dall’HDP. Una legge che secondo la co-presidente è stata pensata per colpire soprattutto il suo partito: su 59 parlamentari, 53, lei e Selattin Demirtaş in primis, rischiano l’arresto. I reati che gli vengono contestati fanno riferimento a quella legge sul terrorismo che l’Europa ha chiesto alla Turchia di cambiare come una delle condizioni per il suo ingresso in Europa. In base a questa legge è molto facile essere accusati di terrorismo in Turchia: ricordiamoci dei 30 accademici arrestati solo per aver firmato un appello che chiedeva la cessazione delle operazioni militari nel Sud-Est del Paese, o dell’incarcerazione di Can Dundar, il direttore del principale giornale di opposizione che in un servizio provava il passaggio di armi dalla Turchia alle postazioni di Isis in Siria.

Rimuovendo l’immunità parlamentare e non facendo un passo indietro su questa legge, il presidente Erdoǧan sta sperimentando un altro modo per sbarazzarsi degli oppositori più scomodi e correre verso la riforma della costituzione in chiave presidenziale.

Le difficoltà dell’HDP sono un problema per tutto il Paese. La capacità di rappresentare molte diversità, la visione partecipativa della politica, le posizioni progressiste su diritti civili e questioni di genere, costituiscono un nuovo modello democratico da contrapporre alle mire egemoniche di Erdoǧan e alternativo alle tradizionali elites partitiche. Un forza politica in cui non solo i Curdi ma anche molti Turchi si sono riconosciuti intravedendo la possibilità di costruire una Turchia più democratica.

Per conservare la possibilità di questo futuro l’Europa ha un ruolo fondamentale: il processo di democratizzazione della Turchia è strettamente legato al suo ingresso in Europa, e fino ad adesso secondo Figen Yüksekdag il suo atteggiamento non è stato soddisfacente. La Turchia in questo momento è l’epicentro di un terremoto che è anche la conseguenza delle cattive politiche che l’Europa ha portato avanti nei suoi confronti, applicando un’ottica molto pragmatica e a corto raggio , mentre a lungo termine le conseguenze sono catastrofiche.

Mentre in ogni momento si corre ad aiutare Erdoǧan quando è in difficoltà, manca il sostegno alle forze veramente democratiche, dice, e in questa affermazione c’è tutta la solitudine e l’isolamento che il suo partito sta soffrendo.

Serena Tarabini

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