Vent‘anni dopo Genova, un altro mondo è ancora possibile, se lo vogliamo
Nel 2001, sotto le conferenze del Vertice G8, il movimento no global veniva additato come antiprogressista, vago e retrogrado. Un anno prima delle conferenze di Genova, movimenti italiani e non solo si uniscono nel Genoa Social Forum sotto allo slogan “Un altro mondo è possibile, se lo vogliamo” – Lo stesso che ad oggi sembra unire ambientalisti di tutto il mondo. Da ARCI a Legambiente, ai centri sociali, alle federazioni di chiese protestanti, ai sindacati, ai collettivi femministi, i no global vent‘anni fa si univano nella comune contrastazione delle negoziazioni fra i potenti del mondo, seduti allo stesso tavolo, sul tramonto di un secolo a all‘alba di un nuovo ordine globale da modellare e spartire. Sotto le violenze della Polizia sono soffocate le rivendicazioni no global, e così il loro ricordo.
Quasi esattamente vent‘anni dopo, ogni pretesa di un nuovo mondo ricostruito sta sbriciolando davanti ai nostri occhi, e il G8 o G9 che si voglia con lui. Le argomentazioni e paure espresse dal movimento contro la globalizzazione a Genova, ai tempi accusate di catastrofismo e vaghezza, sono ormai tristemente concrete sotto ai nostri occhi e nelle nostre vite. Eppure, nonostante sembra essersi formato un movimento ambientalista principalmente consolidato, un‘unità quasi unanime come quella del Genoa Social Forum (a livello internazionale, ma anche solo nazionale), non si è ancora concretizzata. Nonostante lo slogan – Un altro mondo è possibile sia lo stesso, il messaggio pronto e impacchettato, con l‘aggiunta di un urgente puntualizzazione – un altro mondo non è soltanto possibile, ma anche e più che mai necessario – testimone della concretezza di quelle vaghe e infondate preoccupazioni no global di vent‘anni fa. Una realtà, anche solo italiana, che porti sotto il suo ombrello ARCI, Associazione Giuristi Democratici, il CSOA Officina 99 e Legambiente che pretendi un’azione in risposta ad un crisi climatica che ormai si presenta nella normalità quotidiana di (quasi) chiunque, deve ancora nascere.
Per quanto l’eredità no global sia preziosa e dovrebbe essere tenuta in più considerazione (dalla sinistra dal basso in genere) dalla mia generazione – io nasco due anni dopo Genova, ma anche per me il movimento anti globalizzazione è finito nel dimenticatoio più di molte altre lotte storiche, lasciando solo la morte di Carlo Giuliani e la denuncia della violenza – , penso che tirare un paragone sia difficile o perlomeno poco utile. Nel mondo post G8 di Genova noi ci siamo nati, e la lotta ecologista (o la sua popolarizzazione), con noi. Il mondo liberale, del capitalismo sfrenato e della sua crisi, così come la realtà degli accordi di Parigi falliti in partenza, il mondo costruito a Genova all’inizio del secolo su promesse e speranze è il mondo che abbiamo ritrovato. Se vent’anni fa i no global potevano chiaramente puntare il dito su un colpevole in procinto di cambiare drasticamente l’andata della storia – il Vertice G8 seduto dentro Palazzo Ducale-, facilmente individuabile, semplice nella sua concretezza, penso che ad oggi la stragrande maggioranza della popolazione il dito non sappia dove puntarlo, né che vada puntato in genere. Se vent’anni fa le paure del no global ad una fetta di popolazione parevano vaghe, ora sono drasticamente concrete: A sembrare vaghe o non esistenti oggi invece risultano, per molti, sia responsabilità concrete, che soluzioni. La realtà che il movimento contro la globalizzazione ha cercato di impedire è stata la realtà in cui io e i miei coetanei siamo nati. Capitalismo e individualismo sfrenato, un’economia mondiale basata sulla crescita infinita e la repressione o forse peggio, la commercializzazione di tutte le lotte (l’inizio del Ventunesimo secolo infatti fa nascere la capitalizzazione della lotta femminista, l’ormai onnipresente greenwashing nasce su questa scia consolidata) , sono la nostra realtà da sempre. È in un certo senso comprensibile che puntare il dito in una direzione ben precisa possa risultare difficile, nonostante apparentemente, la realtà della crisi climatica sia ormai lampante alla stragrande maggioranza della popolazione.
E allora che fare, dalla nostra piccola bolla per cercare di far puntare il dito anche ad altri? Ricordare che i colpevoli di questo sistema in cui siamo nati esistono. E che quando vent’anni fa, anche prima che molti di noi nascessero, quando qualcuno questo sistema l’ha messo in discussione, ha fatto talmente tanta paura da venire represso sotto le manganellate per le strade di Genova. Le otto persone sedute ad un tavolo da incolpare sono ormai superate, ma chi la crisi climatica l’ha causata lucrando su di essa, senza però subire le sue conseguenze sulla propria pelle esiste eccom e- questo lo confermano sia dati come esempi lampanti sotto i nostri occhi (turisti nella Grecia in fiamme vengono evacuati, mentre davanti al Regno Unito centinaia di migranti che scappano anche dalla crisi climatica vengono rinchiusi in una prigione galleggiante).
Io spero che stiamo riuscendo, o almeno stiamo tentando, di scoppiare le bolle di questo falso individualismo che il mondo post Genova ha costruito, e far vedere che il dito da puntare c’è ancora, anche se sul sistema in cui abbiamo sempre vissuto. E che un’alternativa a questo sistema, anche se lo spazio o gli strumenti per immaginarla non ci sono praticamente mai stati forniti, esiste: qualcuno l’ha immaginata anche prima di noi. È lontana, è vero, ma ancora alla nostra portata. In quasi concomitanza all’anniversario di Genova e l’estate più calda che il pianeta abbia mai vissuto, il climate clock ha infatti scoccato i cinque anni. Cinque anni che ci restano prima che le conseguenze della crisi climatica diventino irrecuperabili. Forse cinque anni non sono tanti, è vero, basti pensare come il mondo sia drasticamente cambiato nei vent’anni fra Genova ed adesso, ma se agiamo in questo lasso di tempo, l’alternativa può decisamente cambiare il corso delle cose.
Oggi così come vent’anni fa, un altro mondo è possibile, se lo vogliamo, a patto che questo slogan ci unisca di nuovo come è riuscito a fare a Genova.
Cecilia Fiacco
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