I due anni decisivi dopo l’11 Settembre 2001
Il crollo delle Torri Gemelle di 15 anni fa è stato nella mia testa per tutta domenica. Mi ricordo che giovanotto e stupidotto festeggiai anche. Festeggiai che cosa mi chiedo oggi… I confronti con il golpe cileno del 1973 sono stati per anni l’altro pezzo di quella data. Forse anche perché Ken Loach che ne ha fatto un cortometraggio.
15 anni dopo ripenso all’11 Settembre e lo metto in un quadro. Sì, sapessi disegnare farei come Rivera dentro al palazzo del governo del Messico e disegnerei “i 2 anni che hanno creato la distanza tra la politica e la società civile”.
Oggi, 15 anni dopo, l’attentato alle Torri Gemelle fa parte di un ciclo che inizia il 15 Marzo del 2001 (contestazione al Global Forum di Napoli) e finisce il 15 Febbraio del 2003. E che si riverbera oggi nella politica del nostro paese e del mondo.
Napoli, Genova, New York, Davos, il mondo intero. Non parlo della repressione di piazza di quel biennio. Certo la repressione è un pezzo del ragionamento, ma è una parte collaterale.
In quel biennio tra repressione selvaggia e non ascolto delle volontà della popolazione mondiale si è creato e aperto un solco e un baratro: è diventato chiaro ai più che la politica istituzionale, di palazzo e dei partiti non “serviva” più i deleganti, cioè gli elettori, ma era al servizio di altri interessi. Certo questo discorso non è nato lì. Lì è diventato pubblico, emerso, potente. E facilmente decodificabile.
Da una parte descrive la sconfitta di una generazione, la mia. Dall’altra è una questione generazionale di chi è divenuto attivista politico a cavallo dei due secoli e non aveva vissuto prima una situazione del genere.
Se partiamo dalla fine vediamo il punto più alto e tragico del mio ragionamento: il 15 Febbraio del 2003 110 milioni di persone nel mondo manifestarono il loro NO alla guerra in Iraq. Nonostante questa immensa forza i governi decisero di fare comunque la guerra. Guerra che 13 anni dopo sappiamo essere stata illegittima come testimoniato dal rapporto Chilcot dell’estate 2016. Un tradimento. Arrivato dopo la violenza con cui si sono disattese le proposte di virare dal percorso neoliberale o di cancellare il debito ai paesi più poveri. Debito e politiche neoliberali che sono il nodo della crisi che da 10 anni stiamo pagando. Per la prima volta nella storia oltre ai più deboli questa crisi la stanno pagando politici e partiti tradizionali. Come dire, l’economia si sta pian piano sbarazzando di stati-nazionali e politicanti vari. In questi margini, che contengono anche l’11 Settembre, nasce la fine del rapporto di fiducia tra cittadino e politica. E spesso quando parlo di politica parlo di politica a 360 gradi, anche quella di movimento.
Se si vedono distanti e inaffidabili i politici, spesso si vedono inutili le mobilitazioni e le lotte dal basso. Si crea sfiducia, vuoto e distanza. L’assottigliamento delle maglie militanti così come il crollo dei votanti alle elezioni sono la parte emersa e netta del problema. Certo così si fa esercizio di sfoltimento e si trattano due problematiche distinte di allontanamento e distanza dalla pratica della politica con una stessa analisi. E’ chiaramente parziale. Ma molto, se non tutto, nasce in quel biennio.
Aggiungo un pezzo che però fa capire come e perché, secondo me, si possono tenere assieme le due problematiche: Movimento 5 Stelle, Syriza a Podemos, nascono come risposta nella lettura di uno spazio aperto proprio dalla sfiducia verso i partiti così come dall’inutilità dell’azione militante e dal basso dall’altra. Certo le tre esperienze sono molto diverse, ma non è un caso che tutte e tre si rifacciano o usino la parola Movimento. Tutte e tre si sono o si stanno scontrando con l’impossibilità pratica di essere elemento di cambiamento radicale dentro le maglie dell’istituzione politica nel decimo anno della crisi globale. Questo non significa però che non siano stati capaci di colmare il vuoto in uno spazio politico in cui in milioni si siano riconosciuti e che in un futuro le loro azioni non possano essere radicalmente trasformative. Le tre esperienze sono state capaci di cogliere il vuoto e di riempirlo. Solo questo le accomuna. I partiti tradizionali sono finiti, e si sono trasformati in partiti di potere o di mera rappresentanza di se stessi.
I movimenti esistono e resistono, anche se han perso un po’ di follia e creatività. Vivono un riflusso numerico e spesso staticità, non certo di riflessione ma di mediazione tra il piano del ragionamento e quello pratico. Se non in pochi casi fanno fatica a generare immaginari pur restando ancora capaci di essere efficienti e vincenti. ma le vittorie sono rare. I movimenti, recuperando follia e creatività restano ancora una prospettiva possibile di cambiamento, cambiando prima se stessi . Soprattutto se la coniugazione tra teorico e pratico tornasse ad essere praticata.
Il ragionamento sarebbe molto lungo e complesso. Mi fermo qui. Sperando di non aver scritto cose sgradite. Come direbbe Joe Strummer “il futuro non è scritto” ma per scriverlo rallentare la corsa osservando il passato potrebbe diventare funzionale.
Andrea Cegna
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