La prima volta

 

Immagine (97)Nell’Estate 2007, subito dopo lo sgombero dell’occupazione di Volturno 33, un gruppo eterogeneo di compagni decise di iniziare a raccogliere racconti ed interviste sui 20 anni precedenti di movimento a Milano.
Non era un periodo facile per chi faceva politica dal basso e l’intenzione era quella di produrre un libro che riuscisse a trasmettere un po’ di memoria su quel che era stato. 
Poi, nell’Autunno del 2008, venne il grande movimento universitario dell’Onda e tante altre cose presero vita. 
Ognuno si ributtò a seguire nuovi progetti ed il libro rimase una bella idea nel cassetto. 
Approfittando del lancio del nuovo sito di MIM, iniziamo a pubblicare settimanalmente alcuni dei racconti che erano stati raccolti ormai 7 anni fa. 
Ai tempi, quando proponemmo ai compagni di scrivere il loro vissuto, la traccia era fondamentalmente libera. 
Ne vennero fuori tante storie interessanti, di cui molte, inutile negarcelo, parlavano di episodi di conflittualità di piazza. 
Il movimento ovviamente è molto altro e non si riduce mai ai soli “scontri”. Noi però abbiamo deciso di pubblicare il materiale come lo ricevemmo all’epoca. Se vuoi proporre un tuo racconto scrivi pure a: milanoinmovimento@gmail.com 
Buona lettura!

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La prima volta

Frequentavo il Bulk da pochissimo. Era da un po’ che volevo curiosare in un centro sociale, capire se quella dimensione che sempre mi aveva affascinato (mai dimenticherò io dodicenne alla finestra che vedo passare il corteo del Leoncavallo nel ‘94) mi si addiceva veramente, capire se c’era un modo per uscire dalla routine dello studente milanese facendo qualcosa fuori dall’ordinario, fuori dalle regole imposte. Un modo strano di fare politica, senza entrare in un partito, cosa che mi disgustava. Cercavo uno spazio che mi rappresentasse ed in cui potevo essere parte attiva.

Era sabato e quel giorno eravamo giunti in Niccolini direttamente dal Manzoni. Poco ricordo di come era stato presentato il corteo dal collettivo dalla scuola, mi ricordo che avevo saputo di effettive possibilità di scontri solo in mattinata, saltandomi tutta quell’atmosfera che si vive nei giorni precedenti alle manifestazioni dove si prospettano incidenti. La voce che correva fra i ragazzi del Manzoni che solitamente andavano alle manifestazioni era quella di una “giornata difficile”, appellativo che scoraggiò molti studenti dal venire.

Al Bulk ci arrivo con M., C., P. e L. L’allegra brigata manzoniana, i miei soci, tutto tranne che cinque persone pronte per un riot. Comunque nessuno molla, il gruppo è uno. La scena che ci si presenta davanti agli occhi una volta entrati al Deposito sgomenta molti di noi, capiamo che non c’è più tempo per dirsi cazzate come facciamo sempre, si respira tensione, che però non scorgiamo ancora sui volti delle persone che, prese dal trambusto del momento, si danno da fare portando sacche, raggruppando carrelli che vengono riempiti di masserizie (mai mancate nel mio centro sociale!). Vedo anche dei copertoni ammucchiati. Arriviamo in fondo al cortile, davanti al palco in mezzo alla gente, saluto chi conosco ”è arrivata la nuova brigata manzoniana!” risponde qualcuno ridendo. Provo a dare una mano ma ormai tutti gli sbattimenti sono al termine, c’è solo da aspettare, cosa che facciamo per un’ora abbondante e forse anche di più. Ribecco i miei soci, scherziamo sul fatto che L. è fascio e sta per andare a tirare le pietre ai suoi camerati. L. si incazza perché lo facciamo a voce alta ed ha paura che attorno a noi ci prendano seriamente. Continuiamo a schernirci per un po’ giusto per stemperare la tensione. Nessuno ha mai partecipato a scontri di piazza e la mia poca “esperienza” si limitava a qualche scaramuccia attorno a San Siro. Solo stadio, mai scontri di piazza durante una manifestazione. Ed è stata la curiosità di provare a stare in una tale situazione il motivo della mia presenza quel pomeriggio.

Oltre a ciò, ovviamente, la forte motivazione politica. Dovevamo bloccare il comizio di Forza Nuova che si sarebbe tenuto alla discoteca “De Sade” in Via Valtellina, molto vicina al Deposito Bulk. Per la mobilitazione di quel giorno il movimento aveva lavorato bene anche se diviso. Non mi voglio addentrare nel raccontare il perché non eravamo in Piazza Oberdan con altre realtà, a quel tempo ero vergine in materia di scazzi e rancori e poco c’entrerebbe col mio ricordo. In piazza si concentrano la Raf con tutto il giro degli skin, molti da fuori, il Vittoria, i Transiti, i torinesi, un po’ di anarchici e cani sciolti, in tutto un migliaio. In Niccolini oltre a noi al gran completo convergono quello che rimane del Leoncavallo, i nostri amici, qualche studente, qualcuno della Fossa, in tutto 150-200 persone. Sicuramente molte meno rispetto a quelle presenti al concentramento, ma tutt’altro che impreparate per la situazione che si sarebbe prospettata da lì a poco.

Immagine (98)Il momento si avvicina, la notizia che stavamo aspettando è arrivata; al concentramento di Oberdan è stato vietato di muoversi in corteo verso il raduno neofascista. Il veto dà il via ad una giornata di azione diretta. La tensione ora si fa ben visibile sui volti dei miei amici, sul mio e su quelli di coloro che, da lì a poco tempo considererò come fratelli. Qualcuno fa cenno di raggrupparsi in mezzo al cortile, in pochi secondi si forma una specie di cerchio. Cerco con gli occhi di contare le persone presenti, un centinaio. F. incomincia a parlare, un discorso breve, conciso. Non ricordo le esatte parole, ricordo però la sensazione che provocarono. Mi convinsero di quello che stavo andando a fare, mi dettero sicurezza, mi venne tanta voglia di essere un protagonista attivo di quella giornata di “resistenza”. Mi sentivo pronto per lo scontro. Dopo quei cinque minuti di discorso eravamo veramente pronti per uscire dal nostro “fortino”.

I compagni in Piazza Oberdan, non potendo partire in corteo si erano sciolti per raggiungere la discoteca De Sade. Circa cinquecento, seicento persone presero il passante per sbucare in Via Valtellina da Via Lancetti. Usciamo dal Bulk in non di più di 200. I pochi pedoni in transito che vedono la scena hanno un’espressione incredula. Dopo pochissimi metri, appena sorpassato il piazzale, in una trentina o più corriamo verso i binari del tram, in quel tratto con una “ricca” massicciata. Sono ingordo di sassi, quasi non mi bastassero mai, ne tiro su una borsa di tela intera. Pesa parecchio e appena rientro nel piccolo corteo li divido coi miei soci manzoniani. Buffo pensare ad alcuni di loro in quella situazione al giorno d’oggi!

Procediamo abbastanza velocemente verso l’obbiettivo, c’è il rischio che la Polizia ci blocchi prima che si arrivi nei pressi della discoteca. Ricordo il nostro avanzare nel pomeriggio buio di Milano, tutti già incappucciati o coi caschi in testa, con i carrelli davanti a tutti pieni di legna, copertoni e pietre. La tensione sale ancora ma la paura non si fa ancora vedere; qualcun altro si fa vedere. Un gruppo di studenti del Coordinamento dei Collettivi scesi con la metro in Garibaldi. Facciamo il ponte di Farini, la Digos evidentemente osserva dalla distanza, ma non fa ancora intervenire la celere. Imbocchiamo Via Valtellina e lontano vedo dei lampeggianti, penso, eccoli!, ma la luce vista non proviene dallo schieramento, infatti passiamo la dogana e la caserma della Finanza senza problemi (pensavo invece che ci avrebbero fermati lì). Ora vediamo lo schieramento della Polizia. La via, già solitamente non tanto frequentata da pedoni, è deserta. Siamo a duecento metri dalla celere. Ora la tensione è al massimo e mi viene anche un po’ di paura, ma c’è chi sta peggio: mi tolgo il casco e lo do a C. dicendogli che tanto ho il cappuccio e il berretto di lana.

milano10Sono in seconda, terza fila, guardando la Polizia, sulla destra. Non ricordo ora a chi ero incordonato, quando ci fermammo, probabilmente a M., ricordo però che le poche figure di riferimento che avevo all’epoca erano vicino a me. Fermarono il corteo fra Via Galli e Via Aprica, non so se ci sia stata la richiesta da parte nostra di passare, cosa ovviamente impossibile. Dopo un fronteggiamento di pochi secondi, forse un paio di minuti, chi era addetto ai carrelli li rovesciò e con essi il contenuto. In pochissimi secondi si eresse una barricata di piccole dimensioni, non per resistere a una quasi certa carica, ma per fare la prima mossa. Si doveva dare un segnale forte: nessuna piazza per i fascisti a Milano. Magicamente quella fila disordinata di mobili rotti, copertoni, materassi prende fuoco. Quello era il segnale per scatenare un inferno di pietre, ne eravamo davvero pieni.

In questi momenti il tempo passa velocemente e non so quantificare la durata della nostra “intifada”, secondi o minuti, ma le scorte lungo i binari erano state opulente. Protetti dalle fiamme scarichiamo i nostri proiettili che non vediamo finire sulla Polizia, il fuoco ce lo impedisce, ma sentiamo benissimo i tonfi sordi dei sassi che spesso raggiungono il bersaglio. Non partono molotov, o se son volate non le ho proprio viste, solo una graniuola di sassi condita da qualche torcia e qualche petardo. Sono preso dall’eccitazione, sento l’adrenalina, poche volte mi era capitato prima, la paura c’è ma il tirare decine di sassi mi impedisce quasi di pensarci. Tanto so che finché brucia la barricata non ci possono caricare. La Polizia infatti si limita a sparare dei lacrimogeni, non pochi, ma dato la vicinanza vanno lunghi e poi il vento vanifica in parte l’effetto. Saprò dopo che uno di quei lacrimogeni aveva colpito uno degli studenti che si erano accodati. Chi ha organizzato quest’azione credo sapesse del poco margine di tempo che si aveva. Non eravamo fisicamente abbastanza numerosi per reggere un impatto con i celerini, al massimo si poteva ritardare di qualche secondo l’impeto della carica e permettere alla gente di girarsi e scappare. Così fu.

Le fiamme erano certamente più basse, forse quasi già spente ma l’immagine che ricordo è quella di un intero cordone di sbirri che salta fra le fiamme come le bestie al circo. Strano a vedersi; infatti la cosa prese molti di sorpresa, qualcuno scappò, la paura mi pervase. I miei soci non erano più vicino a me, stavo vicino a D. e ad altri… La celere sta per impattare, siamo ad una decina di metri dietro la barricata. Chi è rimasto si prepara per il contatto. D. mi intima di stare fermo e di non andarmene. Solo il tempo di dirlo. Sa che non posso fare molto, ho due sassi in mano, ma evidentemente può essere rinfrancante la sola presenza. Tiro i sassi con tutta la forza rimasta ai pulotti che hanno appena attraversato la barricata. Neanche vedo se ho preso qualcuno che ci sono addosso, vedo un paio di nostri bastoni vicino a me che colpiscono bene i loro caschi, di nuovo D. che mi grida “via! ora via!”.

L’impatto è durato veramente poco, pochissimi secondi. Corriamo per un centinaio di metri, io e G. raccogliamo quasi al volo la M. che era inciampata. Una volta al sicuro vediamo se riusciamo in qualche modo a riorganizzarci, ma chi lo fa è la Polizia che riparte a caricare. Impensabile resistere, ci rimettiamo a correre fino al ponte di Farini, poi ci mollano anche perché probabilmente le faccende dall’altra parte di Valtellina stanno continuando. Tornando al Bulk cerco i miei soci, ci sono solo C. e M. che chiama preoccupato P. disperso insieme a L. Tutto a posto. Sono lì vicino. Si sono cagati quando stavano parlando e gli è passato un lacrimogeno in mezzo alle facce e così si sono messi in disparte.

Spesso penso a cosa provavo finiti i miei primi scontri di piazza. Penso che sia il senso di ribellione che trova il suo appagamento, sicuramente momentaneo, a volte futile. Un appagamento che ti fa sorridere, ti rende felice.

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