Lassù sul tetto

 

603558_141365156055140_2144017867_nEd un anno esatto dallo sgombero di Via Olgiati 12 pubblichiamo alcuni racconti scritti da diverse prospettive.

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Il cielo è azzurro, non ci sono nuvole.

Solo fumo, fumo di diversi colori, si mescola al cielo.

Grigio, nero, rosso, grigio, rosso, grigio, mai regolari. Nubi di fumo salgono, si mescolano, si mescolano tra di loro, si mescolano con il cielo. La tranquillità dell’azzurro svanisce in una miriade di colori meticci, spuri, differenti per tonalità, altezza, nettezza, dimensione e densità. Il grigio non sale mai troppo in alto, spesso svanisce davanti ai miei occhi. Il rosso ed il nero invece salgono salgono salgono, si perdono nelle nuvole , diventano nuvole, spariscono.

Ad un certo punto tutto si ferma, basta mescole di fumi differenti, solo azzurro, niente altro che azzurro. Il cielo è interrotto solo dalla luce del sole, dai raggi del sole. Per fortuna ho gli occhiali scuri. Il sole è alto, quasi quasi sopra di noi. Sarà quasi mezzogiorno quindi, almeno così insegnano alle elementari. Giornata di relatività totale. Sono talmente stanco che potrebbero essere le 4 del mattino. Invece sarà più o meno mezzogiorno.

Mi siedo su una sedia. Che cazzo ci farà una sedia su un tetto. Forse l’avrà portata su T., anzi sicuramente sarà così. T. riesce sempre a pensare a particolari fondamentali a cui io non penso mai. Per fortuna che c’è lui, anche perché se sono dove sono adesso è un po’ per colpa sua, colpa non so, però se non l’avessi incontrato in un cortile di Pergola, 9 anni fa, ad un riunione di Indymedia non credo che sarei mai finito all’assemblea del Bulk. Eh si cazzo…è colpa sua! Quindi sono contento che lui sia su ‘sto cazzo di tetto con me. Una delle poche persone di cui mi fido in queste situazioni.

Però, per una volta, sono io ad essere più tranquillo di lui.

Se guardo giù vedo molti più colori, se guardo su solo azzurro, tanto azzurro, e poi a momenti differenti rosso, grigio e nero.

Attorno palazzi, anzi no, diciamo che per dire cosa vedo mi devo fermare. Ecco quindi adesso in questo preciso momento c’è un palazzo a vetri davanti a me, lo vedo dalla metà in su, a destra non c’è nulla, cioè si vedono dei tetti, di diversa altezza e poi lì lontano altri palazzi. Dall’altra parte altri tetti, uno rivestito di finto prato verde e poi poco più in la altro palazzo a vetri.

Dietro nulla, per chilometri, talmente tanti che si fa fatica a vedere cosa c’è, abbassando un po’ lo sguardo vedo un piccolo parco.

Vetro e cemento in quantità. Quel palazzo lì davanti è a tratti inquietante. Vetro nero, scuro, vetro che non sembra lasciare spazio a null’altro. Non sembra nemmeno possibile che si possano aprire quelle vetrate, aprire mettere fuori la testa e gridare delle robe a chi sotto, sotto il palazzo a vetri, sotto al tetto dove T. ed io stiamo, li sotto al di là dei due cancelli e dei due cortili compagni e compagne stanno lottando contro il tentativo di sgombero della Zona Autonoma Milano, quello che per praticamente tutti è il centro sociale ZAM. Forse per la prima volta ci siamo resi conto tutt@ quanti che il palazzo della Spectre, era il nome scherzoso che gli abbiamo dato dal 29 Gennaio del 2011, cioè dal giorno dell’occupazione di ZAM, aveva la vetrate che si aprivano e che aprendosi davano la dimensione di colore e spazio che quel cumulo di vetro non sapeva dare. Perchè un impiegato da quel palazzone gridava “dovrebbero arrestarvi tutti”?. Forse vedere così tanta energia e vita in via Olgiati era qualcosa che gli dava fastidio. Meglio il rassicurante nulla dell’ufficio, il grigio del cemento ed il silenzio della notte o della mattina. Il mondo è pieno di chi preferisce la sicurezza presupposta della normalità alla vitalità della libera scelta e della costruzione d’iniziativa.

Quel palazzo mi fa ancora rabbrividire. E sotto il sole di Maggio, di questo 22 Maggio sembra più spettrale che mai. Ha la dimensione della Morte Nera di Guerre Stellare. Immobile, nero, silenzioso e all’apparenza inespugnabile all’esterno, incapace di trasmettere emozione. I colori. I colori sono importanti. I colori sono tutto. I colori, le imperfezioni e i particolari fanno la vita. Quel palazzo è nero, a vetri, tutto uguale. Sotto ci sono tanti colori. Il fumo ed il rosso di Spiderman.

Da sopra non si vede molto. Sentiamo rumori, vediamo il fumo che sale, sentiamo le grida di chi viene spinto via dalla Polizia. Forse non vediamo nemmeno quello ma ci immaginiamo tutto. Avremmo voglia di essere giù. Avremmo voglia di poter essere ovunque. Avremmo voglia di poter difendere ZAM in ogni maniera. Non si può fare tutto, non si può essere dappertutto, ma soprattutto la vita collettività di obbliga e ti permette di prendere un pezzettino del tutto, seguirlo, farlo al meglio, sapendo che le compagne e i compagni faranno lo stesso. Oggi va così. Siamo tanti. Ognuno fa quello che deve. Si capisce anche se siamo lontani, anche se non riusciamo a vedere tutto quel che sta succedendo.

15E’ mezzogiorno e siamo ancora qui su, è quasi mezzogiorno e c’è una ruspa in via Olgiati che sta provando a liberare la strada. Rivolevano ZAM? E allora ZAM gli è stato ridato pezzo per pezzo. Abbiamo provato a restituire tutto il colore e il calore di più di 2 anni d’occupazione. E allora diverse ore, almeno 2 per spostare chi si è messo a difesa dell’imbocco di via Olgiati, altri minuti per smontare il palcoscenico costruito nella via. ZAM era ed è sport, cultura, aggregazione, musica, conflitto e politica. ZAM si è riversato in strada. Prima l’aggregazione informale e sportiva, poi un palco, le sedie, le casse e poi le barricate. Il conflitto è tutto ed è dappertutto. Il conflitto sono gli scontri di piazza ed un concerto a 5 euro, il conflitto è la liberazione di uno spazio così come la costruzione di una palestra popolare. L’alternativa è conflitto. La cultura è conflitto. Rivolete ZAM? Ecco lo state riavendo. Il fuoco, le barricate. Una ruspa per sgomberare la strada.

Sono passate 2 ore e la strada è ancora nostra. T. e io siamo sul tetto. In qualche modo stiamo facendo il nostro. Staremo su fin quando servirà, fin quando non sapremo che tutti stanno bene, finchè non sapremo che cazzo vogliono fare di questo spazio. E’ quasi mezzogiorno. Vediamo la Digos mettere una scala che da verso il tetto dove siamo. Provano a metterla dall’asilo, dal quel tetto più basso ricoperto di erba sintetica. Appoggiano la scala e noi la buttiamo giù. Con cazzo che salgono. Ci siamo noi. Iniziamo a trattare. Vogliamo vedere i nostri compagni e le nostre compagne.

Iniziamo a sentirli per telefono. Sembra stiano tutti bene.

Iniziano anche a chiamarci i giornalisti. T. si scazza subito. Non vuole parlare. Ad un certo punto mi dà il suo telefono. Inizio a parlare con due telefoni assieme. Vorrei ammazzarlo, ma gli sorrido. Ripenso a quel giorno in Pegola e alla prima assemblea al Bulk con la T. ubriaca su un divano, il generatore che si spegne, le prime parole scambiate con F. e l’energia che un giovanissimo T. trasmetteva parlando delle giornate per Dax. Fa caldo, cazzo se fa caldo. Ridiamo e scherziamo. Ci prendiamo in giro. Ci facciamo una foto, la chiameremo “gli scemi del tetto”. Quella foto adesso non c’è più, persa con un telefono. Ma quella foto è nella mia testa.

Finalmente vediamo alcuni nostri compagni. S. e la F. Fanno il giro, arrivano dal parco dietro di noi. Ci Salutano. Sorridiamo. Poi ci giriamo e sotto di noi vediamo tutt@ gli altri. Si sono tutti lì sotto, stanno tutti bene. Abbiamo un megafono, lo usiamo.
E’ il momento di capire cosa fare. La Digos è ancora lì, pochi metri sotto di noi. Si innervosisce, vorrebbero che scendiamo, dicono che tutto quello che abbiamo chiesto è stato concesso. Non ci interessa, chi ci può dire cosa fare sono solo le nostre compagne ed i nostri compagni.

Ad un certo momento decidiamo che si scende, si ma come vogliamo noi, dal lato che diciamo noi. Alle 16 ci sarà presidio a Porta Genova per andare in corteo sotto Palazzo Marino. Prendiamo le nostre cose e scendiamo. Quando sbuchiamo al piano terra gli sbirri sono sorpresi. Mi fermano e mi fanno: “Ma da dove siete scesi?”. Non rispondo, non sono affari loro.

23Scendiamo, usciamo da ZAM, passiamo tra la celere e diversi giornalisti ci intercettano. A noi non interessano i microfoni e la stampa, ci interessa perderci tra l’abbraccio delle compagne e dei compagni che hanno lottato con noi e più di noi. In fin dei conti siamo stati solo su un tetto, loro sono stati li tutta la mattina. Abbracci saluti risate battute, nulla è più forte di questo, nulla è più bello di stringersi assieme anche nella difficoltà. Riscaldati e rinfrancati dall’essere di nuovo tutti assieme, ci giriamo e rispondiamo ai giornalisti. Le facce sono le nostre, quella di T. e la mia, ma quelle facce dovrebbero essere di tutt@. A. e V. mi prendono in giro, mi dicono che vogliono fare la foto con un vip con la maglietta del Subcomandate Marcos. Facciamo la foto. Non sono un vip e non mi fotte un cazzo di parlare con i giornalisti. Va fatto? Facciamolo. E’ un pezzo di quello che andava fatto? Facciamolo. Ma se sono li è perchè c’erano gli altri sotto, se gli altri erano sotto era anche perchè due compagni erano sul tetto, e via così.

Scendere dal tetto, lasciare ZAM e trovarsi in mezzo alle compagne e ai compagni stanchi da uno notte senza chiudere occhio e dall’attesa snervante di quelle merde in divisa, di quelle merde che eseguo ordini, ordini che tutelano le speculazione ed il capitalismo cioè ciò che da centinaia di anni affama e uccide. Servi dei servi. Ma poi quella sensazione di comunità ti ripaga di ogni sbattimento.

Andiamo in corteo, in corteo ci arriva la triste notizia della morte di Don Gallo. Don Gallo che il 26 Aprile ci ha incontrato a Genova e ci ha regalato un video sul senso ed il valore dell’autogestione. Prendiamo le botte sotto Palazzo Marino. Chiudo gli occhi.

Gli occhi si aprono. Non è più il 22 Maggio del 2013, è il 22 Maggio del 2014. 365 giorni passati, Expo alle porte nella città di Milano, Expo nuova scusa del capitale per sussumere intelligenze, drenare risorse e sgomberare centri sociali, grazie anche alla nullità di Pisapia e di tutto il Consiglio Comunale schiavi della paura e convinti governatori della governabilità.

T. è stato su molti altri tetti, io no, soffro di vertigine. No, non è vero che soffro di vertigine. Forse ho solo paura. Salire su un tetto è facile, scendere è difficile. Non è sempre stato così, anzi fino ad un anno fa non era così. La vita militante ti regala esperienze bellissime, ti insegna a stare con gli altri, e vivere per costruire qualcosa che ambisce a cambiare il mondo e quindi a cambiare anche te. Non si fa nulla da soli, non si fa nulla per se stessi. E’ un cerchio. Però ti cambia anche la percezione delle cose. Salire su un tetto è facile, scendere è difficile. Se quando scendi non trovi compagne e compagni, se quando scendi scendi da solo e ti senti da solo, salire su un tetto non ha senso. T. i tetti li prende tutti invece, scende e sorride come un anno fa, come 10 anni fa. Lo invidio.

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