Perché aderiamo allo sciopero generale del 29 novembre
Lo abbiamo aspettato, invocato, detto in tutte le salse, da lavoratrici e lavoratori, del servizio pubblico e del settore privato e finalmente è arrivato il momento tanto atteso: è stato convocato uno sciopero generale nazionale dai molti sindacati di base e da CGIL e UIL, in tutte le categorie del mondo del lavoro per oggi venerdì 29 novembre. Se ne sentiva il bisogno, ma come spesso è accaduto, in questi ultimi anni, viene indetto in un modo e in condizioni che non sono esattamente quelle che ci aspetteremmo o che le generazioni precarie si auspicherebbero, ma scioperiamo. O almeno ci proviamo.
Questo sciopero generale, indetto prima dal sindacalismo di base e poi dal sindacato confederale, non è di otto ore per tutte le categorie, perché la Commissione di garanzia, messa sotto pressione dal Ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, ha interferito sull’orario dello sciopero, riducendo a 4 le ore il blocco del servizio nel trasporto pubblico locale, nel comparto aeroportuale, portuale e navale.
Uno sciopero un po’ claudicante, con poche assemblee preparatorie e che forse non scalda ancora i cuori dei più, come vorremmo, ma che ad ogni modo, disegna una traiettoria di convergenza (eccezion fatta per la CISL, che rimane la seconda sigla sindacale del paese e che conferma la linea filo-governativa) come non se ne vedevano almeno da dieci anni, in un momento di assoluto scontro tra forze politiche di opposizione, rappresentanze sociali e movimenti contro il governo, in un clima generalizzato di mobilitazione sui territori.
Questo malcontento non dipende solamente dalla manovra di bilancio che sta per essere approvata, con poco spazio alla contrattazione delle rappresentanze sindacali e sociali, ma dipende soprattutto da una politica governativa rimasta ben lontana dai bisogni e dalle necessità dei lavoratori e delle lavoratrici.
Molte le emergenze da affrontare, prime fra tutte la crisi climatica e il sistema sanitario nazionale che perde pezzi e con poche risorse a disposizione (i soldi stanziati nella manovra non saranno neanche sufficiente a recuperare l’inflazione di questi anni), anche a causa delle nuove regole del patto di stabilità europeo. Si registra inoltre la completa assenza di un progetto industriale per il paese, con la capacità di mettere in campo politiche espansive e di crescita economica.
L’Italia è praticamente ferma e le politiche esplicite di austerità, non sono in grado di nascondere l’evidenza di assenza di prospettive sul medio e lungo termine, che il governo Meloni esprime in totale subalternità a Confindustria, alle banche e a grandi fondi d’investimento americani (a questo proposito appare paradigmatico l’incontro tra Meloni e Larry Fink amministratore delegato di BlackRock avvenuto il 30 settembre scorso).
La legge sul salario minimo legale è fuori dall’agenda politica, un fatto piuttosto imbarazzante considerata l’esistenza di una proposta depositata in Parlamento e il dato incontrovertibile che nel nostro paese vada posta con forza la questione salariale, essendo l’unico paese dell’Unione Europea con gli stipendi che, secondo i dati OCSE, sono scesi del 3% negli ultimi trent’anni.
La situazione occupazionale registra un’ulteriore precarizzazione del lavoro dipendente sia nel servizio pubblico che in quello privato, con un progressivo indebolimento del welfare: esempio eclatante il taglio del reddito di cittadinanza, praticamente dimezzato, fortemente condizionato, sostituito con l’assegno di inclusione e il supporto di formazione e lavoro. Sul reddito di base incondizionato andrebbe riaperta una forte campagna nel Paese.
Mentre si alzano i toni, Maurizio Landini, segretario generale della CGIL inneggia alla rivolta sociale nel paese (chissà se la sua organizzazione si ricorderà di queste parole al momento della firma dei Contratti Collettivi Nazionali…) entrando a gamba tesa nel dibattito politico pubblico, come non si faceva da tempo, proprio nel momento in cui si innesca l’azione repressiva violenta della maggioranza, che con convinzione persegue il progetto di inasprimento delle pene per chi lotta per l’ambiente, per la casa e sui posti di lavoro con il ddl 1660. Con la sua approvazione in Senato e la criminalizzazione di chi protesta, sarà più difficile per tutte e tutti lottare contro le ingiustizie e le disuguaglianze sociali.
Sarà sciopero quindi nelle scuole, negli uffici pubblici della pubblica amministrazione, negli ospedali, nelle fabbriche e nei magazzini. Sarà sciopero per l’ambiente e contro la violenza in tutte le sue forme, soprattutto quella di genere, con una continuità ideale con i cortei degli scorsi giorni a Roma e a Milano in occasione del 25 novembre. Si uniscono ad esso anche i movimenti di lotta per la casa come la rete nazionale del Social Forum dell’Abitare che aderisce alla mobilitazione e invita alla partecipazione.
La casa resta, per altro, uno dei temi più caldi, soprattutto per i più giovani e nei centri urbani, tra caro affitti, locazioni turistiche e dismissione del patrimonio residenziale pubblico.
Questo governo ha favorito le imprese guardandosi bene dal farsi carico dei problemi reali degli abitanti e delle persone più esposte a sfratti e alla precarietà abitativa, togliendo il sostegno all’affitto per morosità incolpevole: paradigmatico il Piano Casa Salvini, che deregolamenta il mercato, o il Salva-Milano, appena approvato alla Camera, che con una legge ad hoc interviene sulla vicenda giudiziaria aperta a Milano sugli abusi edilizi, e agevola palazzinari e speculazione su tutto il territorio nazionale, con un “liberi tutti” che va contro gli interessi del ceto medio – basso e delle famiglie più povere.
All’orizzonte anche un taglio delle pensioni che ha portato alla mobilitazione i pensionati in diverse città italiane, impegnati contro il ridicolo aumento di 3 euro al mese ben lontano dal semplice recupero dell’elevata inflazione di questi anni.
Tagli annunciati anche all’istruzione, sui trasporti e alla sanità. Nessun piano per la transizione ecologica, nonostante le recenti alluvioni di Bologna e della Romagna, nessuno parla di dissesto idrogeologico, mentre molti esponenti dei partiti di centrodestra continuano a negare che questi fenomeni siano collegati direttamente agli effetti del cambiamento climatico.
Nessun piano per la transizione energetica, non solo le energie rinnovabili non sono finanziate, ma si lavora a rispolverare l’energia nucleare, su sollecitazione di Confindustria, di Blackrock, Blackstone e delle piattaforme digitali che chiedono di poter installare micro-reattori nucleari nella penisola, nonostante gli italiani abbiano detto con un Referendum nel 2011 che non vogliono l’energia nucleare.
Della pace il governo non parla, non esiste una strategia per porre fine al conflitto in Medio Oriente tra Israele, Libano e Palestina, e nessuno sta provando ad arrivare ad una trattativa di pace che possa portare verso la risoluzione del conflitto Ucraina e Russia che rischia ogni giorno di allargarsi ulteriormente. Per ora c’è traccia soltanto dei 32 miliardi di euro previsti nel 2025 per le spese militari, nonostante ormai sia chiaro a tutti che è la guerra ad aver causato la crisi economica e l’esplosione dell’inflazione, che pesa ancora oggi con forza sulle finanze dei contribuenti ed è stata scaricata totalmente sulle spalle della classe lavoratrice.
Per tutte queste ragioni riteniamo sia un atto dovuto scioperare questo venerdì 29 novembre contro il governo Meloni provando a costruire una larga partecipazione e una nuova stagione di conflitto politico e sociale, senza il quale è difficile immaginare che si possa aprire un vero dialogo con le forze politiche e gli attori economici, allo scopo di trovare opportunità di avanzamento collettivo, per lavoratrici e lavoratori, e tutti coloro che anche durante questo sciopero generale, perché precari, freelance, a chiamata, finte partita iva, part-time involontari, non potranno scioperare, perché anche stavolta nessuno li garantisce e li rappresenta.
Scioperiamo anche per chi oggi non può scioperare.
Angelo Junior Avelli e FabeR
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