Le lacrime come promessa di lotta. Cronaca di una strage annunciata. Ankara 10 Ottobre 2015
A Novembre in Turchia ci saranno le elezioni anticipate. Dopo la sconfitta elettorale del Giugno scorso Erdogan ha messo in campo una strategia tesa a aumentare il livello di tensione in tutto il paese soffiando sul fuoco del nazionalismo. L’obiettivo è quello di raggiungere la maggioranza assoluta nell’imminente tornata elettorale, il che gli consentirebbe di cambiare la Costituzione. Si va quindi dalla campagna militare contro il PKK alla repressione contro i Curdi passando per gli attacchi alle sedi dell’HDP e per le bombe di ieri. Uno scenario già visto a Giugno. Dopo la strage di Ankara in tutta la Turchia sono stati organizzati cortei e presidi di solidarietà. Il governo tenta di censurare le notizie bloccando Twitter e Facebook. Pubblichiamo quindi una corrispondenza dal Kurdistan sulla giornata di ieri.
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Le lacrime come promessa di lotta.
Cronaca di una strage annunciata.
Ankara 10 Ottobre 2015.
Amed 10 Ottobre,
Il minibus questa mattina non è parcheggiato di fronte al nostro albergo. Uscendo ci rendiamo conto che siamo circondati da una spropositata quantità di polizia, che transenna la strada di fronte a noi per impedire che le persone entrino a Sur (quartiere di Amed [Diyarbakir in turco] dove c’è una grossa zona liberata e controllata dal YDG-H).
La polizia prepara l’inizio dell’ennesimo coprifuoco e tutto questo ben prima che le bombe esplodano ad Ankara.
Poi il viaggio e la notizia.
Scoppiano due ordigni al concentramento della manifestazione organizzata dall’Hdp, associazionismo e diverse sigle sindacali.
Il compagno curdo che ci accompagna nasconde il pianto e si immergere nel suo telefono per cercare di capire meglio l’entità della strage.
“20 morti, no sono 30, molto feriti gravi, il bilancio sale a 69, in definitiva sono 97, ma il numero crescerà”.
Arriviamo a Suruc, dove avevano fissato un appuntamento con il centro culturale, teatro di un altro gravissimo attentato dove il 20 Luglio morirono 33 persone.
Sale sulla ferita.
Surreale giungere in un luogo in cui tutto è fermo a quando l’esplosione ha massacrato quei corpi.
Non hanno spostato nulla, non hanno tolto le schegge dai muri, non hanno cambiato i vetri.
“Che tutto questo resti così, ad eterna memoria”.
Pausa, silenzio.
Le immagini scorrono alla TV, le telefonate si susseguono, tutto trasuda sangue, dove ancora il sangue non si è asciugato.
La determinazione con cui una responsabile del centro ci racconta di ciò che è avvenuto in quel luogo è disarmante.
Ci parla di ciò che avvenne, mentre alle sue spalle scorre il video in loop di quel balletto stroncato dalla deflagrazione.
Ci dicono che la polizia, nonostante il disastro, sta sparando i gas contro la folla che accorre nella piazza di Ankara dove sono esplose le bombe, che le ambulanze vengono bloccate dai cordoni della celere, facendo sì che i feriti più gravi muoiano per mancanza di cure immediate.
Chiunque prova ad inventarsi soccorritore e pratica dei massaggi cardiaci, usando la forza della disperazione.
Finisce il racconto, si lascia andare in un pianto.
Ci ringrazia e si avvia verso Kobane, noi e le nostre labbra secche riusciamo solo a dirle grazie.
Ci accompagnano nel palazzo dell’Hdp, dove i volti sono cupi e dove il brusio si interrompe con il nostro arrivo.
Ci ricevono velocemente, spigandoci che da lì a poco saremmo usciti tutti per un presidio, per ribadire la matrice di Stato della strage.
Prima di entrare nella piazza, un cordone di polizia municipale perquisisce tutti i partecipanti.
Un forte applauso e delle parole urlate al megafono, uno striscione che dice “le mani di chi risiede nel palazzo sono sporche di sangue”.
Verso sera la notizia ha fatto il giro del mondo ed è su tutte le prime pagine.
Resta da chiedersi se lo slancio di solidarietà è come al solito da relegare a un ecatombe, per poi tornare alla quotidianità del silenzio che copre la tirannia di Erdogan.
Il quotidiano massacro del più grande movimento di liberazione esistente non può essere ricondotto solo al tragico episodio di oggi.
È necessario riflettere su quanto è accaduto e inserirlo in un contesto di costante attacco, dove le stragi di Stato diventano metodo.
Questa è una giornata buia per il popolo curdo, ma non lo sarà domani, quando le lacrime si asciugheranno e dietro alle barricate continueranno a resistere, in nome dell’autonomia dei popoli.
“Promessa”
Le lacrime che dai nostri occhi
vedrete sgorgare
non crediatele mai
segni di disperazione
Promessa sono solamente
Promessa di lotta.
Massimiliano per rojavaresiste
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