Welcome to Europe… A 18 anni sulla rotta balcanica
Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Ho compiuto 18 anni in viaggio, il giorno dopo il mio compleanno sono stato arrestato dalle autorità turche con l’accusa di essere stato scoperto mentre andavo in Siria per arruolarmi con l’Isis. Mi hanno picchiato e interrogato per giorni, i 7 giorni più lunghi della mia vita.
Il mio nome in italiano vuol dire figlio e per ironia della sorte ho deciso di intraprendere il mio viaggio partendo dal Marocco per ricongiungermi coi miei genitori residenti in Canada da 8 anni.
Mio padre tramite il mio lavoro di pubblicitario è riuscito a partire per l’America e a prendere casa, mia madre l’ha raggiunto poco dopo.
Il piano era che andassimo tutti a vivere lì; io ero appena uscito da una bella scuola con il massimo dei voti e attendevo il momento della partenza verso un mondo nuovo!
Mi sarebbe mancata Casablanca ma avevo voglia di scoprire posti nuovi, gente diversa, città da film, solite cose…
E invece mio padre perse il lavoro e da un momento all’altro tutto andò in rovina: la casa, la salute di mia madre, i documenti.
La situazione, per via dei maledetti documenti, era che loro non potevano tornare da noi senza rischiare di rimanere poi bloccati in Marocco e io e i miei fratelli più grandi non avevamo modo di raggiungerli per via dei tempi lunghissimi necessari per ottenere una risposta alla propria richiesta, della necessità di avere i contatti giusti nella burocrazia oltre a quella scontata di dover versare, tanto per cambiare, le solite mazzette!
Ho raccolto i miei risparmi che per fortuna non erano pochi e sono partito con un volo per l’Arabia Saudita.
Fin lì il mio passaporto marocchino era valid0, fin lì ero una persona considerata legale.
Ho lasciato dietro di me i miei fratelli più grandi, una vita stabile in attesa di un lavoro e poi un matrimonio, giornate tutte uguali fino alla morte e senza i miei genitori per chissà quanto tempo.
Perché un canadese che vuole venire a visitare Casablanca ha bisogno solo del passaporto e a me devono chiedere Visa, visto, motivazioni del viaggio convincenti, bolli, mazzette e altri soldi?
Questo pensavo mentre dall’Egitto mi imbarcavo su un gommone assieme ad altre 17 persone: egiziani, marocchini e pakistani. Su un gommone apparentemente resistente; pagato l’uomo che ci aveva portati fino al porto siamo saliti e partiti, in una notte di Agosto. Un uomo con un foulard sul naso e sulla bocca e un cappellino di lana in testa guidava il gommone con il motore mentre a fianco a noi navigava una barchetta con su due persone. Non so perché pensai che fossero lì per noi, per aiutarci in caso i problemi. Invece erano lì per lo scafista alla guida del nostro gommone, che dopo non so quanto tempo spense il motore e saltò sulla barca dei soci…
“Guidate fino in Turchia!”, disse indicandoci una direzione.
Per lo spavento nessuno di noi disse neanche mezza parola, nemmeno mezza frase per un tempo infinito…
Il rumore del motore della barchetta su cui lo scafista era scappato già non si sentiva più da qualche minuto quando una delle due donne presenti a bordo scoppiò a piangere comprendosi il viso con il velo che aveva in testa. L’altra donna, anche lei pakistana, la seguì con un urlo spaventoso che scosse la notte e mi spaventò ancora di più.
Urlai anche io mentre non sentivo più nessuno, e fui assalito dal panico che mi toglieva il respiro. Finché una luce illuminò l’oscurità, la luce di un cellulare. Guardai tutte le facce dei presenti, occhi sbarrati e sudore sulla fronte. Sembravamo dei morti viventi…
Poi l’alba ci illuminò mentre il gommone navigava trascinato da correnti fortissime, e in due iniziammo a maneggiare il motore. Ripartimmo a singhiozzo rischiando di rompere tutto e fummo raggiunti dopo più di un’ora da una nave della marina turca. Ricordo che la vedemmo arrivare mentre ero alla guida io, e che la donna che aveva urlato quella notte mi prese di forza da un braccio e mi trascinò sulle sue braccia. Mi disse in inglese che mi avrebbero arrestato se mi avessero trovato alla guida del gommone con l’accusa di essere untrafficante di esseri umani.
Era la prima volta che provavo così tanta paura per un tempo così prolungato, mi trovai tra le braccia di quella donna sconosciuta e poco dopo era coi piedi a Cipro, una coperta sulle spalle nonostante il caldo incredibile.
Avevo bisogno di dormire e riprendermi dal mal di pancia che mi aveva preso per il panico, ma ci imbarcarono di nuovo e con l’arrivo della notte scendemmo in Turchia.
Le donne le avevano perse, ma il gruppo rimaneva sempre lo stesso da tre giorni infernali che avevano unito tutti tranne me che non riuscivo ancora a parlare e a liberarmi di quella maledetta paura a cui poi avrei fatto abitudine.
In Turchia si divisero le strade, ci controllarono i documenti e ci rilasciarono da un commissariato in mezzo al nulla.
Dormivo dove capitava mente camminavo verso il Nord diretto in Germania, molti dei migranti che avevo conosciuto dicevano che era l’unico posto dove era possibile fare dei documenti. Mi stavo dichiarando siriano e molte persone e autorità ci credevano. Mi sarei sbarazzato del passaporto e sarei diventato un siriano, solo per loro c’erano possibilità per ora…
Nei pressi di Istanbul venni a sapere dalla TV di un bar che c’era stato qualche giorno prima un attentato a Parigi: Charlie Hebdo.
Non avevo mai sentito parlare dello Stato Islamico, venni a conoscenza di al Baghdadi e dei suoi miliziani nelle mie settimane di attraversamento della Turchia.
Tra i migranti tutti li temevano, molti li odiavano. Per alcuni erano l’unica possibilità quando tutti i confini erano chiusi…
Feci in tempo a concedermi una cena al tavolo per i miei 18 anni e arrivai a Istanbul dove mi arrestarono con l’accusa di star andando in una città in Siria per arruolarmi con lo Stato Islamico!
Passai circa una settimana in un cella sottoterra con altre 20 persone: marocchini, egiziani, pakistani, siriani ma anche eritrei, etiopi, somali.
Puzzavamo tutti dannatamente, il clima non era solidale e spesso ci si picchiava in quella cella minuscola. Tutti arrabbiati per la fame, il caldo, la sete, tutti spaventati. Ogni giorno qualcuno di noi spariva e ne arrivavano altri, spesso ci interrogavano per ore.
Seduto su una sedia tutta rotta ricevevo schiaffi e pugni a turno dai presenti mentre un ufficiale mi chiedeva:
“Perché vuoi arruolarti? Perché tradisci la tua religione? Quanti soldi ti hanno promesso? Cosa ti hanno promesso?”.
Io raccontai anche la verità per far capire che non sapevo niente, dissi che volevo arrivare in Germania e sistemarmi per raggiungere i miei genitori, piansi davvero dalla tristezza più che per il dolore.
In 7 giorni mi intertogarono 3 volte, poi arrivarono un giovedì e mi buttarono in strada.
Si erano tenuti il mio passaporto marocchino, i miei soldi e il mio zaino con dei vestiti ma mi allontanai veloce da quel posto infernale senza neanche pensare di tornare li dentro a prendere le mie cose.
Bulgaria, Romania, Slovacchia, Austria e poi Germania finalmente. 6 mesi a camminare tra boschi e montagne gelide tra giornate fortunate e altre crudeli, con compagni di viaggio diversi ogni giorno e settimane intere da solo senza parlare con nessuno. Ho avuto la fortuna di varcare frontiere prima che aumentassero i controlli o innalzassero barriere. Solo in Austria ho avuto problemi con poliziotti accompagnati dai cani, ma in tutti i confini che ho varcato mi sono lasciato alle spalle repressione e morte.
Sia ben chiaro, ho raccontato il niente rispetto a ciò che hanno vissuto altri fratelli.
Io, anche se sono ancora in viaggio dopo più di un anno in cui cerco di raggiungere legalmente o illegalmente i miei genitori in Canada, almeno ho modo di raccontarmi.
No, non parlo bene italiano ma ho raccontato la mia storia ai miei parenti che mi hanno ospitato a Milano e che ora la raccontano a voi per me.
Da Berlino infatti ho preso un bus per Milano e mi sono fermato per qualche mese, fino alla Primavera. Ho raccontato, ho assorbito l’umanità della gente che mi ascoltava mentre raccontavo delle mie settimane a digiuno, dei miei giorni sotto l’effetto di una droga bevuta, molto diffusa tra noi migranti, che toglie il senso della fame e la stanchezza dal corpo, ma mi dava un senso di paranoia…le mie notti insonni nascosto per non farmi trovare dalla polizia, la mia voglia sincera di ammazzare i miei compagni di viaggio che nelle tratte scoperte urlavano e scherzavano come una scolaresca in gita.
Noi del Sud del mondo non abbiamo diritto alle gite, per poterci muovere dove vogliamo e quando vogliamo dobbiamo sfidare confini e stati.
Fino alla primavera ho conosciuto gente e situazioni nuove, ho riso e ho pianto, poi sono ripartito.
Quando arriverò questo racconto avrà un seguito.
Un saluto da Hannover!
W.
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