Tamburi di guerra a Ankara

Il Presidente turco Erdogan annuncia l’ingresso in Siria del nord “Forse oggi, forse domani” dell’esercito turco per la salvaguardia di “interessi di sicurezza”. Lo ha dichiarato il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan sabato davanti a membri del partito di governo religioso-nazionalista AKP a Ankara. Al confine della zona di autogoverno nota come Rojava, ormai si sono schierate decine di migliaia di soldati nonché un “esercito nazionale siriano” costituito da mercenari jihadisti (compresi ex-membri di Stato Islamico, IS, e di Al-Qaeda).

Prima dell’Assemblea Generale dell’ONU alla fine di settembre, Erdogan aveva presentato di nuovo il suo piano di un “corridoio di pace” sotto il controllo dell’esercito turco che entri per 30 chilometri in territorio siriano. In questa zona di occupazione dovrebbero essere costruite oltre 100 nuove città per i 3,5 milioni di profughi siriani che attualmente vivono in Siria. Dato che si tratta in maggioranza di arabi provenienti da altre parti della Siria, questo risulterebbe in un cambiamento demografico a spese della popolazione curda nel Rojava.

Quando già all’inizio di agosto incombeva un ingresso turco, gli USA e la Turchia si erano accordati sull’istituzione di un centro operativo comune. In negoziati indiretti con le Forze Democratiche Siriane (FDS), considerate terroriste da Ankara ma sostenute da Washington nella lotta contro IS, è stato pattuito un “meccanismo di sicurezza”. In seguito le FDS hanno smantellato le loro postazioni difensive lungo il confine, si sono ritirate per cinque chilometri all’interno del Paese e hanno consegnato il controllo sulla zona di confine ai consigli militari costituiti da forze locali.

Da settembre in questa striscia si svolgono regolarmente pattugliamenti militari turco-statunitensi e sorvoli. Che questo non gli bastasse, Erdogan lo aveva reso chiaro fin dall’inizio. La sua intenzione ora sembra essere di spingere con minacce di guerra permanenti, il Presidente USA Donald Trump, che con lo sguardo già orientato alle elezioni presidenziali negli USA punta sulla calma sul fronte siriano a ulteriori concessioni.

Anche se il portavoce del Pentagono Sean Robertson sabato ha ripetuto il mantra dell’amministrazione statunitense “Ogni operazione militare non coordinata da parte della Turchia sarebbe estremamente preoccupante, dato che minerebbe il nostro interesse comune per una Siria del nord sicura e una sconfitta permanente di IS”, questa assicurazione non tranquillizza la regione di autogoverno. “La probabilità che la Turchia attacchi la regione è elevata”, ritiene Amjad Othman, il portavoce del locale Consiglio Democratico Siriano in una dichiarazione resa all’agenzia stampa curda Anha. “Non esiteremo a trasformare ogni attacco da parte turca in una guerra complessiva lungo tutto il confine siriano per difendere il nostro popolo”, ha chiarito intanto il portavoce delle FDS Mustafa Bali su Twitter.

Per Erdogan, ammaccato tra l’altro dalle elezioni amministrative perse a Istanbul e Ankara, si tratta anche di obiettivi di politica interna. Di fronte allo scenario della crisi economica, in parti della popolazione turca è fortemente cresciuto il malumore nei confronti dei profughi siriani. Una guerra contro i curdi spezzerebbe di nuovo l’avvicinamento dell’opposizione costituita dal CHP kemalista e l’HPD di sinistra radicata sopratutto tra i curdi, che si è prodotto a partire dalle elezioni a Istanbul, questo il calcolo di Erdogan.

Solo lo scorso fine settimana in occasione di una “Conferenza sulla Siria”, il CHP, caratterizzato dalla sua fissazione sullo Stato, aveva segnalato la sua approvazione rispetto a un’operazione militare oltreconfine contro “terroristi”. Un insediamento di profughi in Siria del nord tuttavia richiederebbe un accordo con il governo di Damasco, così il CHP.

di Nick Brauns

da Junge Welt

pubblicato da ReteKurdistan

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